I NUOVI MOSTRI

di Chiara Carratù e Francesco Locantore

Al Ministero dell’Istruzione, Ricerca e Università, dopo Maria Chiara Carrozza, è approdata Stefania Giannini che, oltre ad essere ordinaria di Glottologia e Linguistica dal 1999 è anche coordinatrice e segretaria di Scelta Civica. Come per la nomina di altri ministeri importati (vedi Padoan all’Economia) anche in questo caso Renzi ha dimostrato di avere a cuore gli interessi di un pezzo importante di borghesia; infatti, la nomina della neo ministra è garanzia della continuazione dei finanziamenti alle scuole private, del proseguimento del progetto INVALSI e dell’approvazione di altre e nuove misure di contenimento della spesa pubblica. Sono bastate poche ore dalle sue prime dichiarazioni di intenti perché il web esplodesse in una protesta virtuale circa le sorti della scuola.

La centralità data alla scuola da Renzi nel suo discorso non è una casualità viste le priorità dichiarate dalla Ministra neo-insediata a viale Trastevere; infatti è proprio al mondo della scuola e dell’università, alle sue lavoratrici e ai suoi lavoratori, alle sue studentesse e ai suoi studenti, che verranno chiesti ancora sacrifici per pagare un altro pezzo di crisi e di rientro del debito pubblico.
Il discorso tenuto da Renzi al Senato traboccava di retorica: dietro le parole si nasconde un giovane vecchio chiamato a continuare esattamente nel solco tracciato dai governi che lo hanno preceduto, provando, attraverso la sua agenda del fare, solo a scavare un po’ più in profondità. Sono stati toccati tanti argomenti: dalla ristrutturazione delle scuole attraverso un piano straordinario per l’edilizia scolastica alla disparità tra le scuole del Nord e quelle del Sud fino ad arrivare alla famigerata “necessità di restituire valore sociale agli insegnanti”.

L’edilizia scolastica.

Oltre l’oratoria c’è la realtà… di promesse sull’edilizia scolastica ne sono state fatte a iosa già a partire dal governo Berlusconi che, come gli altri governi che lo hanno succeduto, ha spergiurato sulla centralità dell’investimento nella scuola e nella cultura in generale promettendo piogge di finanziamenti che non sono mai arrivati e su questo i numeri parlano drammaticamente: secondo il Corriere della Sera del 25 febbraio il 37,6 % degli istituti necessita di interventi di manutenzione urgente, il 40 % è privo del certificato di agibilità, il 38,4 % si trova in aree a rischio, il 60% non ha il certificato di prevenzione incendi. Se qualche fondo fosse arrivato davvero negli scorsi anni non saremmo a questo punto e fa effetto che, di fronte a questa situazione, Renzi si trasformi in un supereroe intenzionato entro settembre a mettere a norma tutti gli edifici scolastici che lo richiedono liberando, in deroga al patto di stabilità, fondi certi per i comuni e per le province che ha dichiarato di voler sopprimere!

Le disparità Sud – Nord.

Sulle disparità molto è stato già fatto per aumentare la distanza tra il Nord sviluppato e il Sud sottosviluppato: qui ci limitiamo solo a ricordare l’ultimo provvedimento firmato dalla Ministra Carrozza proprio mentre stava facendo le valigie. Il 7 febbraio è stato varato un decreto ministeriale, previsto dal decreto – legge “l’Istruzione riparte”, che punta a rafforzare gli strumenti a disposizione delle istituzioni scolastiche per diminuire il fenomeno degli abbandoni precoci dei percorsi di studio e a ridurre le ripetenze e i debiti formativi. Il finanziamento totale previsto è di 15 milioni di euro, cifra che è stata subito dichiarata insufficiente dall’Unione degli Studenti che ha sottolineato come la mancanza di una legge nazionale sul diritto allo studio abbia accentuato le disparità tra le regioni in termini di prestazioni erogate e servizi, fondi per le borse di studio e un reddito per i soggetti in formazione. Sotto accusa anche il meccanismo scelto per l’erogazione dei fondi; ad esempio, il portavoce al senato del Movimento 5 Stelle F. Bocchino denuncia che nel momento di ripartire i fondi non si è tenuto conto della popolazione scolastica corretta dal tasso di dispersione ma si è effettuato un calcolo diverso che crea la paradossale situazione che regioni come la Lombardia con una popolazione scolastica di 1.159.776 ma con un tasso di dispersione del 15,34% e quindi con 177.910 alunni “dispersi” riceve un finanziamento di € 2.204.827 a fronte della Campania che, pur avendo una popolazione scolastica di 941.990 unità con un tasso di dispersione scolastica del 21,77 % e quindi ben 205.071 alunni “dispersi”, riceve solo € 1.847.212.
Questo decreto dunque non fa altro che accentuare le distanze tra il Nord e il Sud del paese.

Dare valore agli insegnanti.

Quale strada seguirà questo governo per restituire valore sociale agli insegnanti?
Il Corriere della Sera lo dice fuori dai denti: “per ridare dignità alla professione bisognerebbe smetterla di pensare agli insegnati come a un monolite, uscire dall’ipocrisia di un sistema in cui tutti i professori sono uguali e i volenterosi sono pagati come i lavativi. Ma questo significherebbe passare dagli slogan ai fatti, dall’analisi dei problemi al tentativo di trovare le soluzioni”.
In questa stessa direzione le soluzioni sono chiaramente indicate dalla ministra Giannini che nei giorni scorsi ha reso note le sue priorità che non indicano affatto una strada nuova rispetto alle idee dei suoi predecessori: in un’intervista rilasciata a Radio 1 la Ministra riferendosi poi al contratto degli insegnanti ha affermato che va cambiato in quanto mortificante perché privo di meccanismi premiali che permettono l’aumento degli stipendi alla media europea.
La soluzione proposta è tutta contenuta nello slogan “più autonomia e più valutazione”. Traduzione: eliminazione degli scatti di anzianità, aumento dell’orario del lavoro e valutazione attraverso il meccanismo dell’INVALSI.
Un’altra batosta verrà dalla ventilata proposta di riduzione delle superiori a 4 anni, riduzione verso la quale la Giannini non ha “nulla di pregiudizialmente in contrario’’ e dall’intenzione di riprendere la proposta del reclutamento a chiamata diretta da parte dei dirigenti che fu anche dell’on. Valentina Aprea quando era Presidente della VII Commissione Cultura ed Istruzione della Camera dei Deputati sotto il governo Berlusconi.
Infine è stata ribadita anche l’importanza della parità nella scuola: “scuola statale e non statale devono avere uguali diritti e trattamenti che corrispondano al loro diverso insegnamento”. Altre piogge di denari cadranno sulle scuole private mentre i finanziamenti alle scuole pubbliche verranno costantemente tagliati.

Agitazione nelle scuole

Che la scuola non viva tempi allegri è dimostrato anche dalle proteste delle ultime settimane che, in una città come Torino, stanno crescendo di giorno in giorno con assemblee in diverse scuole del territorio mentre alcune lavoratrici si sono incatenate per proteste nella piazza antistante il Comune di Torino. Tutto è iniziato quando sono stati resi noti i nuovi contratti CONSIP per i servizi di pulizie e vigilanza nelle scuole pubbliche che sono entrati in vigore dal primo marzo. È previsto un drastico taglio del servizio di assistenza, sorveglianza e pulizia che tocca anche punte del 70% e ad essere colpiti sono lavoratori ma soprattutto lavoratrici che appartengono a fasce sociali molto deboli. La Città di Torino e la Regione Piemonte sono le uniche realtà italiane che hanno scelto in questi ultimi 20 anni di avvalersi di Cooperative sociale di tipo B (composte prevalentemente da donne sole con figli, persone con bassa scolarità, over 50 disoccupati) per la gestione di questi servizi di accudimento e accoglienza dei giovanissimi cittadini in formazione . Si tratta di un ennesimo e grave attacco alla scuola pubblica che colpirà questa volta i servizi di pulizia e sorveglianza con gravi ripercussioni sul funzionamento della scuola, inclusa la delicata questione dell’assistenza agli alunni disabili e che metterà in serio pericolo la possibilità di realizzare il tempo pieno.

Le mobilitazioni dei precari

Il ventilato taglio di un anno alle scuole superiori oltre a ridurre ulteriormente la qualità dell’istruzione pubblica, costerebbe circa 40mila posti di lavoro. Dopo i 130mila licenziamenti mascherati di Gelmini e Tremonti, altre decine di migliaia di precari che vengono assunti a settembre e licenziati a giugno da tanti anni, rischiano di nuovo di non vedersi rinnovato il contratto di lavoro. Già i governi Monti e Letta si erano accaniti contro i docenti escludendo il pagamento delle ferie maturate durante i contratti a tempo determinato ma non godute (per contratto i docenti non possono prendere più di sei giorni di ferie durante l’anno scolastico!), prevedendo il blocco per nove anni degli scatti di anzianità ai neoassunti – una sorta di Job Act ante litteram – e negando il diritto vigente in tutta Europa a non essere impiegati con contratti a tempo determinato per oltre tre anni. Per questi motivi i precari della scuola hanno convocato per il 21 marzo una giornata nazionale di mobilitazione, in cui chiederanno di andare in ferie tutti nello stesso giorno e si recheranno in presidio al Miur di viale Trastevere. Intanto si sta ragionando di una giornata di sciopero “autoconvocato” dal basso, la proposta è partita dall’assemblea nazionale dei precari della scuola dello scorso 19 gennaio a Roma, per il prossimo 11 aprile.

Renzi e suoi ministri non sono il nuovo che avanza ma il vecchio che continua e che si afferma con forza maggiore. Gli unici obiettivi di questo governo sono lo smantellamento di quel poco di diritti che restano ai lavoratori e alle lavoratrici e la distruzione del sistema democratico borghese nato con la Costituzione del ’48. La caratteristica peggiore consiste nel mascheramento di chiare politiche liberiste dietro nuovismo, giovanilismo e femminilismo che gettano fumo negli occhi di chi si ostina a non vedere la pericolosità di questo e di chi vuol giudicare solo dopo averlo visto all’opera (purtroppo anche le organizzazioni sindacali sembrano stare alla finestra!).
Noi non abbiamo bisogno di vederlo operare, ci bastano le premesse: si tratta si un altro pezzo della lotta di classe dei padroni che avanza attraverso le politiche di austerità e di tagli ai servizi sociali e ai diritti fondamentali. Per parte nostra continueremo a lavorare per il protagonismo di quel fronte di lotta che nel nostro paese ancora non si vede: quello delle lavoratrici e dei lavoratori.

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