PER CONOSCERE BOOKCHIN

Bookchin: l’eredità vivente di un rivoluzionario americano

Di Debbie Bookchin e Federico Venturini

2 marzo 2015

Nota del redattore: qui sotto troverete un’intervista con Debbie Bookchin, figlia del defunto Murray Bookchin, scomparso nel 2006. Bookchin ha trascorso la sua vita nei circoli rivoluzionari di sinistra, entrando in un’organizzazione comunista all’età di 9 anni e diventando trotzkista a quasi 40 anni, prima di passare al pensiero anarchico e finendo per identificarsi come ‘comunalista’ dopo aver sviluppato le idee di ‘municipalismo libertario’.

Bookcin era (e rimane) tanto influente quanto è stato controverso. Le sue critiche estreme di ecologia profonda  e di ‘anarchismo come  stile di vita’ hanno  suscitato  molti dibattiti che continuano fino a oggi. Ora che le sue idee rivoluzionarie sono state raccolte dal movimento di liberazione curdo, che sta usando le opere di Bookchin per costruire una società sostenibile nel cuore del Medio Oriente, constatiamo un rinnovato interesse per la vita e il pensiero di questo grande pensatore politico.

Per questa ragione ROAR è molto entusiasta di pubblicare questa intervista a Debbie

Bookchin che non solo fornisce preziose opinioni  sull’eredità politica di suo padre, ma fa anche intravedere la vita dell’uomo che c’era dietro alle sue idee.

Federico Venturini: LaVerso Books ha appena pubblicato: The Next Revolution: Popular Assemblies and the Promise of Direct Democracy, [La prossima rivoluzione: assemblee popolari e la promessa di democrazia diretta] una  raccolta di saggi  scritti da suo padre, Murray Bookchin. Ci potrebbe dire qualche cosa di questo libro? Perché ha deciso di imbarcarsi in questa avventura?

Debbie Bookchin: La creazione di questo libro è stata motivata, tra l’altro, dalla discussione politica in corso circa la direzione che la Sinistra dovrebbe prendere riguardo al problema dell’organizzazione. La nostra casa editrice, la Verso, pubblica gli scritti sia di Slavoj Žižek che di Simon Critchley. In breve, Žižek è favorevole alla rivoluzione con il potere dato a uno stato centralizzato – una rielaborazione della teoria marxista. Critcheley, invece,  è a favore del cambiamento sociale che avviene negli interstizi della società.

Murray pensava che entrambe queste soluzioni fossero risposte inadeguate al problema di come sviluppare forme radicali dei modi di governare che siano democratiche e che possano fondamentalmente cambiare la società. Abbiamo pensato che questa raccolta di saggi sulla democrazia decentralizzata potrebbe offrire un terzo polo importante in questo dibattito politico. E volevamo presentarli, insieme a del materiale precedentemente pubblicato, a una nuova generazione di attivisti.

In che modo Bookchin è arrivato al concetto di democrazia decentralizzata?

Murray aveva passato la vita a studiare movimenti rivoluzionari e infatti ha scritto l’intera storia di quei movimenti nella sua opera in quattro volumi, The Third Revolution [La terza rivoluzione]. Questo studio ha riaffermato la sua convinzione che il cambiamento rivoluzionario non poteva essere ottenuto tramite le attività che rimanevano entro i margini della società – per esempio, costruire organizzazioni alternative, come cooperative alimentari e scuole gratuite, come propone Critchley, oppure creando un massiccio stato socialista, un’idea che è stata completamente screditata  e che non poteva mai ottenere nessun tipo di vasta attrattiva.

Ha pensato invece che dovevamo usare modalità di organizzazione costruite in base alle migliori tradizioni dei movimenti rivoluzionari come la Comune di Parigi del 1871 e le forme collettive formatesi nella Spagna rivoluzionaria del 1936 – una tradizione sottovalutata che custodisce  il processo decisionale a livello municipale nelle assemblee di quartiere che sfidano sempre di più l’egemonia dello stato-nazione. E poiché Murray era americano, cercava anche un modo per costruire tradizioni che  attirassero  un pubblico americano, come i comitati della Rivoluzione Americana o la democrazia nello stile delle assemblee cittadine del New England che è ancora attiva oggi in posti come il Vermont. http://it.wikipedia.org/wiki/Town_Meeting. Queste sono le idee di cui discute nei saggi di questo libro.

Bookchin è noto per i suoi scritti sull’ecologia, la gerarchia e il capitalismo – raccolti sotto” l’ombrello” di quella che chiamava ‘ecologia sociale’In che modo le idee di questo libro emergono dal concetto di ecologia sociale?

Uno dei contributo fondamentali di Murray al pensiero della Sinistra, è stata la sua insistenza, agli inizi degli anni ’60, sull’idea che tutti i problemi ecologici sono problemi sociali. L’ecologia sociale inizia da questa premessa: che non affronteremo mai appropriatamente il problema del cambiamento del clima, l’avvelenamento della terra con i pesticidi, la miriade di altri problemi ecologici che stanno sempre di più indebolendo la stabilità ecologica del pianeta, fino a quando non affronteremo i problemi  che ci sono alla base, di dominio e gerarchia. Questo comprende il dominio basato sul genere, sull’etnicità, la razza e l’orientamento sessuale e anche le distinzioni di classe.

Sradicare queste forme di oppressione fa immediatamente sorgere la domanda su come organizzare la società in un modo che massimizzi la libertà. E così le idee circa le assemblee popolari,  esposte in questo libro, vengono fuori naturalmente dalla filosofia dell’ecologia sociale. Affrontano il problema di come portare avanti il cambiamento rivoluzionario che realizzerà la vera libertà per gli individui, allo stesso tempo permettendo l’organizzazione sociale necessaria a vivere armoniosamente gli uni con gli altri e con il mondo naturale.

Le assemblee popolari  fanno parte della rinnovata    importanza che Bookchin dà all’organizzazione municipale. Quando e perché Bookchin ha iniziato a focalizzarsi su questi argomenti?

Murray aveva cominciato a pensare a questi problemi in precedenza, negli anni ’60.  Se ne occupa anche nel 1968, nel suo saggio, The Forms of Freedom [Le forme della libertà]. Ma specialmente questo problema di organizzazione politica e sociale ha  consumato Murray negli ultimi due decenni della sua vita, quando sono stati scritti i saggi che abbiamo raccolto qui. Quando Murray ha visto la situazione difficile del movimento per una globalizzazione alternativa e dei movimenti analoghi, ha affermato che impegnarsi semplicemente in “festival degli oppressi” non riusciva a offrire una  cornice strutturale entro cui affrontare ingiustizie sociali ed economiche radicate.

Aveva trascorso più di 30 anni operando nell’ambito della tradizione anarchica, ma era arrivato a pensare che l’anarchismo non si occupava adeguatamente  del problema del potere e dell’organizzazione politica. Ha invece sostenuto una filosofia sociale localizzata, popolare, democratica, sociale che chiamava Comunalismo

Ha definito Municipalismo Libertario l’espressione politica di esso. Credeva che sviluppando e istituzionalizzando le assemblee generali a livello locale potevamo responsabilizzarci di nuovo come cittadini attivi, tracciando il corso delle nostre comunità ed economie e confederandoci con altre assemblee locali.

Immaginava che questo auto-governo diventasse sempre più forte mentre si solidificava in un “potere duale”, che avrebbe sfidato e alla fine smantellato il potere dello stato-nazione. Occasionalmente Murray usava il termine Comunalismo al posto di Municipalismo libertario, ma in generale considerava il Comunalismo come  la filosofia politica che gli faceva da ombrello, e il Municipalismo Libertario come sua realizzazione pratica che implica che dei candidati concorrano a livello municipale, la  municipalizzazione dell’economia e simili.

Sembra che i recenti movimenti come Occupy Wall Street e il movimento degli Indignados somiglino ad alcune di queste idee. Che cosa avrebbe pensato Bookchin di questi e degli sviluppi come il fenomeno Podemos in Spagna?

Murray sarebbe stato eccitato a vedere il movimento degli Indignados, in parteper l’ammirazione che aveva per la Spagna rivoluzionaria del 1936, che è l’oggetto del suo libro  The Spanish Anarchists  [Gli anarchici spagnoli]. E avrebbe apprezzato gli impulsi che c’erano dietro Occupy, e le rivolte dei cittadini in Medio Oriente. Penso però che avrebbe previsto molti delle preoccupazioni che turbavano Occupy. Tra questi i problemi  inerenti all’uso del consenso e la convinzione sbagliata di molti nel movimento Occupy , che l’atto di creare accampamenti di protesta può essere uguagliato alla reale rivendicazione  del potere popolare che Murray pensava dovesse essere istituzionalizzato in assemblee locali all’interno di comunità per creare una vera forza politica.

Penso che sia difficile non essere eccitati per i fatti politici in Grecia e in Spagna, dove nuovi partiti più democratici stanno andando al potere. Murray, però ci avrebbe avvertito che questi generi di partiti nazionali sono quasi sempre costretti a venire a compromessi con   i loro ideali al punto dove non rappresentano più un cambiamento significativo. Ha avvertito  di questo quando i Verdi tedeschi sono arrivati al potere all’inizio degli anni ’80 e ha dimostrato di avere ragione. Hanno iniziato a chiamarsi un “partito non-partito”, ma sono finiti in una coalizione con il partito conservatore CDU ((l’Unione Cristiano Democratica) allo scopo di restare al potere.

Quello è il motivo per  Murray fa differenza tra  “arte di governare”,  il nome che usa per indicare il tradizionale governo rappresentativo che non investe mai il potere con i cittadini, e “politica”, un termine che vuole riutilizzare per significare autogestione direttamente democratica da parte delle assemblee popolari che insieme formano delle reti per prendere decisioni che riguardano varie regioni.

Questo quindi è un motivo per cui siamo contenti della pubblicazione di questo libro in questo periodo; parla direttamente agli impulsi di milioni di persone di tutto il mondo che chiedono la democrazia diretta invece che la democrazia rappresentativa, e contribuiscono a indicare una strada per raggiungere quell’obiettivo.

Dato che la democrazia è diventata uno slogan nelle manifestazioni, l’opera di suo padre ha goduto di una rinascita. Ma anche prima di questo, era considerato uno dei più importanti pensatori anarchici e libertari del secolo scorso. Come è essere sua figlia?

Penso che ci sia più di una risposta a questa domanda. Una è politica, per la maggior parte della mia vita di adulta l’ho passata come giornalista investigativa, ma da quando è morto mio padre nel 2006, ho sentito sempre di più che è mio compito contribuire a proiettare in avanti le sue idee, che viviamo in un’epoca in cui la necessità di cambiamento politico non è stata mai più grande, e che la su opera ha un contributo importante da offrire alla Sinistra.

L’altra risposta è più personale – ho avuto un’infanzia insolita a causa dell’attivismo di entrambi i miei genitori e del profondo coinvolgimento in così tante idee. Murray era un autodidatta – non e mai andato all’università – quindi  ha imparato da solo

tutto, dalla fisica alla filosofia e aveva  una padronanza  particolarmente notevole della storia. Aveva un desiderio innato di ci contestualizzare tutto, e questo rendeva molto interessante stare con lui. E mia madre, Bea, era un matematica e una pensatrice dialettica a pieno titolo. Il suo intelletto e la sua sensibilità la rendevano una cassa di risonanza per lui che lo aiutava a elaborare le idee.

Erano estremamente vicini; anche se sono stati sposati soltanto per 12 anni, hanno vissuto insieme per decenni fino agli inizi degli anni ’90. C’erano quindi discussioni infinite e forti legami intellettuali e affettivi che rendevano la casa un luogo meravigliosamente vivace per  viverci. E poiché sono cresciuta lì negli anni ’60 e ’70, era anche un periodo molto attivo dal punto di vista politico, quindi la nostra casa era sempre piena di persone interessanti tutto il tempo, cosa che era molto divertente per una ragazzina.

Fondamentalmente, la cosa che apprezzo dei miei genitori è il loro eccezionale amore delle idee  il loro impegno di tutta una vita nelle grandi idee che alla radice formano la possibilità per una trasformazione politica – e il loro desiderio di agire in base a tali idee.

Potrebbe dirci qualche cosa su come era Murray come persona?

Mentre è difficile da credere quando si leggono alcune delle sue polemiche, Murray era estremamente affettuoso e premuroso verso le persone che erano attorno  a lui. Provava un interesse protettivo per i suoi studenti dell’Istituto per l’Ecologia Sociale ed era una creatura molto socievole e amava la buona compagnia.

In molti dei sui scritti, specialmente nei sui primi lavori, come i saggi in Post-Scarcity Anarchism [Anarchismo della post-scarsità,  e,  naturalmente The Ecology of Freedom [L’ecologia della libertà], ma anche  in pezzi successivi, come  Social Anarachism or Lifestyle Anarchism, [Anarchismo sociale o anarchismo dello stile di vita] si può sentire l’intensità della sua visione utopica, la sua convinzione che gli esseri umani meritano di vivere in società che massimizzano la creatività e la libertà. In quanto persona che era profondamente commosso dalla sofferenza umana e molto comprensivo, a volte perfino sentimentale. Allo stesso tempo, era profondamente impegnato nel pensiero razionale e sentiva fortemente che gli esseri umani avevano un obbligo di creare una società razionale.

Come succede con tutti i pensatori che producono opere che abbracciano    decenni,  il pensiero  di suo padre si è modificato con il passare del tempo. Come lo spiega?

Murray studiava costantemente, valutava, e rivalutava. Ha lasciato che le sue teorie si evolvessero organicamente e dialetticamente e non  aspettava a  impostare dottrine teoriche, sia che fossero marxiste o anarchiche. D’altra parte, Murray non era immune dagli errori. Così, per esempio, mentre ero d’accordo con la sua critica dell’anarchismo dello “stile di vita” (nel suo libro Social Anarchism or Lifestyle Anarchism: An Unbridgeable Chasm pubblished in  1995) [Anarchismo sociale o anarchismo dello stile di vita: una frattura incolmabile, pubblicato nel 1995],  penso che ci fosseroerrori stilistici che rendevano il suo tono più polarizzante di quanto fosse necessario e che forse  può aver reso più difficile ad alcuni  anarchici indecisi adottare il suo punto di vista.

Penso però che ora, venti anni dopo, la sua critica aveva  retto  al test del tempo non soltanto rispetto all’anarchismo dello stile di vita ma anche all’anarchismo in sé, e che il Comunalismo può essere considerato, in un certo senso, come una progressione logica che affronta le lacune nell’organizzazione dell’anarchismo. Spero che gli anarchici che leggeranno questa nuova raccolta di saggi vedranno il Comunalisno come  una conseguenza naturale dell’anarchismo e considereranno la critica ai fallimenti dell’anarchismo nel contesto della ricerca di Murray di un potente strumento per un cambiamento rivoluzionario.

Perché pensa che Murray abbia adottato quello che alcune persone consideravano un tono violento nel suo libro ’Anarchismo sociale o anarchismo come stile di vita’?

Murray aveva passato una vita a spiegare perché le irrazionalità del capitalismo potevano soltanto essere contrastate da un movimento sociale organizzato  ed ecco  un gruppo di anarchici  che  mettevamo da parte  quell’obiettivo a favore di una politica individualista, anti-tecnologica, primitivista, che Murray considerava irrazionale quanto lo stesso capitalismo.

Se, quindi il suo tono era duro, il motivo è che stava tentando disperatamente di salvare la dimensione sociale dell’anarchismo. Murray era  implacabile  anche nella sua critica dell’ecologia profonda– per esempio nella sua ostinata affermazione, molto tempo prima che altri tentassero di farlo, che l’ecologia profonda era una filosofia politica fondamentalmente misantropa e antirazionale. C’erano molte persone nei movimenti anarchici e dell’ecologia profonda che  non erano in grado di rispondere  alle critiche  che faceva Murray di quelle ideologie. Quindi alcuni dei suoi avversari hanno fatto ricorso agli attacchi personali.

Nel suo libro: Recovering Bookchin: Social Ecology and the Crises of Our Times,[Recuperare Bookchin: ecologia sociale e le crisi dei nostri tempi], Andy Price, della Hallam Sheffield University (Ingilterra) fa l’eccellente lavoro di analizzare le critiche di Murray riguardo all’anarchismo e all’ecologia profonda, e smaschera i tentativi di alcuni membri di quei movimenti di renderlo una caricatura. Il libro di Price è una trattazione eccellente di quegli argomenti serve anche come grandiosa introduzione alle idee di Murray.

Quale considera l’insegnamento più importante di Murray?        

La necessità di pensare in  modo dialettico – che per conoscere davvero una cosa la si deve considerare nel suo pieno sviluppo, non staticamente, non come “è”, ma invece con il potenziale di “diventare” . Quella gerarchia e il capitalismo non erano svolgimenti inevitabili e quell’eredità di libertà è sempre esistita insieme all’eredità del dominio. E’ il nostro compito di esseri umani capaci di pensiero razionale cercare di sviluppare un’etica e una struttura sociale che massimizzi la libertà.

E quale il suo successo più notevole?

A livello molto elementare, la sua introduzione dell’ecologia come categoria politica era straordinaria. Era 50 avanti rispetto al suo tempo nel dire inequivocabilmente che il capitalismo era incompatibile con una vita in armonia con il mondo naturale, un concetto che i massimi attivisti attuali, come Naomi Klein hanno ripreso  e divulgato. Era avanti anche perché criticava la Sinistra da una prospettiva di sinistra, insistendo che il marxismo tradizionale che si incentrava sul proletariato come classe egemonica  e con il suo riduzionismo economico, doveva essere abbandonato a favore di una struttura più ampia  per il cambiamento sociale.

Ma ancora più importante, penso, sia stato il suo desiderio di sviluppare una teoria sociale unificata fondata sulla filosofia. In altre parole, cercava una base obiettiva per una società etica. Questo lo ha portato a immergersi nella storia, nell’antropologia, e anche nella biologia e nelle scienze naturali, tutto per portare avanti l’idea che l’aiuto reciproco, la complementarità, e altri concetti che predominano nell’evoluzione naturale, puntano all’idea che gli esseri umani sono in grado di usare la loro razionalità per vivere in armonia l’uno con l’altro e con il mondo naturale, che siamo in grado di creare quella che chiamava “natura libera.” E in questo senso sarei d’accordo con lei che Murray è stato uno dei pensatori più originali del ventesimo secolo.

Di recente il nome di Bookchin è venuto fuori in relazione al movimento dell’autonomia turca. Ci può parlare un poco del suo ruolo nell’influenzare la resistenza curda e le loro forme sociali di organizzazione?

Proprio adesso i curdi in alcune parti della Turchia e della Siria settentrionale, sono impegnati in uno dei tentativi più coraggiosi e innovativi del mondo per usare il processo decisionale direttamente democratico nella loro politica. Due anni prima che Murray morisse, era stato contattato da Abdullah Öcalan, il leader della resistenza curda, condannato e messo in prigione. Anche se non hanno avuto mai la possibilità di impegnarsi in un dialogo diretto, Öcalan ha intrapreso uno studio serio dell’opera di Murray, leggendo dei libri fondamentali, come The Ecology of Freedom [L’ecologia della libertà] e From Urbanization to Cities [Dall’urbanizzazione alle città]. In conseguenza di queste letture, Öcalan ha abbandonato l’approccio marxista-leninista alla rivoluzione sociale, a favore dell’approccio di Murray, non statista, libertario e municipalista, adattando le idee di Murray e sviluppando le sue, in quello che ha chiamato Confederalismo Democratico [è anche il titolo di un opuscolo di Öcalan, n.d.t.). Ora vediamo queste idee messe in opera in molte comunità curde in Turchia e nella ragione del Rojava, nella Siria del nord, compresa Kobani, dove le forze curde hanno combattuto e infine hanno cacciato via dalla città i combattenti dello Stato Islamico, dopo 134 giorni di battaglie.

Queste città sono importanti per avere istituito il tipo di consigli di democrazia diretta che danno responsabilità e importanza a ogni membro della comunità, indipendentemente dall’etnia, dal genere e dalla religione. Hanno abbracciato i principi del processo decisionale democratico, della gestione ecologica, e l’uguaglianza di rappresentanza per le minoranze etniche e per le donne, che ora costituiscono il 40% di ogni organismo con compiti decisionali. Hanno istituito la libertà di parola e in molti casi hanno municipalizzato le loro economie. Più che altro, considerano l’autonomia curda inseparabile dalla creazione di una società liberatoria, non capitalista per tutti e hanno creato le loro proprie zone autonome che rappresentano una vera sfida allo stato-nazione.

Questo tipo di autogoverno è un modello non soltanto per quella zona, ma per il mondo. Speravo   che Murray che non soltanto credeva così fortemente nel modello municipalista libertario, ma anche nella lotta curda per l’autonomia, avesse vissuto abbastanza per vederlo.

Nella sua introduzione al libro, fa notare che l’influenza di Murray si è fatta sentire anche nei programmi e nella politica dei nuovi movimenti sociali. Che cosa pensa della sua eredità per questi movimenti e quale è il suo scopo riguardo a questa nuova pubblicazione?

Penso che le caratteristiche di Murray siano evidenti in una vasta gamma di teorie attuali politiche e sociali, per esempio nell’acuta opera di teorici come David Harvey e Marina Sitrin. Il mio co-redattore  Blair Taylor, che sta per iniziare il dottorato presso la Nuova Scuola per la Ricerca Sociale al dipartimento di Politica, è specializzato nella storia dei nuovi movimenti sociali e ha osservato che essi hanno già abbracciato molte delle idee di Murray, anche se questo è stato fatto talvolta inconsapevolmente.   Lo vedete nell’uso dei gruppi di affinità, negli spokes-councils (sono un insieme di gruppi di affinità, n.d.t.) e in altre forme di organizzazione diretta della democrazia; nella sensibilità alle questioni di dominio e gerarchia, nella comprensione di politica pre-figurativa – cioè che dobbiamo vivere i valori nel nostro movimento che vogliamo ottenere in una nuova società.

Questi sono tutti concetti che Murray aveva introdotto negli anni ’70. Vedete queste idee attuate nel movimento di transizione  cittadino  e nelle strade quando i giornalisti chiedono ai dimostranti: “Che cosa volete?” ed essi rispondono, “Democrazia diretta.” Penso che sia un fatto eccitante che la sua opera venga discussa da persone come David Harvey e David Graeber, e riscoperta da una nuova generazione. Quello che spero è che i movimenti sociali che stanno formandosi in tutto il mondo, considereranno di usare le idee presentate in questo libro come modi di  rivendicare   il potere popolare a livello municipale, in modo da potere rendere istituzionale il cambiamento politico necessario a farci spostare dall’ambito della protesta a quello della trasformazione sociale, a una società auto-gestita e un futuro di emancipazione.

 

Federico Venturini è attivista e ricercatore, e lavora con il movimento per l’ecologia sociale e urbano sociale. Attualmente sta per iniziare il dottorato  presso la Scuola di Geografia all’Università di Leeds, ed è  membro dell’Istituto Transnazionale di Ecologia Sociale.

Tratto da: www.znetitaly.org

Fonte: http://zcomm.org/bookchin-living-legacy-of-an-american-revolutionary

Originale: Roarmag.org

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

UN RICORDO CRITICO

Murray Bookchin è morto, il 30 luglio 2006 all’età di 85 anni, nella sua casa di Burlington nel Vermont.
Che eredità ci ha lasciato? E’ una tragedia che la maggior parte del movimento anarchico non abbia colto gli aspetti veramente fondamentali del suo pensiero. Innanzitutto la maggior parte degli anarchici non si è neppure posta il problema che Bookchin vada “necessariamente” letto e con attenzione. Beninteso non per forza di cose va letto integralmente, ma almeno in quelle parti dove effettivamente elabora, in chiave anarchica, idee e concetti assolutamente nuovi. Ciò accade anche perché, generalmente, l’anarchico, nel suo emergere,  si basa su idee intuitive e su un background culturale  giustamente “autogestito” che però si limita alle problematiche più elementari e visibili, mixate secondo le “mode” del momento o attraverso i paradigmi precostituiti, incarnati dalle organizzazioni politiche già esistenti, senza un effettivo interesse per l’elaborazione teorica. Questo metodo poteva (forse) essere sufficiente in passato ma oggi le problematiche sociali coinvolgono, in maniera sempre più invadente, la questione della scienza e volenti o nolenti bisogna essere in grado di dare una risposta a questo livello di complessità. In secondo luogo,  quasi tutti gli anarchici che hanno effettivamente preso in considerazione Bookchin, sia coloro che lo hanno accettato che quelli che lo hanno respinto, si sono basati sugli aspetti secondari del suo pensiero. Per costoro Bookchin significa “municipalismo libertario”, “democrazia diretta”, “economia morale” piuttosto che “sensibilità non gerarchica”, “razionalità libertaria”, “epistemologie del dominio”. Ciò è purtroppo anche una ovvia conseguenza del fatto che la maggior parte degli anarchici ha scarse basi di cultura scientifica e quindi si confronta con quello che gli risulta maggiormente intelleggibile e cioè con gli aspetti socio-politici di una teoria. Devo anche dire che Bookchin non mi pare abbia fatto molto per evitare questo equivoco anzi lo ha forse alimentato, legittimando che i concetti sopra accennati (soprattutto il municipalismo libertario)  erano parte integrante delle applicazioni politiche ufficiali dell’ “ecologia sociale”. Tali applicazioni non sono certo prive di una loro dignità e di un certo legame logico con la teoria generale, (nel senso che non sono in contraddizione con essa), ma sono ben lungi da esserne la sola espressione politica. Anzi direi che l’ecologia sociale non dovrebbe neanche dare suggerimenti politici troppo elaborati e preconfezionati e ciò per due ragioni: 1) perché non necessariamente questo le compete; 2) perché non è una buona tattica per la sua diffusione; infatti così si è finiti a parlare dei suoi eventuali aspetti “politici” e non si è affatto discusso di quelli “teorici”. La politica dell’ecologia sociale è innazitutto quello che dimostrano di saper fare gli ecologisti sociali e non si diventa tali per via “politica”, cioè indiretta, e tantomeno in modo surrettizio. Che senso ha che si applichino le strategie e i metodi del municipalismo libertario senza che si siano assimilati i fondamenti dell’ecologia siociale? E’ successo e succederà che si applicheranno idee politiche simili al municipalismo libertario ma inevitabilmente snaturate e misitificanti.
Né Bookchin né i suoi seguaci si sono accorti di questo spostamento concettuale che di fatto ha impedito che ci si avvicinasse all’ecologia sociale effettivamente nel giusto modo. Non si deve prendere paura che l’ecologia sociale obblighi tutti a diventare scienziati ed epistemologi, si può facilmente procedere per gradi e nel campo che ci è più confacente, purchè si tengano presenti alcuni principi basilari quale per esempio: “riordinare la sensibilità per riordinare il mondo reale”.
Per quanto mi riguarda ho sempre cercato di mettere a frutto questo principio che è una garanzia di longevità e di creatività politica. Ho visto sotto i miei occhi varie generazioni di “militanti” insterilirsi ed abbandonare il campo, spesso non senza avere creato situazioni psicologicamente pesanti. L’ecologia sociale ancor prima (e contestualmente) di “costringerci” a cambiare il mondo esterno deve insegnarci a cambiare noi stessi e ciò finalmente senza retorica, verbalismi affettivi e strategie psicoanalitiche. La prospettiva nuova è collocata sul piano epistemologico cioè su quello della effettiva conoscenza dell’intero mondo reale: mente, natura e società vengono a trovare finalmente un contesto organico e coerente in cui specchiarsi.
Dal punto di vista più strettamente teorico il principio (legittimato da Bookchin nel seminario del novembre 1984 a S. Giorgio di Nogaro[3]) secondo cui l’ecologia sociale è “con l’anarchismo, ma oltre l’anarchismo” ha posto contemporaneamente due questioni molto delicate; da un lato la necessità di superare i limiti non solo politici, ma anche filosofici, dell’anarchismo classico e dall’altro di non combinare pasticci come è successo negli ultimi 25 anni, con varianti del tutto arbitrarie dell’anarchismo quali il primitivismo, l’anarco-insurrezionalismo, e varie tipologie di neo-induividualismo più o meno stirneriano.
Verso Bookchin dal punto di vista strettamente teorico si può osservare quanto segue. Pur accettando ed assimilando le sue critiche alla “scienza paradigmantica”[4], devo dire che il suo approccio è carente proprio per quanto riguarda le strategie di trasformazione delle scienze “dure”  del dominio ed in particolare la fisica. Su questo fronte sono direttamente impegnato ed ho inteso ricordare Bookchin proprio nel lavoro che sto facendo cioè nella mia tesi in fisica[5] (che la militanza politica mi ha sempre costretto a rinviare) che ha un titolo estremamente significativo “Strategie per una didattica generalizzata della termodinamica”.
Bookchin non aveva particolare competenze in questo campo che è sempre stato coperto da ecologi neo-scientisti quali Barry Commoner o Amory Lovins o da divulgatori interessati quali Jeremy Rifkin. Ma è sulla questione energetica e sulla risoluzione della crisi ecologica del pianeta che l’anarchismo può e deve spendere le sue proposte politiche. Su questo fronte ho purtroppo il dubbio che l’ecologia sociale, così come formulata da Bookchin, si dimostri insufficiente in quanto non in grado di affrontare le “epistemologie del domino” ad armi pari. Bookchin ha gettato le basi filosofiche ma ora bisogna rafforzare gli strumenti operativi.
E’ bene che gli anarchici comincino ad uscire dai loro ghetti ideologici ed inizino ad affrontare problemi di più vasto respiro. Bookchin, oltre venti anni fa,  per tentare di scuotere le coscienze e le intelligenze, aveva lanciato lo slogan “se non faremo l’impossibile vedremo l’incredibile” ma oggi dobbiamo dire che stiamo incominciando a vedere l’incredibile e forse ci stiamo anche facendo l’abitudine.


Paolo De Toni dicembre 2006
Articolo scritto per il giornale anarchico Germinal


Potrebbe piacerti anche Altri di autore