STRAGE DI STATO

Ancora bufale su piazza Fontana
Quando la smetteranno?

Aveva iniziato Paolo Cucchiarelli con Il segreto di piazza Fontana (Ponte alla Grazie, 2009), un testo infarcito di invenzioni su Pietro Valpreda e Giuseppe Pinelli. Un ponderoso volume (700 pagine) costruito su una serie di falsità, con infiltrati fascisti (Mauro Meli) nel Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa mai esistiti, con presunti stragisti (Claudio Orsi) che il 12 dicembre 1969 si trovavano a centinaia di chilometri da Milano, per finire con l’accusa all’attuale direttore di “A” Rivista anarchica di essere l’anarchico (in realtà mai esistito) che non avrebbe allora confermato l’alibi di Pinelli. Accusa che gli costò una ritrattazione a pagamento sul Corriere della sera e su La Stampa.
Nella richiesta di archiviazione inoltrata al gip, nel maggio 2012 dai pm di Milano, e accolta nell’ottobre scorso, circa l’ultimo stralcio di indagini sulla strage di piazza Fontana, le tesi di Cucchiarelli relative all’esistenza di una “doppia bomba” e al coinvolgimento di Valpreda e Pinelli sono state definite di “assoluta inverosimiglianza”, così come “le dichiarazioni della fonte anonima in questione, utilizzate dal giornalista, palesemente prive di fondamento”. Non è dunque mai esistito il fantomatico mister X citato dallo stesso autore come fonte delle proprie “scoperte”.

L’ossessione del doppio
Nello stesso solco Stefania Limiti che ha invece teso, con alcune sue pubblicazioni, a rivisitare la storia di questo secondo dopoguerra producendosi in evidenti forzature della realtà. Illuminante l’introduzione de Il complotto. La controinchiesta segreta dei Kennedy sull’omicidio di JFK (Nutrimenti, 2012), con postfazione del solito Cucchiarelli, in cui si ipotizza che lo “schema operativo” approntato per assassinare nel 1963 il presidente americano sia stato utilizzato anche per la strage di piazza Fontana, con Valpreda al posto di Lee Oswald, mero burattino nelle mani di fascisti e servizi segreti (la stessa tesi de Il segreto di piazza Fontana). Emerge in questi due autori un’autentica ossessione per il “doppio” (le doppie bombe, le doppie identità), per cui tutti i protagonisti, loro malgrado, si palesano unicamente come marionette nelle mani degli apparati o dell’estrema destra. E non solo, siccome l’appetito vien mangiando, dal “doppio” si passa ora al “quadruplo”. A quando il raddoppio?

Il mutante
È infatti la volta de L’infiltrato di Egidio Ceccato (Ponte alle Grazie, pp. 324, € 14,00, introduzione di Paolo Cucchiarelli), di genere fantastico, se non avesse la pretesa di considerarsi un lavoro storico. Il libro è infarcito di frasi del tipo: “Un elemento cardine di questa strategia è l’infiltrazione…”; “…a un certo punto l’anello anarchico si agganciò a quello dei gruppi marxisti-leninisti e nazimaoisti e ambedue finirono manovrati da menti di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale…”; “…l’Andreola metteva a segno la sua infiltrazione…nel gruppo rivoluzionario di Feltrinelli e in quello anarchico…”; “…Chittaro Giuseppe aveva nel corso del 1969 infiltrato i circoli anarchici milanesi…”; “ …viene infiltrato tra i gruppuscoli anarchici e dell’estrema sinistra…”; “E lo stesso Feltrinelli fu un ingenuo strumento nelle mani dei servizi e della destra, che lo fecero saltare letteralmente in aria mettendo in mano all’editore-bombarolo dei timer difettosi preparati appunto da quel Gunter che si era conquistato la fiducia tanto incondizionata quanto malriposta dell’imprenditore…”
E via di questo passo, tra “anarco-marx-lenin-nazimaoisti”(?), infiltrati, traditori e vittime ignare.
La storia narrata, incentrata sulla figura di un diabolico pluri-infiltrato di nome Berardino Andreola, è completamente campata in aria, come dimostriamo in queste brevi note. Avremmo potuto anche lasciar perdere, ma non possiamo accettare la presunzione – non solo di Ceccato – di poter tranquillamente affermare, senza prova alcuna, che gli anarchici sono perennemente preda di infiltrati e manipolatori, in balia di ogni burattinaio di passaggio e che così fu anche a Milano al tempo della strage di piazza Fontana.
L’infiltrato sarebbe tale Berardino Andreola, già coinvolto nel 1975 nel fallito sequestro in Sicilia dell’ex senatore democristiano Graziano Verzotto. Un delinquente comune, figlio di un maresciallo dell’Ovra e lui stesso fascista, più volte condannato per truffa, traffico d’armi e altri reati comuni, ma dipinto da Ceccato come abile spia di un oscuro servizio tedesco. Ebbene, ai tempi di piazza Fontana e negli anni seguenti, questa stessa persona si sarebbe “trasformata”, a fini di provocazione, assumendo nel tempo le generalità di ben altri quattro personaggi, variamente infiltrandosi tra gli anarchici e non solo.
I personaggi via via interpretati sono: un confidente di Allegra e Calabresi di nome Giuseppe Chittaro Job, poi un tale Giuliano De Fonseca, in seguito tale Umberto Rai e infine un uomo chiamato Gunther. Tutti costoro sarebbero la stessa persona, ovvero l’Andreola. Fin qui si potrebbe trattare di fantasie innocue, di cui il Ceccato si assume la responsabilità.
Ma l’autore dà anche per certo che il Chittaro si sarebbe davvero infiltrato fra gli anarchici, insistendo sui: “…contatti di Chittaro/Andreola con gli anarchici milanesi…” (ma quando mai?). Ma non solo, perché lo stesso Andreola sarebbe poi entrato in relazione, questa volta con il nome di Umberto Rai, ancora con “noti anarchici” e con Giangiacomo Feltrinelli, ed è con il nome di Gunther, sotto il traliccio di Segrate nel 1972, che l’Andreola/Gunther ne avrebbe volontariamente causato la morte, grazie alla manipolazione del timer che l’editore stava maneggiando, per poi dedicarsi, con il nome di De Fonseca, al depistaggio delle indagini sulla sua morte. Il tutto senza fornire il minimo riscontro o una prova. Sarebbe invero stata sufficiente qualche verifica per evitare figuracce e rendersi conto che si tratta di persone del tutto diverse tra loro. Una verifica sull’età ci dice che Andreola nacque a Roma nel 1928; Chittaro, come da rapporti di polizia e da certificato anagrafico di nascita, a Udine nel 1940; Rai nasce a Milano nel 1923, come da documentazione della questura di Milano e dal mandato di fermo del 15 dicembre 1969, mentre il Gunther risulta nato fra il 1927 e il 1931. Quanto alle morti, si sa di Andreola nel 1983, a 55 anni e di Gunther nel 1977.
Da altre verifiche si apprende anche che nel 1975 l’Andreola, dal carcere di Palermo, si propose come informatore sulle Br ai giudici di Torino, che dopo averlo sentito lo bollarono per “manifesta inattendibilità” e “calunnia”. Berardino Andreola, condannato per tentato sequestro a scopo di estorsione, rimarrà in carcere dal 1975 fino alla sua morte, nel carcere di Fossombrone, nel 1983.

Chi erano?
Ma chi erano nella realtà storica questi personaggi? Per ragioni di spazio, riportiamo solo alcuni elementi, ma molti altri ve ne sarebbero: Chittaro, di corporatura media, era un mezzo mitomane che nel 1969 bazzicava (a suo dire) l’ex hotel Commercio e l’allora casa dello studente occupati, nonché i gradini del Palazzo di Giustizia di Milano, dove l’anarchico Michele Camiolo faceva lo sciopero della fame. Uno che viveva di espedienti, non troppo alfabetizzato, (nelle sue lettere si legge ad esempio l’aradiola scuadra politica…), più volte condannato per truffa, sostituzione di persona e anche traffico di armi (due fucili), ma che godeva di strani agganci in Francia e Svizzera presso questure e consolati. Con questo tizio aveva stretti rapporti il capo dell’ufficio politico della questura milanese Antonino Allegra, che sperò fortemente di trarre da lui confidenze determinanti per accusare gli anarchici, tanto da inviare il commissario Calabresi a Basilea, per un incontro con lui presso il consolato, addirittura il 13 dicembre, giorno dopo la strage. Una trasferta che si rivelerà del tutto infruttuosa. Anni dopo, nel 1980 – si noti che Andreola era in carcere – il Chittaro fu oggetto di numerosi articoli sul quotidiano Lotta continua, su l’Unità e altri giornali, perché coinvolto in una complicata e oscura storia di falsi documenti e depistaggi sulla morte di Feltrinelli. Chi lo incontrò allora ricorda che il Chittaro si vantava sempre di grande dimestichezza con l’editore.
Gunther era il soprannome di Ernesto Grassi, che non era un traditore né un assassino e non ha manipolato alcun timer, ma era operaio in una fabbrica di Bruzzano, con un’esperienza di partigiano in Valtellina, faceva parte dei Gap di Feltrinelli e la tragica sera del maggio 1972 era davvero con l’editore, ma doveva occuparsi del traliccio di Gaggiano e non di Segrate. Chi lo ha conosciuto descrive fisicamente Gunther come molto piccolo e minuto. Umberto Rai era al contrario molto alto e robusto, ex pugile ed ex partigiano, di professione pittore, con lievi precedenti per reati comuni, fermato a Milano dopo la strage perché in precedenza indicato da “fonte confidenziale” (Anna Bolena) come implicato nelle bombe sui treni dell’agosto ’69. Rai frequentava allora, come molti “alternativi”, anarchici compresi, i locali di Brera e anche a lui furono chieste da parte di Allegra e Calabresi e, ancora una volta invano, confidenze sugli anarchici (su Paolo Braschi in particolare), come si ricava da un lungo interrogatorio in data 13 dicembre 1969.
Il Rai lavorò un paio di settimane per Feltrinelli, pare come guardiaspalle di Rudi Dutsche, ospite dell’editore. Nel 1969, testimoniò in Germania al processo per la strage nazista di ebrei del settembre 1943 a Meina sul Lago Maggiore, ma fu ritenuto inaffidabile dalla corte. Dal canto suo l’Andreola, nell’unica foto pubblicata nel libro e scattata nel 1977, appare un tipo normale e un po’ sovrappeso.

Anche Pinelli e Calabresi
Ma le sorprese del nuovo libro non finiscono qui: l’autore non dà nulla per certo, ma lascia intendere che anche la morte di Pinelli e quella del commissario Calabresi sarebbero in larga misura riconducibili al ruolo del Chittaro/Andreola: ruolo di confidente “infiltrato negli ambienti anarchici”, che Pinelli avrebbe smascherato quella notte in questura, condannandosi così a morte. Mentre per Calabresi, oltre a ritenere che: “… si fosse troppo avvicinato a verità delicate in materia di traffici di armi ed esplosivi, non è da escludere neppure che egli stesse indagando sulla vera identità e sulla reale collocazione politica del soggetto incontrato a Basilea il 13 dicembre 1969 e presentatosi col nome di Giuseppe Chittaro”, dunque anche lui colpevole di aver scoperto il ruolo o i ruoli giocati dall’Andreola, di cui era prima all’oscuro.
Il contenuto di fondo del libro è che la strategia della tensione fu opera della parte più retriva della destra italiana, con la complicità di Cia & co e il ruolo chiave dell’Ufficio Affari Riservati, e fino a qui e senza entrare in dettagli, siamo alla versione ormai accettata da tutti. Ma la tesi che ci sta dentro è sempre quella degli anarchici sprovveduti e infiltrati, del Feltrinelli ingenuo e manipolato e, come nel libro si suggerisce, dandone per scontata la responsabilità, anche degli “eterodiretti” militanti di Lotta continua condannati per l’uccisione di Calabresi, che come burattini tirati da fili malefici eseguivano i calcolati disegni delle forze oscure della destra eversiva. Come Cucchiarelli, Ceccato non riesce a concepire che Pinelli, Valpreda e gli anarchici non c’entrassero assolutamente nulla con la bombe del 12 dicembre e che quello di Feltrinelli sia stato un incidente. Chittaro è certamente un personaggio oscuro, manipolato e manipolatore, ma non aveva nulla a che fare con l’Andreola e se davvero tentò di infiltrarsi tra gli anarchici, proprio non ebbe successo. Ovviamente anche nelle pagine di questo libro, come in quello di Cucchiarelli, fa capolino un misterioso mister X, questa volta chiamato “Anonimo mafioso”, intento a raccontarci vicende tanto oscure quanto indimostrabili. Siamo, in ultima analisi, di fronte una forma di intossicazione, consapevole o no che sia, di un pezzo di storia negli anni della strategia della tensione. Ceccato ha detto in una intervista che: “ …su chi è stato (l’Andreola ndr) e su quanto ha fatto esistono riscontri ben precisi, capaci di riscrivere una nuova verità storica con cui la società, non solo italiana, dovrà per forza fare i conti”.
Trame e complotti contrassegnarono davvero quel periodo e la verità storica deve essere scritta. Ma un conto è studiarla, altro è inventarla.

Enrico Maltini

Questo articolo riprende, ampliandola, una recensione pubblicata su Il Manifesto del 16 ottobre 2013 a firma Saverio Ferrari, Enrico Maltini, Elda Necchi.

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