UNA DOMANDA A LEA TSEMEL

di Amira Hass

Perché i palestinesi non boicottano i tribunali militari israeliani? Questa è una domanda che sorge dopo aver visto “Advocate”, il recente documentario sull’avvocatessa per i diritti umani Lea Tsemel (1). Dopo 52 anni, c’è una conoscenza e una comprensione sufficienti a dimostrare che ciò che accade nei tribunali militari è una grande dimostrazione di legalità, protocolli ed equità. Ma sotto queste vesti in realtà vi è un regime di apartheid che rafforza la legge militare contro un popolo che non ha diritti e una giustizia contro la sovranità di un popolo. Perché accettare di essere solo attori in una sceneggiata che rafforza l’immagine dell’occupazione come legittima e normale?

La legge militare definisce la lotta contro l’occupazione come un crimine. Non c’è stato, né ci sarà mai, un giudice israeliano, militare o civile, che dirà che lanciare pietre o sparare ad un veicolo militare che protegge il furto di acqua e terra è una forma di giustificata autodifesa. Non esiste un giudice israeliano che dirà mai che ogni persona ha il diritto di unirsi ad un movimento di liberazione nazionale (a meno che non si parli di ebrei che sono stati precedentemente membri di organizzazioni come l’Haganah, Lehi o l’Irgun). Quando un palestinese si presenta di fronte a un giudice militare e accetta di relazionarsi con la sua incriminazione, equivale a convenire che gli atti di cui è accusato sono di fatto dei reati penali.

Questa domanda fondamentale si presenta anche dopo ogni visita alla Corte militare di Ofer, che si trova nel territorio della città palestinese di Beitunia, quando aspetti ore con i membri della famiglia per una breve udienza in cui potranno solo vedere il loro figlio da lontano, scambiarsi dei sorrisi e nascondere le proprie lacrime. Un giovane è stato condannato a sette mesi di prigione in quanto è stato assurdamente accusato di aver “letto versetti del Corano” . “E come gli avessero dato 70 anni ”, ha detto sua madre. “Lui ha lanciato pietre contro i veicoli nell’area tra Beit El ed Eli, nel periodo tra novembre 2016 e dicembre 2018.” Mentre quella specifica “accusa” è il prodotto della mia immaginazione, è basata sulla usuale folle formulazione di una messa di stato d’accusa in un tribunale militare.

È una domanda facile da porre, ma a cui è difficile dare una risposta. Prima di tutto, non può esserci davvero una forma di boicottaggio. Il tribunale militare è stato imposto ai palestinesi esattamente come gli insediamenti illegali e i sistemi di sorveglianza che li circondano. La domanda fondamentale: perché non dichiarare in anticipo di non riconoscere la legalità di questi tribunali dell’apartheid? Questo può essere espresso da un solo atto pratico: rifiutarsi di essere rappresentato da un avvocato, interrompendo così il sistema.

Ma solo quando questo non riconoscimento verrà fatto in massa, potrà avere la possibilità di fare la differenza. Questo sarebbe possibile solo se ci fosse un’organizzazione centralizzata che sia capace di imporre la disciplina a tutti i suoi membri che vengono arrestati. All’inizio dell’occupazione, tutti pensavano che fosse temporanea. L’illegalità fondamentale dei tribunali militari israeliani non ha prodotto immediatamente idee per tattiche unificate. Le organizzazioni palestinesi sono sempre meno centralizzate e disciplinate rispetto a quanto fanno pensare le loro immagini, e nel frattempo tutti si sono abituati alla routine di avere una rappresentanza legale.

La maggior parte dei detenuti, specialmente i più giovani, hanno agito in passato e continuano ad agire di propria iniziativa o attraverso iniziative locali. Anche se si identificano ideologicamente con una certa corrente, la disciplina organizzativa e la coscienza si sviluppano solo durante il periodo di reclusione. Durante il processo la famiglia si rivela più importante di qualsiasi organizzazione. E ciò che una famiglia vuole è ridurre al minimo il numero di mesi che il figlio dovrà trascorre in carcere, anche se ciò significa pagare una multa più alta, che li indebiterà.

Tutto ciò che riguarda i tribunali militari, come il nostro dominio sui palestinesi, è illegale e improprio. La possibilità di non riconoscere il tribunale militare contiene al suo interno l’ipotesi nascosta che si possa ancora ottenere l’attenzione degli israeliani, educarli e ricordare loro che cosa sono legge e giustizia. È un’illusione che i palestinesi non hanno più.

  1. Lea Tsemel è un avvocato israeliano da quasi quarant’anni schierata nei tribunali israeliani a sostegno e in difesa dei diritti dei palestinesi. La carriera di Tsemel è il tema del documentario del 2019, The Advocate, diretto da Rachael Leah Jones che ha vinto il premio per il miglior film al “Docaviv Film Festivai”  di Tel Aviv. Questo successo ha irritato il governo israeliano tanto che la ministra della Cultura, Miri Regev, si è sentita in dovere di definirla «vergognosa» aggiungendo che «qualsiasi film metta in buona luce il lavoro di Tsemel merita di essere condannato…nessun effetto cinematografico può nascondere che Tsemel lavora contro lo Stato di Israele e la sua gente».
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