ZERO IN CONDOTTA

Il Governo Renzi è appena uscito, attraverso interviste, comunicati stampa e twitter, con un nuovo Piano scuola: l’annuncio di un’imminente disegno di legge delega o di un decreto, che come al solito è corredato dalla consultazione telematica e su social network “di cittadini” o “teleutenti”, ma da nessun confronto con le organizzazioni sindacali e le associazioni del settore. Riproponendo nel contempo la classica abitudine democristiana di impostare (e magari approvare) cambiamenti del sistema scolastico e della professione docente nel corso della pausa estiva, quando la scuola ed il suo mondo sono tendenzialmente ferme, e quindi la sua reazione è meno pronta ed efficace.

Ma non è solo il metodo che non funziona. Questo nuovo cosiddetto “Piano scuola” prevede infatti di rinnovare il Contatto nazionale degli insegnanti solo dopo aver cambiato, per legge, orari e organizzazione del lavoro docente. Cioè svuotando ogni senso alla contrattazione ed all’esistenza del contratto. E nel breve volgere di poche righe, il governo Renzi è riuscito a raccogliere il peggio di vent’anni di tentativi dei governi di centrodestra e centrosinistra, stravolgendo la scuola, la professione docente, il contratto nazionale, i diritti di decine di migliaia di precari. Tentativi che, nel passato, sono falliti proprio per la mobilitazione compatta del mondo della scuola. Negli annunci giornalistici si prevede infatti:

–          un potere incontrastato e insindacabile del Dirigente scolastico, che nominerà le diverse figure organizzative nel proprio istituto e che si vedranno quindi da lui riconosciuti aumenti in busta paga sino al 30% dello stipendio;

–          l’aumento delle ore di lavoro a parità di salario, lasciando cioè invariati gli attuali stipendi della grande massa dei docenti ai livelli più bassi dei paesi OCSE (1300/1400 euro al mese), portando però il tempo di presenza a scuola a 36 ore settimanali (a cui si aggiungono correzioni compiti, aggiornamento, preparazione delle lezione, a questo punto “gratuitamente”, …), per poter in questo modo svolgere le supplenze in quelle ore aggiuntive;

–          l’eliminazione conseguente dei supplenti precari, cancellando totalmente le graduatorie di istituto (a questo punto superflue), facendo scomparire dalla scuola italiana quasi 500mila lavoratori precari iscritti a queste liste;

–          l’ennesima riforma dei cicli e dei programmi della scuola sulla base di semplici ragioni di bilancio (come Moratti e Gelmini), senza un piano ed un’elaborazione complessiva, tagliando tout court l’ultimo anno delle scuole superiori;

–         la paventata apertura degli edifici scolastici fino alle ore 22, in aperto contrasto con le politiche di “spending review” da parte degli enti locali verso l’istituzione scolastica e in contestuale presenza di nuove corpose riduzioni del personale ATA, che non riesce neppure a coprire gli orari scuola attuali.

L’area programmatica Opposizione-CGIL della FLC, costituitasi dopo aver presentato al congresso CGIL della scorsa primavera il documento alternativo il ilsindacatoèunaltracosa  ritiene che tutto il mondo della scuola (sindacati, associazioni, gruppi, comitati, insegnanti, personale amministrativo tecnico e ausiliario, studenti) debba organizzare una reazione immediata e all’altezza della situazione. Per il ritiro di questo piano. Non c’è nulla da “discutere” e nessun “confronto” da attuare su un attacco di questo tipo.

Per questo si propone alla FLC-CGIL, oltre ad un urgente riunione dei suoi organismi dirigenti nazionali, l’immediata preparazione di un percorso di mobilitazione e la convocazione, su una piattaforma di contrasto a questa ennesima riforma contro la scuola pubblica, di un’assemblea generale di TUTTE le organizzazioni sindacali (senza distinzioni preventive), di comitati, associazioni, organizzazioni studentesche, per indire e preparare congiuntamente uno sciopero generale del mondo della conoscenza alla ripresa dell’anno scolastico

4.7.2014

Ilsindacatoèunaltracosa Opposizione-CGIL in FLC

 

SCUOLA I NUMERI

www.ecn.org/reds

Maggio 2014
Organici

Il prossimo anno scolastico gli organici delle scuole saranno assolutamente insufficienti e l’attuale Governo continuerà a lavorare nel solco tracciato dall’ex ministro Gelmini, come chiaramente scritto nell’art.15 del Decreto Scuola del settembre scorso:
In dieci anni abbiamo avuto:
+162 mila, il numero degli studenti
-314 mila, posti lasciati dai pensionati
-168 mila, posti di lavoro tagliati.
Rivendicare la completa copertura dei 314 mila posti lasciati dai pensionati non ci riporterebbe neppure ai livelli del 2005, perché il numero crescente degli studenti richiederebbe almeno altri 25 mila lavoratori.

Maggio 2014
Scuole al sud

In un Paese dove la povertà economica colpisce già un 1 milione di minori, è troppo alto il tasso di dispersione scolastica italiana e in particolare è nelle regioni del Sud che l’offerta educativa per bambini e adolescenti è «scarsa e inadeguata». La regione con la maglia nera è la Campania, dove solo nel 6,5% delle scuole primarie è garantito il tempo pieno. Sono solo alcuni dei dati rivelati dallo studio di Save The Children, nel primo rapporto intitolato «La Lampada di Aladino — L’Indice per misurare le povertà educative e illuminare il futuro dei bambini in Italia». In Calabria, per esempio, gli asili nido pubblici sono sufficienti solo per il 2,8% dei bambini fino a 2 anni di età. Fa peg­gio la Calabria con il 2,5% e si registrano valori bassi anche in Puglia (4,5%), Sici­lia (5,3%), Basilicata (7,3%), Abruzzo (9,5%). L’Emilia Romagna è prima per copertura di nidi pubblici (26,5%) e tra le prime per partecipazione al teatro dei ragazzi (ci sono stati nell’ultimo anno il 38,7%) e pratica sportiva (57,8%). Meno di un terzo dei minori italiani fa sport. I libri e l’arte occupano il tempo libero di pochi: appena il 16% dei minori campani ha visitato un monumento nell’ultimo anno, e ancora meno i ragazzi in Calabria, il 12%. La situazione è più grave e diffusa al Sud, ma perfino Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Emilia Romagna, le regioni italiane più «ricche» di servizi e opportunità educative per bambini e adolescenti, non reggono il confronto con l’Europa: nessuna regione italiana è in linea con alcuni obiettivi europei quali, per esempio, la copertura degli asili nido che dovrebbe essere del 33% (nella fascia di età 0–2 anni), ma arriva a stento al 26,5% in Emilia Romagna. E, per esempio, la dispersione scola­stica, che ha numeri altissimi in Campania e Sicilia (22 e 25,8%), arriva anche in Valle d’Aosta al 19% (l’Ue ha posto obiettivo del 10% al 2020).

Maggio 2014
Esodati

Sono ormai 3 anni che 4 mila lavoratrici e lavoratori del settore della scuola sono in attesa di poter andare in pensione, costretti — pur avendo maturato i requisiti per il trattamento previdenziale — a continuare a lavorare in virtù di una applicazione ingiusta della riforma Fornero. Secondo tale riforma poteva andare in pensione con le vecchie regolechi avesse maturato i requisiti entro il 31 dicembre del 2011. I lavoratori della scuola, però, possono andare in pensione un solo giorno all’anno, il 1°settembre (per garantire la continuità dell’anno scolastico), e così più di 4mila sono stati trattenuti indebitamente a lavoro nonostante il diritto di andarci l’avessero già maturato nell’anno scolastico 2011–2012, in base alla disposizioni vigenti. E, così, si sono trovati a dover lavorare dai 3 ai 7 anni in più e in condizioni difficilissime: si pensi a maestre di 63–64 anni, con una carriera lavorativa lunghissima e faticosa alle spalle, alle prese con bambini di 6–7 anni. Eppure sarebbe un primo esempio di quella «staffetta generazionale» auspicata dalla ministra Madia: potrebbero entrare nel mondo della scuola 4mila nuovi lavoratori, magari giovani, al posto di chi ha il diritto di andare in pensione.

Aprile 2014
Università

Per il Consiglio Universitario Nazionale (Cun) servono seimila professori ordinari e 14 mila associati entro il 2018 e 9 mila ricercatori a tempo determinato entro il 2016 per non fare morire subito l’università italiana. Questo piano di reclutamento, viene precisato nella relazione approvata ieri dall’organo di rappresentanza del sistema universitario, è soltanto un provvedimento di emergenza per una «messa in sicurezza» del sistema e per contenere l’emorragia causata dai tagli strutturali agli atenei dal 2008 (-1,1 miliardi di euro) e dalla pensione di migliaia di docenti ordinari (9.486 entro il 2018) che non potranno essere sostituiti per il blocco del turnover e la scarsità di risorse. L’analisi del Cun è impietosa. Dal 2008 al 2014 il numero dei professori ordinari è calato del 30% (quello degli asso­ciati del 17%) e per i giovani non ci sono opportunità di ingresso nella docenza. Senza un rifinanziamento da 400 milioni di euro nel 2018 il numero dei professori ordinari scenderà del 50% rispetto al 2008 (quello degli associati calerà del 27%). Il crollo del numero dei docenti è l’altra faccia di quello delle immatricolazioni (da 63 mila all’anno alle attuali 15 mila) e del basso numero dei laureati (il 26% contro la media Ocse del 40%). Complessivamente nel 2018 ci saranno 9.463 professori universitari in meno e coloro che resteranno in servizio avranno un età media alta: ordinari a 51 anni, associati a 44 anni e ricercatori a 37 anni. Ciò che è interessante nella proposta sul reclutamento avanzata ieri dal Cun è la ricostruzione delle ragioni per cui l’università è finita in un vicolo cieco. Alla fine del 2006 la docenza universitaria di ruolo aveva raggiunto il massimo storico: 62 mila docenti ripartiti tra le tre fasce allora esistenti, con un picco di 20 mila ordinari rispetto al numero degli associati (circa 19 mila). In apparenza, sembra una dinamica patologica: questi assunti hanno occupato tutti i posti e, giunti quasi alla pensione e in coincidenza con blocchi e tagli, hanno intasato il sistema. Il Cun la spiega invece a partire da una complessa dinamica demografica. All’origine c’è stata l’ ope legis  che, nei primi anni Ottanta, permise l’immissione in massa di docenti oggi giunti ad un passo della pensione. Da allora, rispettando una schizofrenica alternanza di «aperture» e «chiusure» del reclutamento, l’immissione nei ruoli della docenza avrebbe seguito una media costante: 1700 ricercatori, 1250 associati e 750 ordinari all’anno. Pur alterato all’origine, il sistema sembra avere trovato un equilibrio tra il numero dei nuovi entrati e quello dei pensionandi. Prima dell’innalzamento dell’età pensionabile stabilito dalla riforma Fornero, e del blocco del turnover, andavano in pensione circa milla ordinari, 500 associati, 500 ricercatori all’anno. Numeri raddoppiati nel 2010 a causa della coincidenza della riforma, del taglio ai fondi degli atenei e del blocco del turnover che hanno portato alla chiusura dei canali di reclutamento. Le convulsioni in cui si trascina l’abilitazione scientifica nazionale gestita dall’Anvur, sempre più oggetto di ricorsi ai Tar, hanno aggiunto un altro tassello al fallimento del sistema. In un’ottica emergenziale, il Cun chiede l’abolizione del sistema dei punti organico, l’anticipazione dello sblocco del turnover al 2015, e non al 2018, un piano straordinario per associati da 75 milioni di euro.

Aprile 2014
Laureati
Gli italiani fra i 30 e i 34 anni che hanno completato il ciclo di studi universitari sono il 22,4% della popolazione, il livello più basso fra i 28 Paesi dell’Unione europea. Secondo i dati diffusi da Eurostat, e relativi al 2013, l’Italia si classifica dietro Romania (22,8%), Croazia (25,9%) e Malta (26%), mentre la media Ue si attesta al 37%. Dal 2002 al 2013, si sottolinea nel rapporto dell’Eurostat, c’è stato un aumento costante della percentuale di persone laureate nell’Unione europea, passata dal 24% al 37%. E il numero è aumentato in tutti i Paesi, con in testa Irlanda (52,6%), Lussemburgo (52,5%) e Lituania (51,3%). In Europa la percentuale di abbandono scolastico dei giovani fra i 18 e i 24 anni è diminuita costantemente, dal 17% del 2002 al 12 del 2013. Anche sul fronte della battaglia contro gli abbandoni scolastici, l’Italia si classifica in fondo alla classifica: 23esima su 28 per numero di ragazzi tra i 18 e 24 anni che hanno abbandonato studi e formazione dopo la scuola media, il 17%, mentre la media Ue è dell’11,9%. Peggio fanno solo Spagna (23,5%, record negativo), Malta (20,9%), Portogallo (19,2%) e Romania (17,3%). Ma se Madrid e Lisbona hanno tuttavia registrato importanti progressi: gli spagnoli sono passati dal 31% di abbandoni del 2007 al 23,5% del 2013 e i portoghesi dal 36,9% al 19,2%, l’Italia in sei anni è migliorata solo del 3%. I paesi virtuosi sono invece Croazia (3,7%), Slovenia (3,9%) e Repubblica ceca (5,4%).

Febbraio 2014
Università

Negli ultimi sei anni sono stati persi 8500 docenti universitari. Il dato è stato reso noto dal Consiglio nazionale universitario (Cun) durante un convegno alla Sapienza di Roma. Ciò è dovuto agli effetti derivanti dall’applicazione della riforma Gelmini negli atenei italiani. Il numero degli insegnanti è giunto ormai al minimo storico: dai 20 mila professori ordinari nel 2006, oggi lavorano nelle aule universitarie 14.500, il 27% in meno. Dal 2008 gli associati sono passati da 19 mila a 16 mila (-16%). Quanto ai ricercatori, messi su un binario morto dalla riforma Gelmini, sono 22.462. L’Agenzia nazionale per la valutazione della ricerca universitaria (Anvur) sta ultimando la valutazione delle abilitazioni nazionali per professori associati e ordinari. Al momento, comunica il Cun, sulle 36.367 domande giunte da ricercatori e precari per professori associati sono stati abilitati in 15.502, il 42,6%, e su 16.038 domande per professori ordinari sono stati abilitati 6.960 associati, il 43,4%. L’intero processo è ancora al palo per la semplice ragione che mancano i fondi per procedere al bando dei concorsi locali.

Gennaio 2014
Tagli generali 
Nell’ultimo anno in Europa si è riscontrato aumento generalizzato di investimenti a favore dell’istruzione di oltre l’1%. L’Italia, invece, continua a segnare il passo, con una riduzione dell’1,2% rispetto al 2012. I tagli hanno riguardato soprattutto il numero di insegnanti e gli investimenti in infrastrutture e Ict (attrezzature e software ). Se già nel 2000 l’Italia spendeva -2,8% della sua spesa pubblica rispetto alla media Ocse (Italia 9,8% – Ocse 12,6%), dieci anni dopo si ritrova in controtendenza sempre all’ultimo posto persino tra i Paesi G20 (32° posto) con un -4,1% (Italia 8,9% – Ocse 13,0%)”. Confrontato con il Pil il saldo è negativo: – 0,9% nel 2000 (Italia 4,5% – Ocse 5,4%) e -1,6% nel 2010 (Italia 4,7% – Ocse 6,3%), dove siamo collocati al terzultimo posto (31°). Complessivamente, in dieci anni la spesa pubblica italiana dedicata all’istruzione già di per sé l’80% di quella destinata dagli altri Paesi Ocse è scesa del 10% in controtendenza all’aumento, seppur modesto, del 3% registrato sempre negli altri Paesi. Così da abbassarsi al 67% rispetto a livelli intermedi. Negli ultimi sei anni sono stati cancellati 200 mila posti, sottratti 8 miliardi di euro e dissolti 4 mila istituti a seguito del cosiddetto dimensionamento (poi ritenuto illegittimo dalla Consulta). L’Italia è l’unico Paese dell’Ocse che dal 1995 non ha aumentato la spesa per studente nella scuola primaria e secondaria, contro un aumento medio del 62%. Nell’ultimo anno sono persino aumentate, dal 25% al 100%, le tasse richieste dalle Università agli studenti fuori corso. E soltanto il 15% degli italiani tra i 25-64 anni ha riscontrato un livello di istruzione universitario rispetto a una media Ocse del 32%, mentre la percentuale di studenti quindicenni che spera di conseguire la laurea è scesa dal 51,1% del 2003 al 40,9% del 2009. Con il numero degli insegnanti italiani di età media over 50 che rappresentano ormai il 57% del personale. All’Università si iscrive appena il 30% dei neo diplomati e, a seguito della Legge 240/2010, abbiamo assistito alla progressiva riduzione del personale docente e dei corsi di laurea. Con i ricercatori che si sono sempre più eclissati. Risultato: il numero di giovani iscritti all’università che oggi raggiunge la laurea è infatti il più basso di tutti. Tanto che l’Italia si posiziona, in alcune fasce d’età, oltre 15 punti percentuali sotto la media europea”.

Gennaio 2014
Insegnati di sostegno
Il portavoce del movimento 5 Stelle alla Camera Luigi Gallo denuncia sul suo account Face­book che le assunzioni del «Decreto Scuola» sono inferiori rispetto a quelle annunciate (69 mila docenti in tre anni, più 16 mila posti per il personale Ata). All’appello mancherebbero 26.684 docenti di sostegno. «Da un atto ispettivo fatto in commissione cultura — scrive Gallo — emerge che le assunzioni reali su posti liberi a seguito di cessazioni dal servizio sono sempre inferiori alle stime, anche perché si interviene con tagli (chiamate riforme) e spending review». Per l’esponente 5 Stelle il ministero dell’Economia «non vuole firmare la prima tranche di assunzioni di insegnanti di sostegno 8…), Mef e ragioneria dello Stato disconoscono 26.684 docenti di sostegno di nuova costituzione».

Gennaio2014
Edilizia scolastica e altro

Secondo un rapporto di Legambiente il 62% degli edifici scolastici sono stati costruiti prima del 1974 (anno in cui è entrata in vigore la nor­ma­tiva anti­si­smica), il 37,6% ha bisogno di interventi di manutenzione urgente, il 40% non ha ottenuto il certificato di agilità, il 38,4% è stato costruito in aree a rischio sismico e il 60% non ha il certificato di prevenzione degli incendi. Questo e altro ancora dice il rapporto di Legambiente “Ecosistema Scuola 2013” che ha monitorato 5.301 edifici scolastici di competenza di 94 capoluoghi di provincia. Il rap­porto di Legambiente segnala anche un aspetto positivo (l’unico) : dal 2008 al 2013 sono aumentate dal 6,3% al 13,5% le scuole che utilizzano fonti di energia rinnovabile. L’80% ha installato impianti solari fotovoltaici e il 24,9% dispone di impianti solari termici. La percentuale media di copertura dei consumi da fonti rinnovabili è del 35,6%, con isole felici come Prato dove si arriva al 100%. Tra le regioni più virtuose ci sono Puglia (59,1%), Veneto (32,7%), Abruzzo (28,9%), Sardegna (23,8%) ed Emilia Romagna (23,6%). Altre statistiche, come sempre, confermano la disparità tra nord e sud. Trento, Prato, Piacenza, Pordenone e Reggio Emilia, per esempio, sono i primi cinque capluoghi per qualità dell’edilizia scolastica, ed è solo alla 23esima posizione che si trova una città del centro, L’Aquila (il capoluogo abruzzese torna in graduatoria per la prima volta dopo il terremoto del 2009). Tra le grandi città si piazzano per prime Torino (13esima), Firenze (25esima) e Milano (33esima). Roma non è stata inserita perché ormai da diversi anni presenta dati incompleti, e non è un buon biglietto da visita. La stessa disparità tra nord e sud si riscontra nel capitolo “investimenti” per la manutenzione ordinaria e straordinaria (in calo ovunque): nel 2012 l’investimento medio per edificio scolastico è stato di 30.345 euro contro i 43.382 del 2011. Interessanti, infine, alcuni dati sull’ecosostenibilità della vita scolastica. Il 56,9% delle scuole serve prodotti biologici nei pasti, ma una mensa su tre utilizza piatti di plastica. Meno brillanti invece le prestazioni sul fronte acqua: solo nella metà delle scuole si beve acqua del rubinetto. Quanto alla mobilità urbana, è in aumento l’utilizzo dello scuolabus (lo utilizza il 30% delle scuole contro il 25,9% del 2011).

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