MADURO, ULTIMO BALUARDO?

di Paolo Gilardi. 

Alcuni compagni e lettori di Rproject ci rimproverano una posizione “ambivalente” in merito all’attuale situazione venezuelana ed affermano che, nello scontro tra Maduro e Trump non esisterebbe alternativa allo schierarsi dalla parte del presidente eletto del Venezuela.

Il problema però é che la situazione é leggermente più complessa nella misura in cui lo scontro non si riassume ai due presidenti sopracitati, ma si svolge tra le masse lavoratrici da un lato e le classi dominanti coordinate tra di loro sul piano locale e, soprattutto, continentale, dall’altro.

Nel 2002 il popolo sconfisse il golpe

Che il tentativo di golpe sia l’espressione di una congiura internazionale diretta da Washington con l’appoggio ed il sostegno in loco di presidenti di stati sud-americani quali Duqué e Bolsonaro, l’abbiamo detto e scritto.

Il problema é di sapere come, di fronte ad una tale coalizione – che non esclude alcuna forma di ingerenza, compreso l’intervento militare – si possa costruire un rapporto di forza sufficiente per sconfiggere i piani delle destre locali e continentali e rispondere ai bisogni della popolazione venezuelana.

Nell’aprile del 2002, quando le destre deposero Chavez, la reazione di milioni di lavoratrici e lavoratori, di abitanti delle favelas – che non sono una realtà della sola città di Rio – fu di scendere massicciamente in piazza per difendere il processo bolivariano. Con successo, d’altronde, perché il golpe fu stroncato dopo sole 47 ore.

Negli scorsi giorni invece, decine o forse anche centinaia di migliaia di loro é per partecipare alle manifestazioni degli eversori che sono scesi nelle strade, non per difendere Maduro.

Quel che resta da difendere

Il contrario sarebbe stato sorprendente, in un paese allo stremo con un’inflazione dell’ordine del 1.000.000%, con la rarefazione dei beni di prima necessità quali la farina, con l’arroccarsi al potere di Maduro & Co., con la repressione – che non colpisce solo i golpisti – e le violenze perpetrate dai coletivos, le milizie legate al presidente dell’Assemblea costituente, Diosdado Cabello.

Nel 2002, é per la difesa di alcune conquiste faro – quali il diritto alla casa, all’educazione, alle cure mediche – che la gente aveva difeso Chavez. Oggi, tali conquiste, formalmente restano, non sono state annullate. Lo saranno se il golpe dovesse vincere. Sono però state svuotate di ogni contenuto nella misura in cui per il governo, le priorità sono altrove.

Il fatto di continuare a pagare il debito estero per non esporre il regime a ritorsioni priva il Venezuela dei mezzi necessari per concretizzare quelle conquiste, per finanziare e quindi rendere reali quei diritti.

Svendere i buoni della PDVSA alle grandi compagnie nord-americane – il che garantisce i privilegi della casta militare che dirige gli accordi misti – non ha più niente a che vedere con i diritti iscritti nella costituzione voluta da Chavez e per la quale le classi lavoratrici erano scese in piazza. Anzi, é una violazione flagrante di quella costituzione che stima inviolabile la proprietà pubblica delle risorse nazionali.

Ridurre drasticamente i diritti delle popolazioni dell’arco minerario dell’Orenoco al fine di permettere e facilitare lo sfruttamento delle risorse del sottosuolo da parte delle compagnie miste – controllate dalle forze armate e da compagnie private straniere – non ha certo di che suscitare mobilitazioni di sostegno al governo.

Parole, parole…

Ed é in questo senso che ridurre lo scontro in termini di imperialismo o anti-imperialismo non ha alcuna utilità, perché se, da un lato, l’imperialismo é ben presente, dall’altro, l’anti-imperialismo é di pura facciata. Parole, parole…

E’ quindi sul rifiuto dell’ingerenza straniera, del golpe, sulla difesa dei diritti accordati dal processo bolivariano, sul controllo operaio sulla produzione e la distribuzione delle ricchezze, sulla fine delle misure repressive, che può costruirsi il rapporto di forza che permetta di resistere all’attacco delle classi dominanti.

28 gennaio 2019

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