LE FILIPPINE DI DUTERTE

L’elezione alla presidenza di Rigoberto Duterte ha rivelato e amplificato la crisi del sistema politico nelle Filippine, l’apertura di un periodo di incertezza che è ancora lungi dall’essere concluso. Prima e dopo le elezioni del 9 maggio 2016, le varie forze della sinistra hanno dovuto prendere una posizione nei confronti di un candidato marginale la cui vittoria sembrava per lungo tempo inconcepibile, ma che ha ricevuto un enorme sostegno popolare, fino al punto di trasformare completamente il gioco elettorale. Infatti, il futuro della sinistra è in larga misura determinato oggi.

Il nuovo presidente conduce un discorso (grossolanamente) di rottura e coltiva l’ambivalenza politica. Per alcune correnti (in particolare il Partito comunista delle Filippine, CPP, Mao-stalinista) Duterte può “cadere verso sinistra”. Per gli altri, è già caduto a destra ricorrendo ad esecuzioni extragiudiziali nella sua “guerra alla droga” e brandendo lo spettro della legge marziale. Tutti loro, però, stanno cercando di proporre i loro obiettivi cercando di sfruttare le promesse elettorali del candidato eletto, una situazione interna caotica e le opportunità reali createsi, come l’impegno per dei negoziati di pace in un paese segnato da conflitti armati che stanno durando da cinquant’anni.

Dopo essere stato eletto il 9 maggio 2016, Rigoberto Duterte è ufficialmente in carica dal 30 giugno. E’ stato, tuttavia, il meno presidenziale di tutti i candidati. La sua campagna è iniziata come uno scherzo e si è conclusa con un trionfo, accumulando record e “primati”: un altissimo tasso di partecipazione alle elezioni presidenziali (81%); il maggior numero di voti mai ottenuti in tale votazione (15 milioni); il primo candidato vittorioso proveniente da Mindanao, la grande isola nel Sud dell’arcipelago; una rapida conquista del potere da parte di una figura locale, che non appartiene a nessuna di quelle tradizionali “grandi famiglie” che determinano la politica nazionale; un rating di supporto superiore al 90 per cento (il 65% un centinaio di giorni più tardi). Egli è anche il presidente più anziano mai eletto nel paese (ha 71 anni).

Partendo dal nulla, ha vinto la scommessa ed è diventato premier ottenendo un massiccio sostegno tra gli strati popolari, ma anche, va sottolineato, tra le classi medie come pure tra quelle élites che ama insultare.

Una scossa a chi è al potere: la crisi del regime

Dal momento del rovesciamento della dittatura di Marcos, nel 1986, i candidati minori o outsiders hanno più volte vinto le elezioni presidenziali. Questa volta, però, Duterte è stato accompagnato da una enorme ondata di protesta, una “rivolta elettorale”, a tal punto che i partiti tradizionali hanno dovuto rinunciare all’idea di manipolare i risultati per sbarrare la strada ad un uomo pericolosamente imprevedibile. “Diamo un calcio a chi detiene il potere!” Abbiamo visto la forza di questo rifiuto in molti paesi. Una onda che ha raggiunto le Filippine, con una forza raramente eguagliata.

La vittoria di Duterte rivela la portata del fallimento dell’amministrazione uscente del presidente Benigno “Noynoy” Aquino III, che era diventato l’incarnazione del clientelismo e del regno delle dinastie familiari, della corruzione istituzionalizzata, dell’indifferenza delle élite per quanto riguarda il destino del popolo [1], dell’incompetenza e della mancanza di coraggio politico [2]. Il tempo degli Aquino si era (ri)aperto con l’assassinio di Benigno “Ninoy” Aquino Jr. nel 1983 sotto la dittatura e l’elezione della vedova Corazon ( “Cory”) tre anni dopo. Questa era si sta chiudendo – dopo varie vicissitudini – con la caduta del figlio.

Le lotte di potere all’interno della borghesia filippina sono regolate tra le grandi famiglie di Luzon (nel nord dell’arcipelago) e parte delle Visayas centrali (le isole di Negros, Cebu …). La politica è un investimento finanziario e le posizioni acquisite sono un modo per farlo fruttificare. Le alleanze di circostanza sono fatte e rotte tra le dinastie regionali nel processo elettorale, poi nella costruzione di maggioranze presidenziali nella Camera dei Rappresentanti e del Senato. I cambi di appartenenza politica e di partito degli eletti sono comuni, perché aderire ad un partito non è una scelta fatta sulla base di un qualche programma.

Questo sistema politico è a corto di fiato.

Mindanao è la seconda isola più grande dell’arcipelago delle Filippine in termini di superficie e di popolazione. Eppure è stata tenuta fuori dalla politica nazionale, in quanto è sempre servita come riserva elettorale: i partiti sono lì per comprare i voti che mancano alle elezioni nazionali. Anche se lui stesso è stato generato da una dinastia locale del Visayas di Cebu [3], Rigoberto Duterte, il sindaco di Davao (nella parte orientale di Mindanao) è stato in questo senso veramente un outsider. Nel corso della sua campagna, non ha mai perso l’occasione per denunciare “l’imperiale Manila” e chiamare regolarmente i membri dell’amministrazione con il termine “stronzi”. Più di chiunque altro, è riuscito a cristallizzare il rifiuto viscerale dell’establishment.

Una caricatura di populista, Duterte ha guadagnato una reputazione in tutto il mondo per la brutalità “in stile Trump” delle sue osservazioni, che vanta di avere con freddezza giustiziato dei delinquenti nella città di cui è sindaco, o rimpianto di non essere stato il primo a “passare sul corpo” di una suora australiana violentata e uccisa dai criminali in fuga (che ha poi liquidato) [4]. Le sue posizioni grossolanamente machiste hanno rafforzato la sua immagine di uomo d’azione.

Il Dutertismo al potere

Rigoberto Duterte ha rischiato di trovarsi di fronte ad una Camera dei Rappresentanti e del Senato in gran parte dominate dall’opposizione; ma le elites filippine sono quello che sono, i nemici di ieri si sono mobilitati in maniera massiccia a fianco del vincitore formando una “grande coalizione” presidenziale. Da allora, egli ha condotto la sua politica con poche barriere istituzionali. Presentiamo qui brevemente  alcuni aspetti particolarmente importanti, al fine di comprendere le posizioni assunte dalla sinistra filippina. [5]

I ministri scelti dal PCP, negoziati di pace

Rodrigo Duterte si basa su un piccolo gruppo di stretti collaboratori nei quali ha una fiducia personale, tra cui Leoncio “Jun” Evasco Badilla Jr., Segretario del Consiglio dei Ministri.

Duterte ha nominato ai posti di governo uomini  di destra e diretti rappresentanti delle classi dominanti; ma ha anche chiesto al Partito Comunista delle Filippine/Fronte Nazionale Democratico (CPP-NDF) di scegliere quattro potenziali ministri: Joel Maglunsod è stato nominato sottosegretario del Dipartimento del Lavoro e occupazione (Dole). Judy Taguiwalo è segretario del Dipartimento de Welfare sociale e lo sviluppo (DSWD) e Rafael Mariano del Dipartimento della riforma agraria (DAR). Per quanto riguarda Liza Maza, si è ritrovata a capo della Commissione nazionale per la lotta contro la povertà.

Duterte ha annunciato durante la campagna che avrebbe aperto i negoziati di pace con il CPP e la sua guerriglia: il Nuovo esercito del Popolo (NPA). Egli ha preso l’iniziativa di un cessate il fuoco unilaterale, che sembrava incerto fino a quando un cessate il fuoco, questa volta bilaterale, è entrato in vigore il 27 agosto. Ha liberato 22 quadri di partito incarcerati in modo che potessero partecipare alle discussioni che hanno avuto inizio alla fine del mese di agosto a Oslo (Norvegia) [6].

La partecipazione pubblica del CPP nel governo crea ovviamente una situazione completamente inedita per le Filippine. Il suo giudizio sulla presidenza Duerte è vigorosamente contestato a sinistra [7].

I negoziati di pace a Mindanao

Il sud delle Filippine è stata teatro di numerosi conflitti armati; la popolazione musulmana vive prevalentemente lì.

Il regime Aquino aveva presentato un accordo di pace con il Moro Islamic Liberation Front (MILF), attualmente considerata come la principale organizzazione armata musulmana; ma la sua ratifica da parte del Congresso non ha avuto luogo. Rodrigo Duterte vuole far rivivere il processo integrando in questo momento il Fronte Nazionale di Liberazione Moro (MNLF) e le Lumad (comunità montane) e i cristuani (la “maggioranza della popolazione” dell’arcipelago).

L’istituzione di questo più ampio processo di negoziazione e di rappresentanza è una delle maggiori sfide del presente periodo, nel sud delle Filippine.

Dalla “guerra alla droga” alla minaccia della legge marziale

Duterte può fare il buffone e mettersi in posa da spaccone, ma non è che una finzione. Ha davvero fatto “ripulire” Davao City, consentendo alla polizia di operare impunemente, liquidando sommariamente  i delinquenti, gli spacciatori, i bambini di strada … noto come il “Sindaco delle squadre della morte”, è stato imitato in altre province. Ora sta applicando a livello nazionale questa sua politica sbrigativa. Egli ha ripetuto ad alta voce che ricoprirà con la sua autorità  tutti coloro che liquidano tossicodipendenti e spacciatori. Queste persone “non sono più esseri umani.” Perché dunque i loro diritti umani devono essere garantiti?

Il numero degli omicidi è in aumento. Le cifre tonde dicono che circa  3.500 persone sono state sommariamente colpite – un terzo da parte della polizia, un terzo dai “vigilantes” (paramilitari) e un terzo dai vicini, le gangs, ecc.

Rodrigo Duterte ha la responsabilità politica e morale per questa follia omicida, visto che ha più volte dato il via libera ad esecuzioni extragiudiziali.

Funzionari, giudici e personalità sono stati denunciati dal presidente, che ha minacciato di giustiziare, ma per ora solo i poveri sono state le vittime degli squadroni della morte. Più di 600.000 sospetti si sono arresi alla polizia per paura di essere eliminati – al punto che l’amministrazione non sa dove metterli.

Dopo un attacco commesso a Davao dal gruppo di rapitori di Abu Sayyaf , Duterte ha introdotto lo stato di emergenza in tutto il paese. Ha brandito la minaccia di stabilire la legge marziale. In questa atmosfera velenosa, anche i vari quadri delle organizzazioni popolari (contadini, abitanti delle città poveri, sindacati) sono stati uccisi con una procedura simile a quella dei “vigilantes”. [8] Ciò è accaduto in particolare a Cebu ad un membro del partito dei lavoratori (PM) [9] e in Luzon ad un militante del Kilusan [10].

Sotto la dittatura di Marcos, molti attivisti sono stati rapiti, torturati e giustiziati. Da allora, in particolare i proprietari terrieri, ma anche i boss, hanno ucciso gli “elementi” troppo fastidiosi. Tuttavia, questa è la prima volta che nelle Filippine queste violazioni estreme dei diritti umani sono state apertamente rivendicate e assunte dalla massima autorità del Paese – almeno per quanto riguarda la guerra alla droga. Duterte ha anche minacciato di uccidere i lavoratori che “sabotano” lo sviluppo economico del paese.

Estrattivismo e la precarietà dei contratti di lavoro

Nel complesso, il programma socio-economico di Duterte è (ultra) liberale; ma su due questioni in particolare, apre una finestra per le azione dei movimenti popolari: l’estrazione del carbone e la politica dei contratti di lavoro precari (contrattualizzazione). Numerosi lotte locali sono in corso contro l’industria del carbone; uno dei principali campagne dei sindacati di sinistra ha come bersaglio specificamente l’uso generalizzato di forza lavoro precaria.

Politica estera

Nelle ultime settimane, rispondendo alle critiche internazionali nei confronti del mancato rispetto dei diritti umani, Rodrigo Duterte sta minacciando sempre più apertamente di aprire il paese ai cinesi e ai russi. Lo fa con la sua solita maleducazione da “macho”.

Così, ha chiamato l’ambasciatore degli Stati Uniti un “puff” (checca) e un “figlio di puttana” – poi ha usato la seconda espressione per lo stesso Obama. Ha detto che le forze speciali degli Stati Uniti dovrebbero ritirarsi da Mindanao. Ha detto al Parlamento europeo di andare “a farsi fottere [inculare]” unendo il gesto alla parola. Egli ha dichiarato agli investitori occidentali preoccupati per il deterioramento del clima politico “di andare al diavolo” e che avrebbe invitato il capitale cinese e russo a prendere il loro posto.

Egli sta sempre più moltiplicando le aperture verso Pechino. Si rifiuta per ora di utilizzare la sentenza della Corte permanente di arbitrato dell’Aja per riconoscere la sovranità delle Filippine sul Panatag Shoal (Scarborough Reef), occupato dalla Cina. Egli invita la Cina ad investire massicciamente nel suo paese e non ha una parola da dire contro di essa …

Per il momento si tratta solo di chiacchiere. Non sono state ancora adottate misure concrete per rivedere gli accordi militari con gli Stati Uniti che permettono alla Settima Flotta di usare i porti delle Filippine e le sue forze speciali per istituire centri di consulenza. In termini economici, la revisione costituzionale annunciata da Duterte infatti si propone di eliminare le restrizioni che limitano la libertà di investimenti esteri – tanto peggio per il nazionalismo.

Rigoberto Duterte è semplicemente impegnato in una partita a poker, agita lo spauracchio cinese per ottenere il massimo delle concessioni dagli Stati Uniti, la potenza tutelare; o egli ha davvero intenzione di mettere in discussione gli allineamenti strategici in questa parte del mondo – e in primo luogo, non sa davvero cosa vuole – o sta navigando senza bussola in acque asiatiche sempre più agitate? La domanda  non dovrebbe essere posta, data l’importanza delle questioni regionali e nazionali.

Dove sta andando Duterte?

Se non c’è tuttavia spazio a dubbi, è perché il nuovo presidente delle Filippine è un uomo impegnato e, come si dice, “pragmatico”. Ha vinto le elezioni in modo trionfale promettendo di cambiare radicalmente le cose da tre a sei mesi.

La “guerra alla droga” è stata lanciata non appena la sua elezione è stata confermata.

Tuttavia, Duterte ha annunciato che ha bisogno di una proroga di altri sei mesi. Rischia così di impantanarsi, diventando una mortale “guerra senza fine”.

I negoziati di pace sono in corso con la CPP e sono stati annunciati a Mindanao – ma nessuno può aspettarsi una soluzione che sia favorevole e rapida.

Tuttavia, Duterte non può permettersi l’inazione, che fornirebbe l’occasione per alcuni dei suoi attuali “amici” a rivoltarsi contro di lui. Non ha una base di potere propria; per sopravvivere, deve condurre una guerra permanente di movimento.

Un massiccio afflusso di capitali cinesi permetterebbe a Duterte di prendere l’iniziativa su un nuovo fronte: gli investimenti, le grandi opere pubbliche, l’occupazione … L’idea è allettante, ma rischiosa. Barack Obama ha già chiaramente espresso la sua esasperazione annullando un incontro con il presidente delle Filippine. L’elite delle Filippine ha stretti legami storici con gli Stati Uniti, l’ex potenza coloniale; così li ha l’esercito. Per gli Stati Uniti, a sud-ovest del Giappone, nessun paese può sostituire le Filippine. Duterte sta giocando un gioco di tensione, ma in una regione che è già oggetto di un elevato grado di tensioni geopolitiche. Questo è un gioco ad alto rischio.

Posizioni a sinistra

Il panorama della sinistra filippina si sta trasformando e nuovi sviluppi sono in corso. Cerchiamo di avere un’idea di quello che sta succedendo, senza pensare di essere esaustivi.

Akbayan

Questo partito si è formato nel 1998 dal raggruppamento di correnti provenienti dalla sinistra cristiana, il CPP e il NDF, il “vecchio” Partito comunista (PKP), personalità marxiste e socialiste indipendenti … Nonostante i suoi legami con il movimento sociale, dal momento che nel 2009 Akbayan ha deciso di smettere di essere una forza di opposizione rappresentata alla Camera bassa, per unirsi in una coalizione presidenziale, il terreno elettorale ha rapidamente affermato la sua legge. Alleato nel 2010 con Benigno “Noynoy” Aquino III, entra a far parte del governo. Nonostante il proliferare di scandali, non si sono mai rotti i ranghi. [11]

Nel 2016, per la prima volta, Akbayan è riuscito a far eleggere al Senato Hontiveros-Baraquel  (ma ad avere solo un MP deputato nella camera bassa). Ma questa potrebbe essere una vittoria di Pirro. Questo partito è ora politicamente identificato con il disastro dell’amministrazione uscente. La sua leadership si è riunita intorno a Bisig, diventando una macchina elettorale; essa non rappresenta più l’arco di correnti che hanno partecipato alla sua fondazione. Tuttavia, l’evoluzione delle correnti sindacali e del movimento sociale che sono o sono state collegate ad Akbayan rimangono una cosa da seguire con attenzione.

Il Partito Comunista delle Filippine

Quando il CPP si rese conto che Rodrigo Duterte avrebbe potuto vincere le elezioni, lo ha sostenuto, anche se prima aveva fatto la  campagna per Grace Poe. Per anni, le forze della guerriglia del partito hanno concluso una sorta di accordo di non interferenza con il “Sindaco delle squadre della morte” nella provincia di Davao.

Jose Maria Sison – figura tutelare del partito che vive a Utrecht (Paesi Bassi) – ha accolto con particolare favore l’uomo che una volta era il suo allievo, pensando che forse potrebbe essere il primo presidente di sinistra nelle Filippine [12]. Nonostante dissensi sorti all’interno del partito dopo le elezioni del 9 maggio, Sison ha risposto favorevolmente alla offerta di dialogo lanciata da Duterte, mentre altri hanno denunciato il carattere elitario della nuova presidenza. Un accordo (temporaneo?) sembra essere stato fatto per permettere di partecipare al governo e aprire un nuovo ciclo di negoziati.

Il CPP ha sostenuto la politica della “guerra alla droga”, offrendo anche dei contribuire ad essa. [13] In una recente dichiarazione, Sison menziona le critiche alla violazione dei diritti umani, ma senza riprenderle. Nel paragrafo successivo si denuncia l’uso che Obama ha fatto di questo problema. Da questo punto di partenza, si getta sospetti su tutti coloro che attaccano Duterte per questi motivi. [14]

La coppia Benito e Wilma Tiamzon incarnano la leadership “degli interni” del CPP. Arrestato nel 2014 e ora rilasciati per partecipare ai negoziati di Oslo, hanno espresso il loro sostegno alla presidenza in una intervista (“la traiettoria d’insieme è chiara”), semplicemente sperando che Duterte adotti le misure pratiche per attuare la sua politica di indipendenza nei confronti degli Stati Uniti [15].

Non è chiaro in che campo sociale Duterte darà acqua al mulino ai ministri che sono vicini o membri del CPP. Tuttavia, questa è probabilmente la questione dei colloqui di Oslo che sarà decisiva. Il nuovo presidente deve convincere l’esercito che sa quello che sta facendo impegnandosi in questa trattativa. Ha bisogno di risultati. Pensa forse che in alcune regioni, almeno, i guerriglieri, in declino, siano alla ricerca di una via d’uscita dopo più di cinquanta anni di combattimenti; e deve aver seguito con interesse ciò che sta accadendo in Colombia (l’accordo con le FARC). Per ora, ovviamente, la delegazione del CPP di Oslo è accampata sulle posizioni classiche, vale a dire una politica di negoziato politico, senza fine.

Visto da sinistra, la dinamica dei negoziati costituiscono certamente una delle principali questioni concrete della situazione che si sono aperte con con la vittoria di Rodrigo Duterte.

Nell’opposizione: i diritti umani e la democrazia

Tutte le correnti di sinistra sono consapevoli che la crisi del regime hanno aperto delle opportunità in vari campi. [16] Stanno tutti cercando di cogliere l’opportunità di conquistare vantaggi reali per i lavoratori (a fronte di contratti precari …), per la popolazione locale (contro le compagnie minerarie …), per gli agricoltori (una ripresa della riforma agraria …), per i poveri (protezioni sociali …), per i lumad (diritti sui loro domini ancestrali …), ecc. Questo richiede una combinazione di fermezza, flessibilità e l’indipendenza politica.

Tuttavia, una frattura attraversa la sinistra non-CP (ONG, OP e politica) sulla questione dei diritti umani e della democrazia. Per alcuni, in nome di obiettivi sociali, non si deve condannare il governo in materia di diritti umani (la guerra alla droga) e la democrazia (lo spettro della legge marziale). Per altri, al contrario, queste questioni sono troppo gravi per tacere. Molto rapidamente, su iniziativa di Walden Bello in particolare [17], una serie di organizzazioni si sono dichiarati in opposizione al nuovo governo, cercando nel contempo di mobilitarsi per ottenere vittorie concrete fino a quando la situazione rimane fluida.

Molte forze si ritrovano insieme per denunciare la decisione di Duterte di tumulare i resti dell’ex dittatore Ferdinand Marcos nel cimitero degli eroi nazionali. [18]

iDEFEND

Nel frattempo, il movimento di protesta democratica ha continuato a crescere. Una coalizione di nome iDEFEND, costituita il 12 agosto, ha condotto una battaglia frontale sulla questione dei diritti umani. Si sta ampliando e indurendo la sua posizione man mano che la situazione peggiora.

Nella sua ultima dichiarazione, si legge in particolare:

“La democrazia oggi è in pericolo. Il 4 settembre, il presidente ha messo l’intero paese sotto lo stato di emergenza (…), a tempo indeterminato. Di recente, siamo stati testimoni dell manifestazione più viva del fallimento della democrazia, con l’espulsione della senatrice de Lima della sua posizione alla testa della Commissione di giustizia su ordine del palazzo presidenziale. Questa è stata l’ultima mossa dell’esecutivo per ottenere il controllo totale del Congresso. (…) L’intero paese ha assistito al modo con cui il Presidente ha minacciato con rabbia di dichiarare la legge marziale quando la Corte ha affermato la sua autorità su tutto ciò che riguarda l’indagine sui giudici i quali secondo il Palazzo presidenziale erano legati alla droga. Quaranta quattro anni fa, Marcos ha dichiarato la legge marziale. Oggi, siamo di fronte a una minaccia simile, se non una minaccia maggiore, alla nostra vita, alla libertà e ai diritti democratici ». [19]

Stop the War Coalition

La coalizione “Stop the war” sta intervenendo su una gamma molto più larga rispetto i temi che sono indicati nel suo nome. Ha pubblicato una delle prime analisi critiche del regime Duterte. [20] Si denuncia il debito ereditato dalla dittatura di Marcos (un debito che Duterte non ha messo in discussione) e lotta contro i cambiamenti climatici (che Duterte non vuole sentire parlare). Non vuole il dominio degli Stati Uniti per essere sostituito da quello della Cina, la nuova potenza mondiale.

Partido Lakas ng  Masa (PLM)

PLM (Partito della forza delle masse), in una dichiarazione del 7 settembre ” chiede uno stop alle uccisioni di massa dei consumatori di droga sospetti e degli spacciatori nelle comunità povere urbane. La campagna contro la droga potrebbe essere semplicemente una operazione di polizia intensificata puntando più sui grandi signori della droga e i loro protettori.” [21]

Partido Manggagawa (PM)

I dirigenti del PM (Partito dei Lavoratori) hanno dichiarato il 21 settembre: “In questo 44 ° anniversario della legge marziale, la lotta per i diritti umani e la democrazia per tutti rimane tanto pertinente ed essenziale  che mai. (…) Le libertà civili e le libertà democratiche sono sotto un chiaro e presente pericolo  (…) Le esecuzioni extragiudiziali fatte in nome della guerra alla droga vanno ora a toccare i difensori dei diritti umani “. [22]

Rebolusyonaryong Partido ng Manggagawa – Mindanao (RPM-M)

Il 12 giugno, il RPM-M (Revolutionary Workers Party – Mindanao) ha dichiarato: “Si dichiara un cessate il fuoco unilaterale con il CPP-NPA con le organizzazione e ai suoi membri, se questo sviluppo significa la vittoria delle forze democratiche nel paese e una spinta per un movimento rivoluzionario delle Filippine più dinamica e rinnovata. “. [23]

Il partito comunista Mao-stalinista ha infatti attaccato i quadri delle altre organizzazioni rivoluzionarie, come il RPM-M, che spera che la situazione attuale possa contribuire a portare alla conclusione un conflitto che ritiene fratricida.

In un testo pubblicato il 4 settembre, dopo l’attacco da parte di Abu Sayyef a Davao, il RPM-M e l’Esercito popolare rivoluzionario (RPA) esprimono “la stessa rabbia contro il terrorismo e le droghe illegali, ma abbiamo riserve sulla dichiarazione formale dello Stato di emergenza nazionale. Come sperimentato nel paese, il massiccio dispiegamento e la mobilitazione del personale militare e della polizia hanno portato alla massiccia riduzione delle libertà civili civili. Questo può essere utilizzato anche dal gruppo militarista all’interno del governo di Duterte  e per gli interessi imperialisti delle potenze straniere in nome della campagna anti-terrorismo e per stroncare sul nascere le iniziative nazionaliste all’interno del potere dominante del nuovo governo. (…) ”

“La guerra contro la droga, le azioni criminali e le attività terroristiche non devono rappresentare una minaccia per le libertà civili dei popoli e delle comunità, invece, deve al contrario garantire la creazione di più spazi per gli sforzi tesi a coinvolgere i popoli e le comunità stesse.” [24]

Terza via

I dibattiti all’interno della sinistra filippina a volte prendono una tono ultimatista e binario. In entrambi i casi o ci accoda a Duterte, oppure si finisce nel campo “giallo” (giallo è il colore della Aquino).

La sinistra filippina nel suo complesso oggi si è indebolita, anche se essa rimane una delle più vivaci nel sud-est asiatico. Dal 1980, non è stata in grado di riprendere l’iniziativa politica in modo durevole e si trova periodicamente ostaggio dei conflitti interno delle classi dominanti.

La crisi attuale del regime può favorire una ricomposizione della sinistra, capace di fornire un impulso per un nuovo dinamismo radicale e unitario. Questo non accadrà allineandosi con la presidenza Duterte (né, ovviamente, sulle rovine della precedente amministrazione). La situazione è complessa e le opportunità va colta – ma la nuova presidenza sta legittimando agli occhi della popolazione il potere arbitrario e l’uso di squadroni della morte. Un veleno mortale.

Pierre Rousset, 25 settembre 2016,

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