BOLIVIA: A RISCHIO LO STATO PLURINAZIONALE

di Sofía Cordero Ponce *

Bolivia. E’ in gioco lo Stato plurinazionale.

La fine di quattordici anni di governo del MAS apre un periodo di riconfigurazione della comunità politica. E mette a repentaglio le conquiste di uno Stato plurinazionale che riconosce la diversità del paese.

Lo Stato plurinazionale é stato consacrato dalla Costituzione del 2009 e, da allora fino al novembre scorso, lo si é celebrato ogni 22 di gennaio, giorno dell’elezione con più del 54% dei voti di Evo Morales nel 2006. Quest’anno, dopo il golpe civico-militare-poliziesco e la rinuncia di Morales, la celebrazione ha assunto caratteri particolari.

Dei settori sociali vicini al MAS si sono preparati per mobilitarsi in concomitanza con la fine del mandato di Morales, ora in esilio in Argentina, e delle autorità elette nel 2014, parlamentari inclusi. Già dal 16 gennaio, il governo aveva disegnato uno scenario ostile con lo spiegamento di un importante dispositivo poliziesco e militare destinato ad intimorire i settori sociali che si preparavano alla mobilitazione. Ufficialmente, tale spiegamento é stato presentato come una misura preventiva contro i rischi di azioni violente da parte di settori “masisti”. In città come La Paz e Cochabamba, lo spiegamento militare é stato accolto con entusiasmo dai ceti medi e alti, mentre nel Chaparé, zona popolata da contadini cocaleros nella quale la polizia é sparita dal 10 novembre, la popolazione ha impedito l’entrata dei militari. In risposta, Luis Fernando Lopez, ministro della difesa, ha dichiarato “non abbiamo bisogno del permesso di nessuno per entrare nel Chaparé” ed ha considerato che “l’insolenza”  di cui ha fatto prova la popolazione merita una severa punizione.

Alla fin fine, il 22 gennaio é stato lo scenario di varie concentrazioni pacifiche cha hanno dato ampio spazio ai discorsi rivendicativi in difesa degli elementi costitutivi di uno Stato plurinazionale attualmente sotto assedio. La giornata é stata celebrata anche in Argentina, nello stadio del Deportivo Español, con la presenza di Evo Morales, Alvaro Garcia Linera, Luis Arce Catacora (1), dei rappresentanti di diverse organizzazioni sindacali e sopratutto dei residenti boliviani. La celebrazione é stata preceduta dal tradizionale “bilancio della gestione” nel quale Morales ha affermato che “prima del gennaio del 2006, la Bolivia era una repubblica nella quale poca gente era proprietaria di tutto mentre la maggioranza viveva nella miseria [e che], la nuova Costituzione ci ha fatto accedere alla dignità di uno Stato plurinazionale e ci ha permesso di costruire la stabilità politica, la crescita economica e la giustizia sociale”.

In tale contesto, ci si può chiedere quali saranno gli effetti dei recenti cambiamenti politici. Lo Stato plurinazionale ha stabilito le basi di una nuova comunità con l’ampliamento della nozione di diritto di cittadinanza e con il riconoscimento delle “nazioni e popoli indigeni originari contadini”. Ben al di là degli effetti della congiuntura politica, la posta in gioco é, né più né meno, la permanenza del riconoscimento della diversità come fattore di coesione della società.

Lo Stato plurinazionale é stato inaugurato in Bolivia nel gennaio del 2009 quando fu ratificata dal voto popolare la nuova Costituzione Politica dello Stato. I suoi pilastri normativi furono poi completati, nel 2010 da cinque leggi organiche (sugli organi giudiziari, sull’organo elettorale plurinazionale, sul regime elettorale, sul Tribunale costituzionale plurinazionale e la legge quadro di autonomia e decentralizzazione). In tal modo, lo Stato non consiste solo nelle normative e regole che reggono le istituzioni ma anche in quelle che danno spazio alle relazioni di appartenenza attraverso vincoli di identità che formano la comunità politica.

Nello Stato nazionale che si impose come modello delle lotte di indipendenza in America latina nel corso dell’ottocento, l’omogeneizzazione culturale fu la base sulla quale fu costruita la comunità politica. In Bolivia, il nazionalismo rivoluzionario (2) che guidò la Revolucion nacional del 1952 consacrò il meticciato come “collante” di una nazione il cui carattere inclusivo fu consolidato dall’estensione del voto universale e con la riforma agraria.

A sua volta, la “nazione” si traduce nello schema di diritti espresso dalla nozione di “cittadinanza” la cui coesione dipende dai legami di identità. Con la nuova Costituzione, le Stato plurinazionale della Bolivia ha sconvolto le basi della comunità politica e allargato il diritto di cittadinanza con il riconoscimento della diversità identitaria e culturale. La nozione di “nazioni e popoli indigeni originari contadini” implica una serie di aspetti che, senza negare i diritti individuali ereditati dal liberalismo politico, implicano i diritti collettivi di tali “nazioni e popoli”. E’ nel riconoscimento della diversità che la comunità plurinazionale boliviana trova le basi della sua coesione evitando che gli interessi etnici e regionali prendano il sopravvento sull’unità (pluri)nazionale.

Questo non si traduce unicamente in un nuovo schema dei diritti ma ha effetti sulle pratiche politiche e sulla trasformazione delle istituzioni. Cosi, lo Stato plurinazionale boliviano si fonda su due pilastri, la democrazia interculturale e le autonomie indigene originarie contadine. La democrazia interculturale é un dispositivo giuridico e ideologico che definisce il carattere plurale della democrazia boliviana: “la democrazia interculturale… é fondata sull’esercizio complementare e a pari condizioni di tre forme di democrazia: diretta e partecipativa, rappresentativa e comunitaria” (art. 7, Legge del regime elettorale).

La democrazia interculturale vincola la democrazia intesa nella sua accezione liberale e minimalista -compresa come il meccanismo che permette l’elezione delle autorità tramite procedimenti come il voto segreto universale – a usi e procedimenti propri alle nazioni e ai popoli indigeni originari contadini. Le autonomie indigene si concepiscono come spazi territoriali nei quali é possibile generare istituzioni che si adattano alla società boliviana e che, a loro volta, esigono che lo Stato si adatti alla pluralità dei soggetti e delle esperienze storiche della sua gente.

Le autonomie indigene sono iscritte nella Costituzione e nella Legge-quadro delle Autonomie e della Decentralizzazione. Il 2 di agosto del 2009, il presidente Morales aveva convocato, congiuntamente alle elezioni generali, una consultazione popolare sulla conversione di entità municipali in autonomie indigene. Il testo votato stabiliva una serie di requisiti destinati a provare “l’ancestralità” dell’occupazione di territori, l’esistenza pre-coloniale dei popoli che abitavano questi territori e l’esistenza di una comune identità culturale (art.5, Decreto Supremo 231/2009). Malgrado i disaccordi delle popolazioni indigene ed il manifesto rifiuto da parte loro dei requisiti imposti, la cosa suscitò molte aspettative in materia di autonomie future nel quadro dello Stato plurinazionale.  Però, vista la sua visione centralizzatrice, il MAS mostrò poco entusiasmo e la consultazione ebbe luogo solo in una dozzina di municipalità, delle quali undici accettarono “l’autonomia indigena”. Oggi, tali forme di autogoverno sono realtà solo a Charagua, Uru Chipaya e Reqaypampa; dei processi analoghi sono in corso in sedici altri casi mentre, malgrado livelli di avanzamento molto differenti, il processo é paralizzato in una ventina di municipalità.

Questa problematica é stata completamente assente dal processo elettorale culminato con l’elezione del 19 dell’ottobre scorso: nel suo intento di legittimare la candidatura di Morales, il MAS non ha parlato d’altro che di crescita economica e di stabilità politica. Da parte sua, l’opposizione non ha per niente ripreso la tematica dello Stato multinazionale nel quadro della sua campagna se non per aggiungerlo alla lista delle realizzazioni del MAS da smantellare.

Non nuovo, il loro rifiuto dello Stato plurinazionale – già espressosi durante la consultazione del 2009 – é diventato, in questa occasione, parte integrante del discorso dell’opposizione per la quale si tratta o di abolirlo o di renderlo puramente decorativo – cosa con cui parti importanti del MAS si trovano d’accordo – diluendolo nella vecchia repubblica.

Unanime sul rifiuto dello Stato plurinazionale, l’opposizione però non ha mai dibattuto delle modalità di uscita da quel modello, né delle conseguenze della sua opposizione rispetto ai pilastri dello Stato plurinazionale: i diritti collettivi delle “nazioni e popoli indigeni originari contadini”, la democrazia interculturale e le autonomie indigene. Per l’ex-presidente della Comunidad Ciudadana, Carlos Mesa, “la nozione di Stato pluriculturale rappresenta senza dubbio una visione, però non abbandona le premesse repubblicane e democratiche contenute nel testo che definisce la nostra nazione”. Per parte sua, Victor Hugo Cardenas, primo vice presidente di origine aymara (1993-1997), si é riferito alla ricostruzione di una repubblica capace di combinare principi democratici e valori cristiani mentre l’ex senatore di Santa Cruz, Oscar Ortiz del Movimento democratico e sociale parla, lui, di federalismo e di approfondimento delle autonomie dipartimentali.

Dopo la rinuncia di Morales il 10 novembre, Luis Fernando Camacho e Marco Punari, i principali ideatori del Golpe con l’appoggio e la protezione della polizia e delle forze armate, al momento di entrare nel Palazzo presidenziale stesero per terra la bandiera nazionale sulla quale posarono una copia della Bibbia. Come se si fosse trattato dello stesso rituale, il 13 novembre, la senatrice Jeanine Añez, proclamata presidentessa ad interim e ricevuta l’investitura da parte di un militare, è entrata nella sede del governo con in mano un’enorme Bibbia ringraziando “dio – che ci benedica e illumini – di aver permesso alla Bibbia di tornare nel Palazzo”. I giorni seguenti, l’incendio da parte di oppositori a Evo Morales della wiphala, la bandiera multicolore simboleggiante le nazioni e popoli indigeni, ha suscitato ampie proteste che hanno allertato le nuove autorità.

Senza legami organici con il MAS, gli abitanti delle città di El Alto e di Cochabamba ed altre popolazioni e aree rurali si sono massicciamente mobilitate in segno di protesta costringendo la polizia a scusarsi d’aver bruciato la wiphala mentre, in un’intervista rilasciata a Washington il 12 dicembre, Camacho dichiarava di “assumere la propria ignoranza”, e di riconoscere “di non sapere che la wiphala non era la bandiera del MAS ma la rappresentazione degli indigeni”.

Come in una messa in scena, il governo di transizione ha poi nominato Rafael Quispe – un ex deputato di origine indigena e fervente oppositore à Morales – alla testa del Fondo di sviluppo indigeno. Vari dirigenti hanno partecipato alla cerimonia della sua entrata in funzione, fra i quali la presidente ad interim che, vestita con tanto di poncho e cappello tradizionali, ha addirittura abbozzato qualche passo di una pinquillada. (3)

Ma, al di là di alcuni atti simbolici, il rischio é reale che le conquiste ed i successi ottenuti dalle nazioni e dai “popoli indigeni originari contadini” siano minacciate. Le stragi di Sacaba, a Cochabamba il 16 novembre (4) e di Sekata, a El Alto, il 19 novembre (5) così come l’incalzare della polizia e delle forze armate contro le popolazioni del Tropico de Cochabamba (6) suonano il colpo di inizio di un processo di criminalizzazione dei settori sociali vicini al MAS, criminalizzazione però avvolta di buoni propositi sulla “difesa della democrazia”.

A pochi giorni dalla scadenza del deposito delle candidature alle presidenziale del 3 maggio, gli sviluppi della situazione politica sono marcati dall’incertezza. Il MAS ha ratificato la scelta, fatta a Buenos Aires da Morales ed i suoi stretti collaboratori, di presentare un ticket formato dall’ex ministro dell’economia Luis Arce Catacora e dell’ex segretario di Stato David Choquehanca. Va detto che tale ratificazione non s’é fatta senza tensioni nella misura in cui il 23 gennaio, il Pacto de Unidad (7) si era riunito a El Alto per proporre una candidatura unitaria.

Da parte sua, l’opposizione si é rivelata incapace di proporre una candidatura unica. In tal modo, il 3 maggio saranno in corsa il binomio Camacho-Pumari, l’ex-presidente Mesa e l’attuale presidente di fatto Jeanine Añez la cui candidatura ha smosso le placche tettoniche dello spazio anti-MAS.

Al di là della disputa del potere statale, ciò che é in gioco con le elezioni non é solo la struttura legale e normativa dello Stato plurinazionale, ma il contenuto stesso della cittadinanza ed i vincoli alla base della comunità politica. Le riforme che potranno essere proposte al modello di Stato definiranno questi contenuti e, sopratutto, l’avvenire delle possibilità di sperimentazioni democratiche – quali la democrazia interculturale e le autonomie indigene- che permettono di garantire l’articolazione democrazia -interculturalità a pari condizioni. Si tratta cioè di pensare più in là della stretta congiuntura politica.

* Politologa, insegnante all’Istituto degli alti studi nazionali (IAEN), Ecuador e autrice di La plurinacionalidad desde abajo. Autogobierno indígena en Bolivia y Ecuador (Flacso, Quito, 2018).

Traduzione dallo spagnolo di P. Gilardi

Tratto da:www.nuso.org

Nueva Sociedad, gennaio 2020

NOTE

1) Alvaro Garcia Linera e Luis Arce Catacora, rispettivamente vice-presidente e ministro dell’economia e delle finanze di Evo Morales.

2) Vittorioso alle elezioni del 1951, il Movimento nazionalista rivoluzionario, partito della piccola e media borghesia no può accedere al governo perché l’esercito gliene impedisce l’accesso. In reazione, i minatori intraprendono, malgrado una repressione feroce che fece più di 600 morti, una marcia sulla capitale La Paz ed impongono, il 9 aprile del 1952,  un nuovo governo del MNR con il sostegno dei sindacati. Questo governo, che impose l’abolizione della servitù nelle campagne, la riforma agraria, la nazionalizzazione delle più grandi compagnie minerarie del paese ed il suffragio universale, fu rovesciato nel novembre del 1964 da un colpo di Stato militare.

3) Pinquillada, danza tradizionale delle popolazioni aymara.

4) Il 16 novembre esercito e polizia hanno aperto il fuoco contro una manifestazione di contadini cocaleros intenzionati a  raggiungere il centro di Cochabamba: risultato 9 morti ed un centinaio di feriti gravi.

5) Il 19 novembre l’esercito interviene per forzare un blocco che impedisce l’approvvigionamento di petrolio uccidendo 6 manifestanti e ferendone 30 altri.

6) Da metà gennaio, la regione detta del Tropico di Cochabamba, porta di ingresso ai territori indigeni, é parzialmente occupata dall’esercito malgrado la resistenza della popolazione

7) Pacto de Unidad: fronte ampio composto da forze sociali e sindacali e dallo stesso MAS.

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