SUDAN: ABBIAMO UN SOGNO

di Gilbert Achcar

Di fronte all’incubo che sta attraversando il Sudan in questi giorni, abbiamo un sogno.

Il sogno che le lotte intestine tra fazioni militari – in un Paese la cui storia ha visto alternarsi ondate rivoluzionarie e colpi di Stato militari che periodicamente ne cancellano le conquiste – tra le forze armate regolari guidate da Abdel Fattah al-Burhan e le Forze di supporto rapido, guidate da Muhammad Hamdan Dagalo, possano avere lo stesso effetto che le guerre hanno avuto su alcune delle principali rivoluzioni dell’era moderna.

È noto infatti che i maggiori moti rivoluzionari della storia moderna si sono verificati sullo sfondo di una sconfitta delle forze armate del loro Paese: dalla Comune di Parigi nel 1871 alla prima rivoluzione russa nel 1905, la seconda nel 1917, quella tedesca nel 1918, ecc.

Il motivo è chiaro: le forze armate rappresentano il maggior ostacolo alle rivoluzioni nei Paesi non democratici. Perché, fintanto che il regime esistente li controlla, può usarli per sopprimere il movimento popolare, anche se ciò richiedesse di perpetrare un grande bagno di sangue. Uno dei leader più eminenti della rivoluzione russa ha riassunto il compito delle forze rivoluzionarie come quello di conquistare “i cuori e le menti” di soldati, sottufficiali e ranghi inferiori, che è proprio ciò che ha permesso alla rivoluzione di trionfare nel 1917. La verità, tuttavia, è che conquistare i cuori e le menti è molto più facile quando le truppe sono demoralizzate per una sconfitta di cui attribuiscono la responsabilità ai loro comandanti e ai governanti del loro Paese. La regione araba ne offre un esempio,

La convergenza della sconfitta e del suo impatto morale con l’esistenza di un’organizzazione rivoluzionaria in grado di estendere la sua influenza nelle file delle forze armate fornisce il miglior preludio alla vittoria rivoluzionaria, sia che avvenga attraverso un’insurrezione di massa con la partecipazione di un partito rivoluzionario, come accadde nella rivoluzione del 1917 in Russia, o attraverso un colpo di Stato guidato da un’organizzazione rivoluzionaria segreta all’interno delle stesse forze armate, simile ai Liberi Ufficiali che guidarono il rovesciamento del regime di re Farouk in Egitto.

Al contrario, i fallimenti delle due ondate rivoluzionarie che hanno travolto la regione araba nel 2011 e nel 2019 sono principalmente dovuti all’incapacità delle rivoluzioni popolari di conquistare alla loro causa il grosso delle forze armate.

I comandi militari in Egitto, Algeria e Sudan si sono resi conto del pericolo rappresentato dalle loro basi che simpatizzavano per le massicce rivolte popolari contro governanti che avevano perso completamente la loro legittimità. Hanno quindi preso l’iniziativa di rovesciare questi governanti (Hosni Mubarak, Abdel Aziz Bouteflika e Omar al-Bashir), mentre il movimento rivoluzionario non è stato in grado di conquistare la base delle forze armate alla causa della fine del regime militare.

L’eccezione libica – unico caso in cui una rivolta popolare è riuscita a rovesciare completamente un sistema politico durante la primavera araba – è dovuta al fatto che l’intervento militare esterno ha contribuito a convincere gran parte delle forze armate regolari ad abbandonare il regime di Gheddafi e ad aderire la rivolta.

Detto tutto questo, dov’è il nostro sogno sudanese?

Il Sudan è stato finora teatro dell’esperienza rivoluzionaria più avanzata che la regione araba abbia visto dal 2010. Il movimento popolare sudanese, con la sua ala radicale capeggiata dai Comitati di resistenza, ha raggiunto un livello di mobilitazione e fermezza che supera tutto ciò che si è visto in altri Paesi. Questo è ciò che ha impedito ai militari di sbarazzarsi del movimento popolare sudanese, poiché temevano che i ranghi delle forze armate si rifiutassero di obbedire a un ordine di compiere un massacro su larga scala, l’unica via che avrebbe potuto porre fine a il movimento sudanese. Ciò perché questo movimento è caratterizzato dalla superiorità delle sue forme organizzative e dall’orizzontalità del suo processo decisionale che rende inattuabile la sua liquidazione attraverso l’oppressione ordinaria.

Ancora, nonostante il suo livello avanzato di consapevolezza e delle forme organizzative, il movimento rivoluzionario sudanese non possedeva alcun tipo di organizzazione segreta che gli avrebbe permesso di tessere una rete clandestina all’interno delle forze armate, un’impresa davvero molto difficile e pericolosa. Questa incapacità è stata compensata dalle sconfitte militari nei casi storici sopra menzionati.

Le lotte intestine tra i due pilastri dell’esercito sudanese li indeboliranno e li esauriranno? Le loro lotte interne susciteranno il risentimento dei ranghi contro l’alto comando, specialmente nell’esercito regolare, e forniranno una sponda all’esacerbazione del risentimento popolare contro il dominio militare a un livello tale da consentire al movimento rivoluzionario di condurre le masse al rovesciamento del dominio militare e alla sua sostituzione con la democrazia a cui aspirano?

Questo non è che un sogno, certo, eppure la situazione attuale è la più vicina a quella “connessione tra sogno e vita” menzionata da un filosofo radicale russo citato da un altro dei leader più in vista della rivoluzione russa nel giustificare il suo famoso detto “Dovremmo sognare!” all’inizio del ventesimo secolo.

Se dovesse realizzarsi, questo sogno sudanese potrebbe inaugurare una nuova fase nel lungo processo rivoluzionario iniziato in Tunisia più di dodici anni fa. Ma, d’altra parte, se le lotte intestine dei militari dovessero portare alla fine del movimento popolare sudanese a causa della situazione che scivola verso una guerra civile di lunga durata, o perché una delle parti in conflitto riuscisse a imporre una criminale dittatura militare su tutto il paese, assisteremo, dopo il ritorno della dittatura in Tunisia, al completamento dell’arretramento e alla fine degli ultimi successi rimasti delle due ondate rivoluzionarie che la regione araba ha vissuto finora.

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