SCUOLA: I FASTI CHE MERITA

Francesco Locantore,

“Alla fine il tempo ci ha dato ragione. Dopo anni di battaglie per risollevare un sistema educativo intorbidito dalla coda del ’68, ora anche la sinistra finalmente ha dovuto dare atto ai governi Berlusconi di aver agito nella direzione giusta per riportare la scuola italiana ai fasti che merita”

Maria Stella Gelmini – Il Mattinale 4/9/14

“La prima valutazione non può che essere positiva, se ci si ferma ad alcune parole chiave che hanno caratterizzato finora le riforme Moratti, Gelmini e alcune mie leggi: merito, valutazione, carriera, governance, alternanza scuola-lavoro, formazione professionale”

Valentina Aprea – La Tecnica della Scuola 6/9/14

Nonostante la scuola sia stata martoriata dalle riforme di centrodestra e di centrosinistra degli ultimi anni, il progetto di riforma della scuola avanzato dal governo Renzi costituisce uno degli attacchi più importanti alla libertà di insegnamento mai avanzato nella storia repubblicana.

Nessuno sostiene che la scuola così com’è oggi vada bene, né che essa abbia mai vissuto una stagione in cui abbia effettivamente funzionato come strumento di mobilità sociale e di emancipazione dalle differenze di classe presenti nella società. La scuola, anche quella pubblica statale ha sempre operato meccanismi di selezione di classe, spesso di repressione della creatività e delle idee e pratiche originali delle giovani generazioni, formando da una parte le classi dirigenti negli istituti più prestigiosi e dall’altra i futuri lavoratori subordinati nella maggior parte delle classi, premiando quelli più subordinati e sanzionando chi rifiutava di sottomettersi alla disciplina della scuola e della società. Tuttavia tutte e tutti noi abbiamo dei ricordi di insegnanti fuori dal coro, che ci hanno permesso di diventare quello che siamo, che ci hanno trasmesso la capacità di discernimento e di critica dei fenomeni sociali, politici e culturali che ci circondano.

Il principio della libertà delle arti e delle scienze e del loro insegnamento è un principio che viene da lontano, prima di essere formalizzato nella Costituzione repubblicana del ‘48. La dialettica tra i poteri forti che avrebbero voluto e vogliono imporre un freno allo sviluppo della scienza e alla sua trasmissione da una parte e dall’altra chi resiste e lotta per la libertà della scienza e del sapere è una dialettica viva, che ha attraversato le grandi stagioni di mobilitazione degli studenti e degli insegnanti (si pensi alla critica della scuola avanzata nel 68 e negli anni settanta) ma anche gli sforzi individuali di chi è riuscito a trovare nelle pieghe di un sistema comunque autoritario come è quello della scuola, gli spazi per un insegnamento critico, collaborativo con i discenti e con gli altri insegnanti, per una pratica collegiale.

Oggi che la società è di fronte al cambiamento epocale della precarizzazione totale dei rapporti di lavoro, della dismissione pressoché totale delle politiche sociali da parte dello Stato e della messa sul mercato finanche di quei servizi che garantiscono diritti fondamentali (si pensi all’acqua, alla salute e appunto all’istruzione), la scuola che era stata immaginata nelle lotte a cavallo degli anni sessanta e settanta e i pochi ma significativi risultati che quelle lotte avevano ottenuto sul piano normativo entrano in contraddizione con i nuovi rapporti di forza tra le classi che si sono instaurati e con gli interessi del nuovo vecchio capitalismo ipercompetitivo, ipersfruttatore, totalizzante nonostante la sua crisi strutturale.

Gli attacchi degli ultimi anni alla scuola pubblica vanno tutti in questa direzione, da cui certo non si discosta la proposta di Renzi, anzi la approfondisce e prova a portare a casa risultati che non sono riusciti a raggiungere i governi di Berlusconi, Prodi, D’Alema e poi di nuovo Berlusconi e i tecnici dell’austerità Monti e Letta.

Si tratta con il piano scuola di raggiungere e consolidare alcuni obiettivi fondamentali:

  • mettere l’istruzione sul mercato, mettendo in competizione gli istituti scolastici pubblici (statali) tra di loro e con quelli privati (paritari);
  • mettere in competizione tra loro i docenti, spezzando la categoria e dividendo i docenti “meritevoli” da quelli non disposti a sottomettersi ai dirigenti scolastici e assegnando poteri inediti ai dirigenti e ad una piccola schiera di suoi collaboratori;
  • di cancellare l’impianto di partecipazione democratica alla vita della scuola disegnato dai decreti delegati sugli organi collegiali, annullando la partecipazione degli studenti e svuotando di significato quella del corpo docente;
  • di disinvestire consistentemente nell’istruzione pubblica, lasciando gli istituti in balia degli investimenti privati e annichilendo la pressione esercitata dalle graduatorie dei precari;
  • di educare le nuove generazioni ad un futuro lavorativo fatto di ipersfruttamento, bassi salari e zero diritti, inserendoli in azienda fino dall’età dell’obbligo scolastico.

Lo sdoganamento delle scuole private “parificate” con quelle statali è storia vecchia, così come il superamento del divieto costituzionale del finanziamento alle istituzioni private. Quello che si cerca di fare oggi è mettere effettivamente in competizione gli istituti privati e pubblici, attraverso il sistema nazionale di valutazione (i famigerati quiz Invalsi), la possibilità dei dirigenti di scegliersi i docenti della propria scuola e tra questi scegliere quelli effettivamente impegnati nella didattica a tempo pieno, distinti dai tuttofare che copriranno i buchi delle supplenze brevi. In questo modo i dirigenti potranno effettivamente indirizzare la didattica secondo una linea scelta in base alle esigenze della domanda sul mercato, i genitori che iscrivono i figli a scuola, le istituzioni pubbliche locali, ma soprattutto gli eventuali finanziatori privati che la scuola riuscirà ad attirare.

Per riuscire a piegare gli insegnanti, piuttosto gelosi della propria libertà, si istituisce il meccanismo degli scatti di competenza, che andranno a sostituire gli scatti di anzianità e saranno attribuiti per legge dal dirigente scolastico e da una piccola schiera di fedelissimi (il nucleo di valutazione) a non più dei due terzi dei docenti di ciascun istituto, giudicati “meritevoli” di un piccolo aumento di stipendio ogni tre anni. Peccato che anche il docente che dovesse arrivare a prendere due scatti su tre nella propria carriera si vedrebbe alla fine il proprio stipendio già misero tagliato di una somma tra i 45 e i 75 euro.

E’ ovvio che la partecipazione democratica vera, libera, alla vita dell’istituzione scolastica attraverso gli organi collegiali attualmente previsti dalla legge attualmente vigente, sarebbe già fortemente compromessa dalla ricattabilità economica dei docenti. Ma se questo non dovesse bastare, la proposta di Renzi rispolvera il primo disegno di legge presentato da Valentina Aprea (Forza Italia) nel 2007, poi modificato con un intervento di mediazione di alcuni parlamentari del PD (Manuela Ghizzoni) ed infine accantonato per la sua antidemocraticità, denunciata a gran voce dal movimento delle scuole dell’autunno 2012, quando si voleva tra le altre cose aumentare l’orario di lavoro dei docenti a parità di stipendio. Come nella proposta della Aprea, il governo Renzi pensa di abolire le assemblee studentesche e il loro ruolo fondamentale nel funzionamento collegiale delle scuole, di trasformare il Collegio dei docenti in un Consiglio con soli poteri consultivi sulle materie riguardanti la didattica, e soprattutto di dare la possibilità alle scuole di istituire delle fondazioni, con un proprio consiglio di amministrazione in cui verosimilmente siederanno, oltre ai rappresentanti delle istituzioni locali, il dirigente e qualche suo accolito, i rappresentanti dei soggetti privati che finanziano l’istituzione scolastica. Il nuovo sistema di governance della scuola ruoterebbe insomma intorno ad un Consiglio dell’istituzione scolastica, al Nucleo di valutazione e ad un Consiglio dei docenti consultivo, che in realtà sarebbero tutti organi subordinati al consiglio di amministrazione della fondazione, proprio come in un’azienda.

La realizzazione di questo progetto va di pari passo con la continuazione della politica di disinvestimento nell’istruzione pubblica operata dai governi degli ultimi anni. Si legge ne “La buona scuola” che “Le risorse pubbliche non saranno mai sufficienti a colmare le esigenze di investimenti nella nostra scuola” (pag. 124). Altro che tre o quattro miliardi di investimenti l’anno! Intanto per il prossimo anno scolastico i tagli al MIUR sono superiori al miliardo previsto nel rapporto per l’assunzione immediata dei precari nelle graduatorie ad esaurimento, come ha rivelato il Sole 24 Ore. Poi a regime i soldi spesi per assumere come dovuto i precari saranno assorbiti bloccando il turn over, cioè evitando di assumere nuovo personale man mano che gli anziani andranno, sempre più tardi in pensione; con il taglio delle supplenze brevi e con lo stillicidio di risorse che vengono tolte di anno in anno alle scuole statali (le private riescono inspiegabilmente a conservare i propri finanziamenti dallo Stato invariati). Neanche ci saranno più le graduatorie dei precari che premono con le loro mobilitazioni perché si investa nella scuola pubblica e si assumano nuovi docenti e ATA. In effetti nel piano di Renzi non è prevista neanche una cattedra in più rispetto alla situazione attuale così come si è determinata dopo i pesanti tagli operati da Berlusconi, Tremonti e Gelmini. I nuovi assunti in eccesso rispetto alle cattedre esistenti verranno infatti utilizzati come organico aggiuntivo, per progetti e progettini ma soprattutto per coprire le supplenze brevi al posto dei loro colleghi abilitati e non abilitati che non erano inseriti nelle graduatorie ad esaurimento. Ma allora dove troveranno i fondi le scuole per funzionare in maniera decente? Per le più fortunate, oggetto delle mire di qualche azienda privata, forse il meccanismo delle fondazioni potrà portare delle risorse, ovviamente a caro prezzo. Per le altre, la quasi totalità, non rimane che continuare a vivacchiare e ricorrere a strumenti compassionevoli come il crowdfunding o il cinque per mille. Insomma tutto fuorché l’investimento statale nella scuola pubblica di cui ci sarebbe bisogno.

Infine, ma non meno importante degli altri aspetti della riforma della scuola proposta da Renzi, gli studenti dovranno abituarsi precocemente alle condizioni di precarietà generalizzata del mercato del lavoro in Italia. In primo luogo avranno davanti agli occhi una categoria di docenti che, essendo ormai privata dei propri diritti elementari di lavoratori intellettuali liberi e pensanti, farà fatica a trasmettere i valori della dignità del lavoro alle nuove generazioni. Poi negli istituti tecnici e professionali verrà reso obbligatorio e inserito nel percorso curriculare l’alternanza scuola-lavoro, fin dall’età dell’obbligo scolastico, che rimane, manco a dirlo a sedici anni. I nuovi studenti lavoratori saranno impiegati con i nuovi contratti di apprendistato voluti dal ministro Poletti, privati di qualsiasi garanzia di assunzione successiva all’apprendistato e privati di quei diritti fondamentali delle lavoratrici e dei lavoratori che invece dovrebbero essere insegnati nelle scuole, per formare lavoratori consapevoli e critici, non schiavi moderni al servizio dei capricci delle imprese.

Insomma il modello di scuola che ha in mente Renzi è quello di una scuola aziendalizzata a tutto vantaggio per le aziende private, ma a discapito del sapere critico, della libertà consapevole di ciascuno di poter determinare e costruire insieme alle altre e agli altri il proprio futuro e quello della società.

da “Granello di sabbia. Info” n. 241, Il mensile per un nuovo modello sociale di Attac Italia

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