ISRAELE: GIORNI DIFFICILI

Pubblichiamo due articoli sulle elezioni che si sono tenute in Israele il primo novembre. Il primo articolo di Gilbert Achcar sottolinea il totale silenzio sui risultati elettorali da parte di quei paesi arabi che in questi anni hanno normalizzato i rapporti con Israele. Il secondo articolo di Sheren Falah Saab descrive il dibattito post elettorale in Israele in cui la “sinistra” sionista, per nascondere il proprio fallimento, incolpa di tutto ciò che accade nel paese, compresa quest’ultima pesante sconfitta elettorale, alla popolazione araba.

IL FASCISMO SIONISTA E I SUOI AMICI ARABI

di Gilbert Achcar

Il tono diventato abituale nei commenti sul corso della vita politica nello Stato di Israele ormai da quarantacinque anni, con i titoli dei giornali quando si forma un nuovo governo israeliano, è “il governo più di destra governo nella storia di Israele”. Il fatto è che lo Stato di Israele e la società israeliana non hanno cessato di deviare verso destra da quando il partito Likud ha vinto per la prima volta le elezioni parlamentari nel 1977. Quella vittoria ha costituito con il passare del tempo una svolta storica decisiva: in quanto il dominio nello Stato sionista è passato, in una prospettiva a lungo termine, dal gruppo che lo ha fondato e che apparteneva alla corrente socialista internazionale, così che il giovane Stato, dopo la sua autoproclamazione nel 1948, sembrava il compimento di un’utopia socialista all’interno di un quadro coloniale, al suo opposto con la vittoria di un partito appartenente alla tendenza storica fascista.
A partire dal 1977, leggiamo spesso titoli che descrivono un nuovo governo sionista come “il governo più di destra nella storia di Israele”. L’identità stessa del colonialismo sionista dei coloni, non si è limitata all’arrivo del Likud che è salito al potere e lo ha tenuto al potere durante la maggior parte dei quarantacinque anni che sono trascorsi da allora. Il Likud ha portato al potere più gruppi estremisti (così come i nazisti sono più estremisti dei fascisti). Questo continuo declino verso l’“estrema destra” è passato attraverso un’alleanza con il partito “Israele casa nostra”, che afferma di essere più fedele all’eredità fascista di Jabotinsky rispetto al Likud, e ora ha raggiunto il suo punto più basso sulla scorta di Benjamin Netanyahu per alimentando la coalizione col “sionismo religioso”, tanto che quasi “il sionismo” ‘laico’ al suo confronto sembra moderato.

Al centro della coalizione del “sionismo religioso” c’è il leader del partito “Jewish Greatness” guidato da Itamar Ben Gvir, che è considerato il politico sionista più estremista, ed è un sostenitore del sionista-nazista Meir Kahane (morto nel 1990), il volto più importante dell’odio razzista ebraico nei confronti dei palestinesi e il più importante sostenitore della loro espulsione al di fuori di quello che chiamano “Eretz Israel”. Di Ben Gvir si sa che l’atrio della sua casa era fino a poco tempo fa decorato con un’immagine del criminale razzista Baruch Goldstein, che ha commesso il massacro della moschea di Abramo a Hebron nel 1994, uccidendo 29 fedeli.
E mentre i segnali lanciati dai governi occidentali esprimono la loro preoccupazione per l’alleanza di Netanyahu con questo gruppo e la partecipazione di quest’ultimo al governo che il leader del Likud sta cercando di formare, nessun segnale simile è mai stato lanciato da nessuno dei paesi arabi che hanno normalizzato i loro rapporti con lo stato sionista. Infatti, il re di Giordania, Abdullah II, il presidente degli Emirati Arabi Uniti, Mohammed bin Zayed, e il principe ereditario del Bahrein, Salman bin Hamad Al Khalifa, non si sono accontentati di inviare a Netanyahu un messaggio di congratulazioni simile a quello inviato al capo della giunta militare sudanese, Abdel Fattah, Al-Burhan, anzi, lo hanno chiamato telefonicamente per benedire il suo rinnovato incarico di formare il governo israeliano.
Così, i tratti dell’orribile scenario politico arabo guidato da Mohammed bin Zayed, complice dell’estrema destra globale, sono completi, come i media globali hanno iniziato a notare alla luce delle molte prove, l’ultima delle quali è stata l’inchiesta rivelata dal quotidiano “Washington Post” sabato scorso, condotta dall’intelligence americana. Come espressione della sua insoddisfazione per l’interferenza, gli Emirati Arabi Uniti, e in particolare il suo ambasciatore a Washington, Youssef Al-Otaiba, si sono intromessi nella politica interna americana. Il rapporto ha confermato quanto si sa sullo stretto rapporto tra gli Emirati Arabi Uniti e il leader americano di estrema destra, Donald Trump, che a sua volta si vanta dello stretto rapporto che ha con Netanyahu.
Trump ha supervisionato due anni fa, prima della fine del suo mandato presidenziale, la normalizzazione ufficiale dei rapporti tra gli Emirati di bin Zayed, insieme al Bahrein, e Israele di Netanyahu, noti come gli “Accordi di Abramo”. I commenti predominanti sui media internazionali all’epoca si riferivano alla debolezza dell’impatto di questo passo di “pace” sulla causa palestinese, come se lo scopo degli accordi fosse quello di alleviare la difficile situazione del popolo palestinese. Invece la verità e questi accordi non sono stati altro che un nuovo passo qualitativo in un lungo percorso di collusione di alcuni regimi arabi con lo Stato sionista a spese del popolo palestinese. In questa prospettiva, la benedizione dei leader di quei regimi per il ritorno al potere di Netanyahu, insieme alla figura di Baruch Goldstein, costituisce un incoraggiamento per il fascismo sionista ad andare avanti con le sue imprese criminali e a iniziare un nuovo, pericolosissimo capitolo della ormai cronica aggressione sionista contro la Palestina e il suo popolo.

Traduzione dall’arabo a cura della Redazione di Rproject utilizzando traduttori automatici.

Qui il testo originale tratto da www.alquds.co.uk

TEMPI DIFFICILI

di Sheren Falah Saab

Ci aspettano giorni difficili, ma ancora più deprimenti dei risultati elettorali di mercoledì sono l’arroganza e la spavalderia del campo “Chiunque tranne Bibi” e della sinistra sionista nel puntare il dito contro gli arabi. Chi meglio degli arabi, che sono già impantanati nella loro stessa palude e superano a malapena la soglia elettorale, può essere incolpato? Quindi calpestiamoli ancora un po’, in modo che tengano la testa bassa e stiano zitti.

Uri Misgav di Haaretz è stato il primo a lanciare questa accusa. In un post su Facebook, martedì sera, ha scritto: “Se gli exit poll hanno ragione, questo [Benyamin Netanyahu] è il grande vincitore delle elezioni. Balad e la Lista araba unita hanno fatto cadere il governo, si sono divisi, Balad è finito sotto la soglia elettorale di almeno due seggi, portando Netanyahu e Ben-Gvir al potere”.

La visione di Misgav non è diversa da quella del centro-sinistra lamentoso, che non oserà mai guardare negli occhi la società araba e considerarla un partner significativo.

Ora la colpa della vittoria di Ben-Gvir e compagnia viene addossata alla Lista Araba Unita, a Balad e ai suoi alleati, come se la colpa fosse esclusivamente loro. Ma la colpa è in realtà dell’accondiscendenza del campo “Chiunque ma non Bibi”, che nei mesi passati ha rifiutato qualsiasi possibilità di considerare gli arabi come partner autentici. Tutto è iniziato con l’ostracismo della (presto ex) membro della Knesset Ghaida Rinawie Zoabi, che ha avuto l’audacia di parlare come membro della Knesset araba in un partito ebraico di sinistra. Abbiamo visto dove inizia e dove finisce la democrazia di Meretz. L’impegno primario di Meretz è stato quello di votare con la coalizione, anche a costo di sostenere la macchina dell’occupazione.

È proseguita con il ministro dell’Energia Karine Elharrar del partito Yesh Atid, che in un’intervista a Radio 103 FM di due mesi fa ha dichiarato: “Purtroppo, la Lista araba unita non crede in un Israele come Stato ebraico e democratico. Pertanto, è impossibile fare una coalizione con loro”. Le osservazioni di Elharrar racchiudono la delegittimazione degli arabi in politica anche da parte del centro-sinistra. Non avete il diritto di piangere per l’ascesa dello Stato teocratico di Smotrich; per voi gli arabi non sono partner legittimi. In cosa siete diversi da Ben-Gvir?

E come se non bastasse, la settimana scorsa il deputato di Yesh Atid Merav Ben-Ari ha aggiunto benzina al fuoco su Twitter dipingendo gli arabi come gli unici responsabili delle rivolte nelle città miste arabo-ebraiche del maggio 2021. Il campo “Chiunque ma non Bibi”, che si fa portavoce di valori liberali, al culmine della sua ipocrisia, è essenzialmente vigliacco e razzista. Teme gli arabi e li incolpa ripetutamente di ciò che accade in questo Paese, compresa questa ultima, pesante sconfitta elettorale.

Sono state le vostre posizioni, il vostro palese razzismo, la vostra disperata adesione all’etichetta di “ebreo e democratico” a spianare la strada a Ben-Gvir e alle sue idee. Ma il vostro tempo è scaduto. Il gioco è finito.

La condotta del campo “Chiunque ma non Bibi” non era fondamentalmente diversa da quella della destra nel suo atteggiamento verso gli arabi. I leader politici arabi locali, quindi, non sono mai stati degni di fiducia. È comodo per Misgav e altri incolpare gli arabi, perché è difficile riconoscere il duro spostamento a destra della società ebraica israeliana e la sua crescente mentalità colonialista, non solo in relazione all’occupazione e al territorio al di là della Linea Verde, ma anche in relazione ai cittadini arabi in Israele. Per la prima volta, la paura e il sospetto si stanno davvero insinuando nella società ebraica, che dovrà anch’essa confrontarsi con la vita che gli arabi israeliani conoscono da oltre cinquant’anni.

Tratto da Haaretz, 2 novembre 2022

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