RENZI E LA SCUOLA

Bisogna finanziare la scuola privata perché la scuola pubblica è migliore: le paradossali argomentazioni della nuova ministra del governo Renzi, “giovane” e “rosa” nell’apparenza ma vecchio e nero nella sostanza. La Repubblica, 2 marzo 2014

Cambiano i governi non la politica scolastica, che promette di andare verso la graduale eguaglianza delle scuole private a quelle pubbliche. Alcuni governi sono più energici di altri; questo parte con una straordinaria determinazione. Le prime dichiarazioni della nuova ministra della Pubblica istruzione, Stefania Giannini, sono improntate al merito e al bisogno, per usare una fortunata coppia di valori, molto frequentati negli anni ’80. Il merito dovrebbe guidare la diversificazione remunerativa degli insegnati delle scuole pubbliche: coloro che producono di più dovrebbero essere meglio retribuiti, come i dipendenti di una qualunque azienda.

Il criterio per stabilire il merito nell’insegnamento medio e superiore non sarà facile da individuare, a meno che non si adottino criteri discutibili come il numero dei promossi, le ore di servizio alla scuola, o il buon gradimento da parte dei genitori o del dirigente scolastico. Ma è doveroso attendere le proposte prima di giudicare, riservandoci un angolino di scetticismo per le pratiche che vogliono applicare la logica degli incentivi economici a tutte le funzioni indifferentemente, non tenendo conto che ci sono beni di cittadinanza (come la scuola) che non possono essere giudicati con gli stessi criteri della produzione di beni destinati al mercato.

Le dichiarazioni di Stefania Giannini sono invece più esplicite nella parte relativa ai rapporti dello Stato con le scuole private paritarie. Qui la ministra invoca il bisogno. E le posizioni che emergono sono molto preoccupanti benché non nuove. Nuovo è l’armamentario argomentativo, perché pensato non per convincere che le scuole private parificate meritino più finanziamenti, ma per sostenere che esse hanno bisogno dei soldi pubblici e, infine, che il sollievo dal bisogno sarà garantito dal percorso del governo che va verso l’affermazione dell’eguaglianza piena, non più della parità, delle scuole private con quelle pubbliche. Il fine è far cadere ogni barriera che distingue i due ordini di scuola allo scopo di non dover più giustificare i finanziamenti pubblici, che a quel punto sarebbero dovuti. In questa cornice si iscrive la proposta della ministra di rilanciare le scuole private paritarie.

Veniamo alla giustificazione di questa marcia accelerata verso la scuola privata, che come si è detto è basata sul bisogno: in pochi anni le scuole private hanno perso studenti (in cinque anni uno su cinque), e per fermare questa emorragia lo Stato dovrebbe intervenire. E così è. I soldi pubblici sono infatti già stati accreditati alle Regioni, come ha comunicato la Compagnia delle opere (ben rappresentata nel governo): 223 milioni di euro stanziati per l’anno scolastico 2013/2014, in aggiunta a 260 milioni già previsti per lo stesso anno. In tutto, 483 milioni che tengono in piedi un settore in estrema difficoltà. Il pubblico, dunque, “tiene in piedi” la scuola privata in difficoltà. I vescovi e la ministra Giannini all’unisono chiamano questa una politica di «libertà effettiva di scelta educativa dei genitori».

Ma se c’è emorragia di studenti dalle private alle pubbliche, logica vorrebbe che si diano più risorse alle pubbliche, sia perché ne hanno presumibilmente più bisogno sia perché se lo meritano, avendo attratto più studenti, nonostante le “classi pollaio” esito della riforma Gelmini. Se è solo per bisogno che le scuole private devono ricevere i soldi pubblici, ciò significa che lo Stato fa dell’assistenza vera e propria. Non è dunque chiaro con quale logica la ministra applica la coppia merito/ bisogno, perché qui sembra di capire che le pubbliche siano punite proprio per ricevere gli studenti che abbandonano le private, le quali per non saper trattenere gli studenti ricevono invece i finanziamenti. È chiaro che i soldi pubblici servono a tenere queste scuole in vita, non a premiare il merito o il buon rendimento.

Tenerle in vita, si sostiene, perché sono il luogo dove si concretizza la «libertà educativa dei genitori». Ma perché i genitori scelgono di iscrivere i figli alla scuola pubblica? Presumibilmente questa loro scelta libera è dettata da ragioni di merito: la scuola pubblica è, nonostante tutto, migliore e vince sul mercato della libertà educativa. Ma a seguire le parole del ministro sembra di capire che lo Stato interverrebbe quando la scelta è già stata fatta, ovvero per finanziarne il residuo (cioè il risultato di quella scelta) non per garantirla. Qui vediamo in azione l’opposto del criterio del merito e del bisogno legato al merito, e inoltre una stridente contraddizione con il principio della libera scelta.

Un argomento insidioso per giustificare il tampone di emorragia con i soldi pubblici è che un alunno delle scuole private costa meno di un alunno delle scuole pubbliche. Nel contesto di razionalizzazione mercatista della spesa pubblica nella quale ci troviamo, non si fatica a intuire quale sarà il passo successivo: meglio finanziare le scuole private che quelle pubbliche perché costano meno all’erario. Questo sarebbe un epilogo fatale per la scuola pubblica. A giudicare da queste prime dichiarazioni della ministra Giannini, nel settore dell’istruzione il governo promette di essere un governo della restaurazione, ovvero di voler chiudere la disputa tenuta aperta dalla nostra Costituzione, decretando che tutte le scuole sono pubbliche, quelle dello Stato e quelle private parificate, che tutte devono essere “eguali”. La maggioranza parlamentare ha il potere di farlo. Ma l’opinione pubblica e politica ha il dovere di criticare questa scelta e di operare per fermarla o cambiarla.

 

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CHI E’ STEFANIA GIANNINI

Da poche ore anche Viale Trastevere, dove ha sede il Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca ha un nuovo inquilino. Anzi, un’inquilina.

Nella rosa dei sedici ministri dell’ennesimo governo insediatosi senza il minimo consenso dei cittadini ci sono infatti ben otto ministre. E parte la corsa di giornali e televisioni ad evidenziare questo dato, ad osannare un governo finalmente più “rosa del solito”, a commentare il look delle nuove ministre, in un esercizio degno del peggior tabloid disponibile in edicola. Un esercizio ridicolo almeno quanto il maldestro tentativo di Matteo Renzi di nascondere la vera natura del proprio governo dietro ai sorrisi, alle quote rosa, all’età media dei nuovi ministri.

Un governo che non si differenzia per niente dai precedenti (Letta, Monti, Berlusconi) e che, ad ascoltare le prime dichiarazioni sembra invece voler applicare con ancora maggiore efficienza e solerzia le ricette di tagli e privatizzazioni imposte dalla Troika.

Rispetto a questa intenzione, parla chiaro la scelta di Stefania Giannini, nuova ministra dell’Istruzione, appartiene alla schiera di Scelta Civica di cui è segretaria e coordinatrice politica dal novembre dello scorso anno. Classe 1960, toscana ed ex rettrice dell’Università per stranieri di Perugia, con tante esperienze internazionali nel curriculum: rappresentante per l’Italia nel Comitato di selezione del programma Erasmus Mundus alla Commissione Europea dal 2005 al 2009, membro del Comitato di orientamento stragegico per le relazioni scientifiche e culturali fra Italia e Francia, membro del Tavolo Interministeriale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli Affari Esteri.

La neo ministra dell’istruzione ha chiare le parole d’ordine che rivoluzioneranno il mondo della formazione: merito, valutazione, competizione, eccellenza. Peccato siano le stesse parole d’ordine della Gelmini, di Profumo, della Carrozza, nel nome delle quali sono stati approvati tagli, restrizioni del diritto allo studio, privatizzazioni!

A riprova di quanto detto, nel dicembre del 2013 la ministra Giannini era stata prima firmataria di due proposte di legge aventi per oggetto la scuola, ove si prevedeva la statizzazione degli istituti musicali paritari e la nuova governance delle istituzioni scolastiche autonome. Ministra che in una recente intervista minaccia, tra l’altro, lo stop agli scatti di anzianità per gli insegnanti. Precari o di ruolo ma pur sempre “mazziati”.

Merito e valutazione, il mantra da ripetere è sempre lo stesso : valido per la scuola e per l’università.
Le probabili linee programmatiche della nuova ministra, illustrate prima di entrare nella “formazione Renzi” seguiranno il corso della spending review; “spendere meno, spendere meglio”, continuando ad usare quel paio di forbici con cui il suo partito di banchieri è stato capace di tagliare a qualunque settore pubblico.

Potenziamento del diritto allo Studio utilizzando quegli strumenti già presenti nella nostra legislazione, tra cui il prestito d’onore, allo scopo di favorire la mobilità nazionale e internazionale degli studenti e per attirare investimenti stranieri.

Detassazione dei finanziamenti da parte dei privati, visti come benefattori dell’università pubblica;incentivi per il merito e la competizione, per favorire la concorrenza fra atenei nel libero mercato, dove finanziamenti adeguati agli standard internazionali, ma di certo non eccessivi, possano favorire l’emergere delle “eccellenze” a cui corrispondere i premi per gli ottimi risultati di valutazione raggiunti. E poi non possono mancare la scelta degli investimenti giusti, e dei tagli che penalizzano i piccoli atenei o quelli del Mezzogiorno e colpiscono i fuoricorso, da sempre ritenuti male assoluto e anomalia tutta italiana.

Cultura del merito per restituire un valore reale al titolo di studio, concludendo il processo per la valutazione della didattica e della ricerca da poco attuato con l’ANVUR; uno strumento valutativo dei criteri della produzione scientifica di ogni ateneo, poi divenuto mezzo di controllo del sapere e della conoscenza che, quando il profitto diventa l’unico obiettivo da perseguire, sono trattati come qualsiasi forma di merce. A questo poi si aggiungerebbe anche la presentazione di un Piano Nazionale di Orientamento per studenti, una sorta di aiuto per poter scegliere il proprio percorso universitario in base al “talento reale” e valutando l’occupazione reale che ne frutterebbe, che probabilmente sarà solo l’ennesimo disincentivo all’accesso all’istruzione superiore, strumento atto a troncare sul nascere le speranze di migliaia di giovani che si affacciano sul mondo della formazione universitaria.

“La cultura del merito deve definitivamente sostituire la retorica del merito, che rischia di produrre un’università dell’obbligo pagata dai poveri ai ricchi”. Parola di Stefania Giannini. Poco più che uno sforzo retorico. Sappiamo bene quel che la cultura , o retorica, del merito ha comportato nella realtà di tutti i giorni: tasse aumentate più della metà in molti atenei, rette raddoppiate per i fuori corso, indici di valutazione dei bilanci degli atenei sempre più simili a quelli di aziende, premi ad università virtuose e sanzioni per i campus con i conti più in rosso; poli di eccellenza pronti a sfornare la nuova classe dirigente, e pagati con le tasse di migliaia di studenti e studentesse condannati ad un’università di serie B ridotta in macerie.

Insomma, niente di nuovo all’orizzonte, nessuna inversione di marcia.

Ma tranquilla, ministra… Siamo pronti a difendere ad ogni costo il nostro futuro! Non permetteremo in alcun modo che, ancora una volta, una classe dirigente da rottamare e obbediente solo ai colpi di bacchetta dell’Europa delle banche provi a distruggere l’istruzione pubblica.

Contro ogni attacco al diritto allo studio, al welfare, al nostro futuro… Ci vedremo nelle piazze!

Ateneinrivolta.org- Coordinamento Nazionale dei Collettivi

 

 

 

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