QUATTRO TESI SULLO STATO

di Alain Bihr.

Quattro tesi sulle trasformazioni dello Stato capitalista nel contesto della transnazionalizzazione del capitale

Tesi 1. Lo Stato capitalista non può esistere che sotto forma di sistemi di Stati
Tesi 2. Per una lunga fase della storia del capitalismo, questo sistema di Stati si é presentato come sistema di Stati-nazione
Tesi 3. La transnazionalizzazione del capitale indotta dalle politiche neoliberali di deregolamentazione e di liberalizzazione tende ad invalidare lo Stato-nazione pur esigendo il suo mantenimento.
Tesi 4. La trasformazione della struttura dello Stato capitalista di un sistema di Stati-nazione in un sistema di sistemi continentali di Stati, indotta dalla transnazionalizzazione del capitale, sarà un processo lungo, contrassegnato da profonde contraddizioni e, di conseguenza, necessariamente caotico.

Tesi 1. Lo Stato capitalista non può esistere che sotto forma di sistemi di Stati

1. Chi considera il capitale delle sue origini ai nostri giorni può constatare solamente che esso non ha mai prosperato in un solo ed unico Stato che comprendesse in sé tutto lo spazio della sua riproduzione. Al contrario, dovunque e sempre, si è sviluppato nel quadro di una pluralità di Stati, più o meno aperti tra loro alla sua circolazione.
Seconda constatazione, questi Stati multipli sono stati sempre e fondamentalmente Stati rivali, degli Stati che come minimo si facevano concorrenza e molto spesso si confrontavano (nei rapporti di forza), addirittura si affrontavano (in conflitti armati), e questo comportava così l’eventuale costituzione tra loro di alleanze più o meno durevoli, poiché il motore e, al tempo stesso, la posta in gioco di questa rivalità non era altro, in definitiva, che l’allocazione del capitale sul loro territorio, garanzia delle proprie risorse (fiscali, militari, economiche, demografiche).
Ultima constatazione: dai rapporti di rivalità tra Stati risulta in permanenza una gerarchia (di ricchezza, di potenza e di influenza) tra loro, gerarchia tuttavia continuamente mutevole, che si articola con la gerarchia esistente tra le rispettive formazioni sociali (formazioni centrali, semi-periferiche e periferiche all’interno del mondo capitalista).
L’universalità di questa triplice constatazione suggerisce che la struttura specificamente capitalista dello Stato é quella di un sistema di Stati, nel quale lo Stato non si realizza in qualche modo se non frammentandosi ed opponendosi a se stesso.
2. Il termine sistema deve essere preso qui nel senso che gli attribuisce la teoria dei sistemi. Esso designa un’unità risultante dall’organizzazione delle interazioni tra un insieme di elementi, che presenta proprietà e qualità irriducibili a quelle di questi ultimi, che non possono spiegarsi se non grazie a queste interazioni, alla loro regolazione e alle retroazioni dell’unità globale sui suoi elementi componenti. E il sistema di Stati, costituente la struttura propria dello Stato capitalista, presenta appunto queste caratteristiche. Perché, per conflittuali che esse siano fondamentalmente, le relazioni tra i molteplici Stati di cui il sistema si compone nondimeno rispondono a dei principi di regolazione. Ne sono parte:
• la riconoscenza reciproca della loro sovranità, vale a dire la legittimità dell’esercizio del potere sul territorio e popolazione rispettivi;
• il principio di equilibrio dei poteri (tra Stati centrali) che vieta al più potente di essere abbastanza potente da dominare
contemporaneamente tutti gli altri (in altri termini, la coalizione dei più deboli resta sempre abbastanza forte per vincere eventualmente il più forte);
• questo costringe la predominanza di un Stato (tra gli Stati centrali) dentro a questo sistema a prendere una forma
caratteristica, quella dell’egemonia: della costituzione sotto la sua guida di un’alleanza o coalizione dei principali Stati, che gli permette certo di realizzare i suoi propri interessi tuttavia gestendo in qualche modo quelli degli altri membri della coalizione, proponendo/imponendo un sistema di norme di regolazione dei loro rapporti come della circolazione del capitale tra di loro.
3. Le ragioni fondamentali di questa singolare struttura bisogna ricercarle nelle caratteristiche del capitale in quanto rapporto di produzione e del suo processo globale di riproduzione. Ma non posso qui che abbozzarne l’analisi. La formula che ho utilizzato più sopra – lo Stato capitalista si realizza solamente frammentandosi ed opponendosi a se stesso all’interno di un sistema di Stati – di per sé suggerisce una profonda analogia tra lo spazio geopolitico del capitalismo, (lo spazio plasmato da questo sistema, che gli serve da quadro e da supporto) e il mercato capitalista. Su quest’ultimo, numerosi capitali si attirano (si intrecciano con gli scambi nel corso dei rispettivi processi riproduttivi, si fondono e si assorbono) e al tempo stesso si respingono (con la concorrenza) fino a mettersi a morte. Attraverso questa attrazione e repulsione reciproca dei singoli capitali, che determina la loro concentrazione e centralizzazione (dunque l’eventuale formazione di oligopoli, o di monopoli), si costituisce una gerarchia tra loro, riuscendo i più potenti (per la maggiore produttività del lavoro che impiegano, per le quote di mercati che si assicurano, per i loro appoggi politici, ecc.) a subordinare a sé i meno potenti ed anche a vivere a loro spese (per la perequazione di plusvalore che si realizza sotto forma di un tasso di profitto medio). Insomma, il mercato capitalista è uno spazio al tempo stesso frammentato (per l’azione dei molteplici capitali singoli, che costituiscono altrettanti frammenti privati del lavoro sociale), omogeneizzato (unificato ed uniformizzato dalle interazioni tra questi molteplici capitali) e gerarchizzato (a causa di queste stesse interazioni come per le retroazioni delle risultanti globali sui differenti capitali). Ed è questa stessa struttura fatta al tempo stesso di frammentazione, di omogeneizzazione e di gerarchizzazione che la riproduzione globale del capitale imprime allo spazio geopolitico nel quale essa si dispiega sotto forma di sistema di Stati precedentemente descritti.

Tesi 2. Per una lunga fase della storia del capitalismo, questo sistema di Stati si é presentato come sistema di Stati-nazione

1. Nel corso della storia del capitalismo, questa struttura specifica dello spazio geopolitico solidale del sistema di Stati capitalisti non ha cessato sia di estendersi (con l’espansione spaziale del modo capitalistico di produzione) sia soprattutto di trasformarsi. La forma classica che ha finito per prendere nell’Europa occidentale al termine della sua lunga gestazione nei tempi moderni (dal XVI al XVIII secolo) e che si sarebbe poi rinforzata ma anche universalizzata (mondializzata) nel corso dell’epoca contemporanea, è quella di spazio internazionale. In altri termini, per un lungo periodo della storia del capitalismo, il sistema di Stati capitalisti ha assunto la forma di un sistema di Stati-nazione, giacché la sua unità di base, in breve il suo elemento costituente, è la forma nazionale dello Stato.
2. Nel quadro di questo sistema, uno Stato-nazione non può costituirsi e mantenersi in rapporti di cooperazione, concorrenza, rivalità, alleanza e conflitto con l’insieme degli altri Stati-nazione se non ad un insieme di condizioni che costituiscono altrettanti elementi di definizione di quel che è uno Stato-nazione.
a) Lo Stato-nazione come spazio autonomo di valorizzazione e di accumulazione del capitale.
Ogni Stato- nazione si forma e si definisce come spazio autonomo di riproduzione immediata del capitale, cioè uno spazio autonomo di valorizzazione e di accumulazione del capitale. Autonomo nel senso proprio del termine: uno spazio che dispone la propria legge. Ora la sola legge che regola la riproduzione immediata del capitale non è altro che la legge del valore. Sarebbe a dire che non c’é costituzione di uno Stato-nazione che in quanto si assiste alla nazionalizzazione della legge del valore, in un duplice senso.
• Da una parte, ogni Stato-nazione tenterà di costituirsi in spazio autonomo di formazione e di realizzazione del valore come forma del lavoro sociale, ossia in uno spazio autonomo di socializzazione mercantile del lavoro: precisamente ciò che si designa abitualmente con il termine di mercato nazionale.
• D’altra parte, ogni Stato tenterà di far prevalere i valori nazionali (il sistema dei prezzi che si formano sul mercato
nazionale) sui valori internazionali, quelli che risultano dalla circolazione e, dunque, anche dalla concorrenza internazionale dei capitali, usando sia politiche liberali (liberoscambiste) nel caso in cui i capitali nazionali occupano una posizione favorevole oppure dominante sul mercato mondiale (i valori nazionali sono inferiori ai valori internazionali); sia al contrario politiche protezioniste nel caso in cui i capitali nazionali sono in una situazione sfavorevole sul mercato mondiale (i valori nazionali sono superiori ai valori internazionali); il più sovente, una combinazione dei due.
Perché la nazionalizzazione della legge del valore è essa stessa la posta in gioco dei rapporti di forza tra Stati, essa è dunque inegualmente realizzata secondo le posizioni occupate da questi ultimi sul mercato mondiale. E, in definitiva, non può che essere imperfetta, anche ed ivi compreso nei più potenti di questi Stati, data la persistenza inevitabile di apertura o, al contrario, di chiusura dei mercati nazionali sul mercato mondiale.
b) Lo Stato-nazione come dirigente in capo delle condizioni sociali generali della riproduzione del capitale.
La nazionalizzazione della legge del valore non avrebbe mai potuto avere luogo, i differenti mercati nazionali non si sarebbero mai potuti formare, anche in modo imperfetto, se gli Stati-nazione non avessero simultaneamente preso in carico, direttamente o indirettamente, la formazione delle condizioni sociali generali della produzione capitalista. E’ questo un secondo elemento di definizione dello Stato-nazione.
Quest’ultimo va così ad assicurare, in primo luogo, la formazione delle condizioni generali della circolazione del capitale in seno al mercato nazionale.
• Da una parte, contribuendo alla sua unificazione materiale (con la costruzione delle infrastrutture materiali delle vie di
comunicazione), monetaria (con l’imposizione e la protezione della moneta nazionale), giuridico-amministrativa (con la costituzione di un territorio e di una popolazione sottoposta ad uno stesso diritto: uno stesso insieme di leggi e di regolamenti), culturale (con l’imposizione di una lingua nazionale o di un insieme limitato di lingue nazionali) ecc.
• Dall’altra parte, badando alla protezione di questo mercato, con i mezzi giuridico-amministrativi appropriati: il divieto di importare o di esportare certi prodotti (prodotti di base o prodotti strategici), il monopolio dei mercati pubblici e del commercio estero per i capitali nazionali, la promozione dell’agricoltura e dell’industria indigene con aiuti e sovvenzioni diverse, l’elevazione di barriere doganali, la conclusione di accordi commerciali con altri Stati, ecc.; ma anche, all’occasione, con i mezzi militari: con guerre difensive, puntando a preservare il territorio e, di conseguenza, le risorse del mercato interno dalle mira di uno Stato straniero al servizio di una frazione rivale del capitale mondiale o, al contrario, con guerre offensive, aspirando ad accedere con la forza ai mercati esteri o anche ad appropriarsene (appropriarsi delle risorse e degli sbocchi) in modo da estendere altrettanto il mercato interno.
E allo stesso modo lo Stato-nazione, in secondo luogo, va ad assicurare la formazione delle condizioni generali del processo immediato di produzione del capitale:
• quella degli elementi socializzati del lavoro morto (per esempio le infrastrutture produttive o la ricerca scientifica e tecnica);
• quella degli elementi socializzati del lavoro vivo, la riproduzione socializzata della forza lavoro (per esempio con le politiche sociali o con il sistema di insegnamento).
Il grado e le forme di implicazione dello Stato nella costituzione di queste condizioni sociali generali del processo immediato di riproduzione del capitale saranno evidentemente variabili nello spazio (da uno Stato all’altro) come nel tempo (da una fase all’altra del divenire storico, compreso all’interno di uno stesso Stato). Ma dovunque lo Stato vi avrà giocato un ruolo essenziale, non fosse altro che nelle vesti di dirigente che coordina la produzione di alcune di queste condizioni per mezzo di agenti non statali.
c) Lo Stato-nazione come blocco sociale.
Abbiamo appena visto che ciascuno dei differenti Stati-nazione gioca un ruolo decisivo nell’unificazione e nella protezione del suo mercato nazionale e, di conseguenza, della frazione di capitale che vi si trova territorializzata e che in quel luogo prospera, come nella produzione delle condizioni generali che ne assicurano la riproduzione. Ciascuno di questi Stati è perciò anche un elemento chiave nella produzione delle condizioni che determinano la posizione relativa di questa frazione del capitale e, di conseguenza, della formazione sociale di cui costituisce la base materiale, nella gerarchia mondiale, nella distribuzione delle diseguaglianze di sviluppo che caratterizza il mercato mondiale. E, per queste stesse ragioni, lo Stato determina anche la possibilità di conservare o, eventualmente, di migliorare questa posizione, compensando un ritardo di sviluppo o accentuando ancora una posizione favorevole.
Perciò, in un tale spazio mondiale essenzialmente conflittuale ed instabile, le differenti classi sociali che occupano un determinato territorio possono sperare di conservare o migliorare le loro condizioni di esistenza appoggiando uno Stato capace di permettere loro di difendere o di conquistare delle posizioni vantaggiose nell’arena internazionale, in una parola, saldandosi con altre classi in un blocco nazionale, sotto l’egida di uno Stato.
• È evidente il caso della classe dominante, che ha interesse ad assicurarsi il sostegno delle classi dominate “fondendoli” in tale blocco, poiché ciò rinforza le sue posizioni (demografiche, economiche, politiche, militari) nel suo conflitto contro le altre frazioni del capitale mondiale.
• Ma può essere anche il caso, sebbene a titolo diverso e in proporzioni differenti, per le differenti classi dominate, ivi
compreso il proletariato che, accettando di fare blocco con la “loro” classe dominante, di diventare loro alleate o anche semplicemente sostegni del suo potere statale, possono sperare, anche esse, di trarre profitto dal rafforzamento delle posizioni del “loro” Stato nell’arena internazionale. Lungi dall’essere solamente l’effetto illusorio della presa su di esse dell’ideologia nazionalista, questo calcolo politico indica al contrario l’esistenza di condizioni obiettive di possibilità se non di una collaborazione delle classi all’interno dello spazio nazionale, almeno della conclusione di un sistema di alleanze e di compromessi tra l’insieme di queste classi – ciò che definisce precisamente un blocco sociale. Questo non esclude che ci siano lotte tra loro per dividersi i benefici o le perdite dell’inserimento della formazione nazionale nel mercato mondiale.
In questa prospettiva, lo Stato-nazione si lascia, dunque, definire come un blocco sociale, cioè :
• un sistema di alleanze e di compromessi tra differenti classi, frazioni, strati sociali, sotto l’egemonia borghese:
• alleanze strette intorno al progetto di conquistare, di rinforzare o semplicemente di mantenere una posizione (dei vantaggi relativi) in seno allo spazio mondiale che genera il divenire-mondo del capitale, sulla base di uno sviluppo più o meno autonomo di una frazione del capitale mondiale;
• alleanze strutturate dall’apparato di Stato e che su di lui si basano, lui stesso badando a ridurre le tensioni ed i conflitti eventuali tra le differenti classi, frazioni, strati membri del blocco.
3. Questa forma internazionale del sistema di Stati ha conosciuto il suo apogeo nella breve fase storica che va dalla fine della Seconda Guerra mondiale allo scoppio della crisi strutturale in cui il modo di produzione capitalista è entrato negli anni 1970, sotto la congiunzione di due processi: il suo rafforzarsi al centro del sistema capitalista mondiale e la sua estensione alla periferia.
a) Nelle formazioni centrali vi ha contribuito quello che è stato chiamato fordismo: un regime di riproduzione del capitale fondato su un compromesso tra capitale e lavoro salariato, con la posta in gioco immediata di una divisione degli incrementi di produttività, ottenuti sulla base della diffusione (estensione e intensificazione) della taylorizzazione e della meccanizzazione dei processi di lavoro, destinato ad assicurare una crescita simultanea dei profitti e dei salari (diretti ed indiretti).
Il compromesso fordista va particolarmente a rinforzare la nazionalizzazione del processo globale di riproduzione del capitale erigendo lo Stato-nazione a stratega e gestore di questo processo.
• A livello del processo di riproduzione dei rapporti di classe, la funzione dello Stato sarà quella di inquadrare e di garantire questo compromesso:
o con l’istituzionalizzazione e l’animazione di un dialogo permanente tra le differenti classi sociali (più esattamente tra le loro organizzazioni professionali, sindacali, lobbiste, ecc.)
o con la creazione o il rafforzamento a questo fine delle strutture di negoziato tra i differenti “partner sociali” (l’espressione nasce allora per designare la pacificazione della lotta delle classi nel e con il compromesso fordista), dai comitati di amministrazione o i comitati di impresa fino al Parlamento, passando per i negoziati nei differenti rami professionali, gli organismi di gestione paritaria della protezione sociale, gli organi eventuali di pianificazione, ecc.
• A livello del processo di produzione-riproduzione delle condizioni sociali generali della produzione capitalista, lo Stato- nazione va a trasformarsi in vero dirigente capo di alcune di queste condizioni e non delle minori.
o da una parte, arrivando fino a farsi lui stesso imprenditore (ciò che implica lo sviluppo di un capitale di Stato, procedente o no da una nazionalizzazione di imprese private), lo Stato-nazione avrà preso in carico la produzione di materie di lavoro industriali di primaria importanza (carbone, petrolio, gas, elettricità, ecc.), così come di mezzi di lavoro socializzato (strade, autostrade, porti, aeroporti, mezzi di trasporto, mezzi di comunicazione, ecc.).
o d’altra parte, lo Stato-nazione sarà diventato il gestore globale della riproduzione della forza sociale di lavoro con la sua politica salariale; con l’istituzione del salario indiretto (l’istituzione di un sistema di prelevamenti obbligatori redistribuiti sotto forma di prestazioni sociali); infine con la creazione di un insieme di infrastrutture collettive e di servizi pubblici (costruzione di case popolari, sviluppo della medicina ospedaliera, “democratizzazione” dell’insegnamento secondario poi superiore, costruzione di attrezzature culturali e sportive di massa, ecc.).
• Infine, trattandosi del processo immediato di riproduzione del capitale, lo Stato-nazione va ad assicurare una funzione essenziale di regolazione. Regolazione che consiste nel sovradeterminare la divisione tra salari e profitti in modo da equilibrare offerta e domanda sul mercato nazionale ed evitare il rallentamento o addirittura l’arresto dell’accumulazione, sia occupandosi della dinamica del negoziato collettivo tra “partner sociali”, sia adottando un insieme di politiche economiche specifiche (politica salariale, politica di bilancio, politica monetaria) che costituiscono i differenti strumenti del keynesismo ordinario.
b) Alla periferia del sistema capitalista mondiale, si sarà assistito alla dislocazione degli imperi coloniali ed alla trasformazione delle vecchie colonie in nuovi Stati-nazione, assicurando così un’ultima ondata di generalizzazione di questa forma di Stato, al tempo stesso completando la forma internazionale del sistema di Stati capitalisti. Evidentemente, è appena necessario menzionare che la costituzione delle vecchie colonie in Stati-nazione sarà stata molto imperfetta a causa:
• dei tagli e dei montaggi territoriali ed etnici, molto spesso arbitrari, operati dalle potenze coloniali al momento della colonizzazione e mantenute al momento della decolonizzazione;
• delle sequele spesso gravi di divisioni e gerarchizzazioni praticate dalle autorità coloniali in seno alle popolazioni colonizzate, allo scopo di stabilire e di perpetuare il loro dominio;
• della persistenza dei rapporti imperialistici di sfruttamento e di dominio, che lega le antiche potenze coloniali alle loro colonie di una volta, al di là della loro indipendenza nazionale formale.
3. Questi differenti fattori si sono coniugati per limitare drasticamente, addirittura per rendere quasi-impossibile, i differenti processi di “nazionalizzazione” delle antiche formazioni colonizzate, precedentemente indicati come caratteristiche proprie dello Stato-nazione (lo Stato-nazione come spazio autonomo di valorizzazione e di accumulazione del capitale, lo Stato-nazione come dirigente in capo delle condizioni sociali generali di riproduzione del capitale, lo Stato- nazione come blocco sociale). Ciò che spiega il divenire caotico e la singolare fragilità di un buon numero di questi giovani sedicenti Stati-nazione usciti dalla decolonizzazione.

Tesi 3. La transnazionalizzazione del capitale indotta dalle politiche neoliberali di deregolamentazione e di liberalizzazione tende ad invalidare lo Stato-nazione pur esigendo il suo mantenimento

Non ritorno sulle cause di crisi strutturale mondiale che comincia negli anni 1970 e che rinviano all’esaurimento delle forme fordiste di accumulazione del capitale, così come all’esplodere della regolazione statale di questa accumulazione nel quadro dei differenti Stati-nazione. Non torno oltre sulle politiche neoliberali attuate a partire dalla fine di quello stesso decennio in risposta a questa crisi e che sono consistite, essenzialmente, nel transnazionalizzare il processo immediato di riproduzione del capitale (in breve: a transnazionalizzare il capitale):
• deregolamentando l’insieme dei mercati: smantellando le regolamentazioni e regolazioni messe in campo durante la
fase fordista all’interno dei differenti Stati-nazione
• e liberalizzando la circolazione del capitale (sotto tutte le sue forme: capitale-merce, capitale produttivo e capitale-
denaro) tra gli Stati-nazione allo scopo essenziale di aumentare la concorrenza dei lavoratori sul piano mondiale, di flessibilizzare e precarizzare la condizione dei salariati, il tutto sullo sfondo di un alto livello di disoccupazione strutturale (ingrossamento dell’ “esercito industriale di riserva” del capitale), in modo da ristabilire la profittabilità del capitale.
Non ritorno, infine, neanche sulle contraddizioni specifiche di questa fase e sulla forma di riproduzione immediata del capitale che ne sono risultate.
Mi concentro qui sulle trasformazioni simultaneamente indotte nella struttura dello stato capitalista con questa transnazionalizzazione (del processo immediato di riproduzione) del capitale, sul piano dei risultati e delle condizioni. E innanzitutto a livello dell’elemento di quella struttura che è lo Stato-nazione. Si può dire che questo si è trovato superato al tempo stesso dall’alto e dal basso.
1. Il superamento dello Stato-nazione dal basso rinvia allo sviluppo della metropolizzazione e della regionalizzazione del processo globale di riproduzione del capitale, che rimette in causa la coerenza socio-spaziale degli Stati-nazione e che molto spesso se ne infischia delle loro frontiere.
Differenti lavori di geografia economica hanno, infatti, messo in evidenza che non solo gli investimenti diretti internazionali si localizzano essenzialmente negli Stati della Triade (Stati Uniti, Europa occidentale, Giappone) così come nei vicini Stati semi-periferici che sono loro associati (Messico e Brasile, Europa orientale e Bacino mediterraneo, Asia del Sud-est, Cina ed India); ma che, all’interno di questi ultimi, tendono a concentrarsi dentro o nelle vicinanze immediate di un piccolo numero di grandi agglomerazioni e delle loro immediate periferie regionali. Giocano un ruolo in questo senso allo stesso tempo:
• le economie di scala, che riducono i costi di transazione tra i capitali e i costi delle condizioni generali esterne di produzione e di circolazione del capitale;
• la concentrazione in uno stesso luogo dei principali fattori necessari alla realizzazione dell’investimento (mano d’opera qualificata, potenziale di ricerca-sviluppo, infrastrutture collettive e servizi pubblici di qualità);
• gli effetti di sinergia tra le differenti imprese e l’insieme di questi fattori sotto forma di reti che favoriscono la circolazione dell’informazione, la formazione delle persone, l’innovazione tecnica e scientifica;
• la costituzione di una cultura di impresa e di un’etica del lavoro astratto, ecc. Senza contare semplicemente l’ampiezza del mercato locale o regionale.
Così che in definitiva, l’investimento attira l’investimento; le imprese transnazionali attirano le imprese transnazionali. E ciò è ancora più vero per i centri mondiali (le case madri) di queste ultime, che si concentrano in un piccolo numero di metropoli mondiali.
L’esistenza dei tali centri urbani o aree metropolitane e, in mancanza, la loro creazione (difficile) costituisce del resto oggi uno degli obiettivi ed uno degli strumenti favoriti dalle politiche di attrattività dei territori praticati dai differenti Stati- nazione e precedentemente evocati (cf. la politica francese dei “poli di competitività”), ma anche, sempre di più, dai differenti poteri pubblici locali (Stati federati, regioni, distretti urbani, grandi metropoli, ecc.), che sono messi così sistematicamente in concorrenza sul mercato mondiale dei capitali (degli investimenti diretti internazionali). L’ “attrattività di un territorio”, qualunque sia, dipende così sempre più dall’esistenza al suo interno di tali aree metropolitane che concentrano tutta la panoplia delle condizioni (tecnico-scientifiche, economiche, politiche, culturali) dello sviluppo capitalista.
Perciò questo processo di metropolizzazione favorisce lo sviluppo delle regioni dove tali distretti esistono o arrivano a formarsi, mentre penalizza, al contrario, quelle regioni che ne sono sprovviste. La messa in concorrenza sistematica dei territori riproduce necessariamente, a livello di Stati centrali e semi periferici che ne sono il campo, dei fenomeni di sviluppo ineguale, combinando sovrasviluppo degli uni e marginalizzazione tendenziale degli altri, osservabili a livello mondiale tra Stati centrali, Stati semi periferici e Stati periferici. E si indovina agevolmente che questo processo va contro ogni possibilità e, in definitiva, ogni volontà di assicurare coerenza ed equilibrio nella divisione spaziale del lavoro e, più largamente, nel rispettivo sviluppo economico e sociale delle differenti regioni che compongono un stesso territorio nazionale.
A questo si aggiunge che tali distretti o aree tendono sempre più spesso, nelle zone di frontiera, ad emanciparsi dalle frontiere nazionali, prendendo un carattere direttamente transnazionale, in rapporto del resto con lo sviluppo transnazionale (sotto forma di alleanze transnazionali, di accordi transnazionali di subappalto o di franchising, ecc.) delle imprese che vengono a stabilirvisi. Cf. per esempio l’integrazione dell’Alsazia nell’area del Reno superiore (ciò che spiega in parte la virulenza delle reazioni alla sua fusione con le vicine regioni della Lorreine e Champagne-Ardenne), quella del Nord-Pas de Calais nell’area fiamminga, le sinergie crescenti tra la regione Rhône-Alpes, il Piemonte e la Lombardia, quella tra le regioni Languedoc-Roussillon e la Catalogna, ecc. Ciò che favorisce, peraltro, le integrazioni continentali, cioè la costituzione di insiemi economici continentali.
2. Il superamento dello stato-nazione dall’alto rinvia alla costituzione tendenziale di sistemi continentali di Stati. La formazione di tali sistemi risponde, tuttavia, ad un certo numero di condizioni tra le quali devono imperativamente figurare:
• una dinamica di estensione e di intensificazione delle relazioni economiche e culturali tra un insieme di Stati-nazione
vicini, che conduce ad una combinazione crescente tra le differenti unità politiche che essi costituiscono;
• l’elaborazione collettiva da parte di questi Stati (i loro rispettivi governi) di una serie di norme comuni (tecniche, giuridiche, amministrative), la costruzione di istituzioni comuni, infine lo sviluppo di politiche comuni che mirano a regolamentare e regolare i rapporti tra loro, in modo da fare dell’insieme al contempo una zona di pace (rendendo impossibile la guerra tra di loro), un’area di co-sviluppo socioeconomico, perfino un centro di irradiamento di civilizzazione (sulla base di centri anteriori, storicamente costituiti e rinforzati);
• infine, una politica estera comune sulle grandi sfide mondiali (ecologica, demografica, economica, politica, ecc.),
permettendo alle istanze rappresentative del sistema di Stati di parlare con una sola voce; cioè una dinamica tendente all’elaborazione e alla difesa di una politica estera comune, nella sua doppia faccia diplomatica e militare, appoggiandosi sulle istituzioni necessarie a mettere in atto una simile politica.
Ciò vuol dire in definitiva che ogni sistema continentale di Stati può e deve essere considerato come costituente, almeno potenzialmente, il rappresentante e il difensore della frazione del capitale mondiale territorializzato al suo interno, come è stato il caso di differenti Stati-nazione nel periodo precedente (internazionale) del divenire-mondo del capitalismo. In altri termini, questi sistemi continentali di Stati sono tendenzialmente gli analoghi futuri di ciò che sono stati gli Stati- nazione, dei quali sono destinati a riprendere le funzioni per quanto attiene al processo globale di riproduzione del capitale, in un contesto che non permette più a questi ultimi di svolgerle.
In seno ad un tale sistema continentale di Stati, i differenti Stati-nazione non sono posti su un piede di uguaglianza. Al contrario, come molte altre forme di alleanza, un tale sistema non esclude affatto una gerarchia tra i suoi differenti membri: può riunire benissimo una potenza centrale (o un gruppo di potenze centrali), delle formazioni (Stati o regioni) semi-periferiche all’interno delle quali il modo capitalistico di produzione si diffonde velocemente, addirittura delle formazioni (Stati o regioni) periferiche.
• Tali sistemi vanno all’inizio ben al di là dei semplici accordi, bilaterali o multilaterali, di libero scambio tra Stati, come l’Accordo di libero scambio nord americano (NAFTA) entrato in vigore nel 1994 tra il Canada, gli Stati Uniti e il Messico, o la Zona di libero scambio delle Americhe proposto dagli Stati Uniti per tutto il continente americano.
• Vanno parimenti al di là della semplice unione doganale, come quella realizzata dal Mercosur. Non si riducono neanche all’integrazione regionale più o meno informale, come quella che si disegna, per esempio, da tre decenni in Asia del sud-est nel quadro dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sudest asiatico).
• Un sistema continentale di Stati, come lo intendo qui, costituisce non solo uno spazio economicamente integrato, dentro il quale le merci ed i capitali possono circolare liberamente pur facendosi concorrenza, ma ancora uno spazio istituzionalmente unificato da una regolamentazione comune di questa circolazione e di questa concorrenza, allo scopo di ricostruire, ad un livello sovranazionale, una sovranità statale sulla sfera economica che non può quasi più esercitarsi al livello nazionale, dato che è stata svuotata di contenuto a questo livello dal processo di transnazionalizzazione del capitale. Se l’Unione europea assolve già alla prima di queste condizioni, è molto lontana dal soddisfare la seconda; e, del resto, le politiche neoliberali che l’ispirano attualmente voltano in parte la schiena ad un simile obiettivo.
Ciò significa che, per il momento, il concetto di sistema continentale di Stati precedentemente esposto definisce una possibilità, situata all’orizzonte del processo di transnazionalizzazione, o meglio in corso di realizzazione parziale, essendo questa realizzazione frenata da tutta una serie di contraddizioni sulle quali tornerò.
3. Questo doppio superamento indotto dalla transnazionalizzazione del capitale tende ad invalidare lo Stato-nazione rendendolo insufficiente.
• Da una parte, esso deve rimettersi alle istanze superiori (istanze costitutive e rappresentative dei differenti sistemi continentali di Stati in via di costituzione, o anche istanze sovranazionali come il BRI, il FMI, la Banca mondiale, l’OMC, ecc.) per tentare di regolare il processo immediato di riproduzione del capitale (regolazione della circolazione transnazionale del capitale, stabilità del sistema monetario, perfezionamento del quadro costituito dal diritto privato e pubblico internazionale, regolazione dell’interazione tra il processo di riproduzione del capitale e l’ecosfera, ecc.)
• D’altra parte, esso deve rimettersi alle istanze inferiori (istanze infra-nazionali, di ordine regionale o metropolitano, potendo del resto esse stesse rivestire una dimensione transnazionale, in connessione con lo sviluppo delle regioni metropolitane transnazionali precedentemente evocate) per assicurare la formazione delle condizioni sociali generali della riproduzione del capitale: per esempio la riproduzione del lavoro morto socializzato (le infrastrutture collettive) o del lavoro vivo socializzato (la forza sociale di lavoro: insegnamento, ricerca, ecc.)
Ma, simultaneamente, questo doppio superamento non tende a sopprimere lo Stato-nazione che resta necessario come mediazione nella riproduzione dei rapporti di classe. È, del resto, la ragione essenziale del mantenimento di questo quadro. Infatti, nel contesto attuale di transnazionalizzazione del capitale, mentre la stessa classe capitalista (almeno la sua frazione egemone), si transnazionalizza sempre di più, la riproduzione del suo dominio in quanto classe passa per il mantenimento delle frammentazioni e gerarchizzazioni tra spazi nazionali all’interno del mercato mondiale, partendo dal mantenimento dalle frammentazioni e gerarchizzazioni tra salariati nazionali, e dalla chiusura delle loro lotte nel quadro ristretto dei loro rispettivi spazi nazionali.

Tesi 4. La trasformazione della struttura dello Stato capitalista di un sistema di Stati-nazione in un sistema di sistemi continentali di Stati, indotta dalla transnazionalizzazione del capitale, sarà un processo lungo, contrassegnato da profonde contraddizioni e, di conseguenza, necessariamente caotico

Dell’insieme degli sviluppi precedenti risulta una doppia conclusione. Da una parte, la transnazionalizzazione (processo di riproduzione immediata) del capitale induce una profonda trasformazione della struttura dello Stato capitalista, facendola passare da un sistema di Stati-nazione ad un sistema di sistemi continentali di Stati, di cui non tutti conserveranno o prenderanno la forma di Stati-nazione.
D’altra parte, questa trasformazione sarà lunga e non avrà niente di un lungo fiume tranquillo: segnata da numerose e profonde contraddizioni, prenderà necessariamente un’andatura caotica. Queste contraddizioni, già percettibili, si sviluppano ad un triplice livello.
1. Da una parte, a livello dei rapporti tra differenti sistemi continentali di Stati che vanno ad affrontarsi sul terreno della concorrenza tra le frazioni del capitale mondiale che essi appoggiano prioritariamente; per il controllo della circolazione transnazionale del capitale (i mercati, gli investimenti diretti e gli investimenti finanziari) e la sua territorializzazione nello spazio che ciascuno controlla; per la delimitazione delle loro “frontiere” e zone di influenza al centro; per la tradizionale divisione “imperialistica” delle periferie e semi-periferie; per l’esercizio dell’egemonia mondiale.
2. D’altra parte, a livello di ogni sistema continentale di Stati, le stesse poste in gioco condurranno ad una battaglia tra i differenti Stati che li compongono: battaglia tra le differenti frazioni nazionali del capitale; concorrenza tra i territori nazionali per attirare il capitale transnazionalizzato; lotte per essere il più vincente e il meno perdente possibile nel processo di trasferimento delle competenze dal livello nazionale al livello continentale; resistenza delle formazioni nazionali meno sviluppate per sfuggire alla loro semi-periferizzazione o anche alla periferizzazione dentro il sistema continentale di Stati; lotte tra le formazioni nazionali più sviluppate per l’egemonia all’interno questo sistema.
3. Infine, al livello di ogni Stato che prende parte ad uno dei sistemi continentali di Stati. Due contraddizioni, inerenti alla costituzione di sistemi continentali di Stati e dell’invalidazione parziale consecutiva degli Stati-nazione meritano in particolare di essere sottolineate:
• Quella tra il mantenimento della sua funzione politica (la riproduzione del dominio di classe, particolarmente nella sua dimensione di egemonia) e la perdita di controllo delle condizioni economiche e sociali di questo dominio, che tendono a passare sotto il controllo rispettivamente delle istanze continentali e delle istanze regionali-metropolitane.
• Quella tra il mantenimento dell’identità e della coesione nazionale e le tendenze centrifughe (autonomiste, indipendentiste, irredentiste) di alcune regioni (cf. ciò che accade nel Regno Unito con la Scozia, in Spagna con la Catalogna ed il Paese basco, in Italia con la Padania, ecc.)
Di qui il carattere necessariamente caotico di questa transizione, le sue svolte e ritorni indietro, addirittura il suo possibile insuccesso.

Traduzione di Giovanna Russo

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