QUELLO CHE IL MARXISMO PUO’ ANCORA INSEGNARCI

di Renaud Soler*

Maxime Rodinson. Quello che il marxismo può ancora insegnarci sulla storia dell’Islam

Maxime Rodinson è nato nel 1915. I suoi genitori erano ebrei secolarizzati dell’Europa dell’Est che erano immigrati a Parigi all’inizio del XX secolo ed erano impegnati, fin dal 1920, nel Partito comunista francese – sezione francese dell’Internazionale comunista (PCF-SFIC). È cresciuto durante gli anni ’20, animato dalla “fede rivoluzionaria” (1) all’epoca sostenuta dal progetto comunista, incarnato in Francia dalla contro-società creata dal Partito, la Confederazione generale unitaria del lavoro (CGTU) e le organizzazioni della gioventù e dell’educazione popolare. Preso il diploma, il giovane Rodinson dovette iniziare a lavorare come fattorino, ma, grazie alle biblioteche popolari del movimento operaio, poté proseguire la sua formazione intellettuale da autodidatta, arrivando, nel 1932, a iscriversi alla Scuola di lingue orientali (2), la sola istituzione che non esigeva la laurea. Sulla scia del Fronte popolare, nel 1937, entrò nel Fondo nazionale della ricerca scientifica, antenato del CNRS.

L’esperienza libanese

Mobilitato nel novembre 1939, Rodinson fu destinato nel Levante alla vigilia della sconfitta del giugno 1940. Vi passerà la guerra e durante questo periodo conobbe, a Beirut, i capi del movimento comunista siro-libanese. Sua moglie e suo figlio poterono raggiungerlo, mentre i suoi genitori, considerati ebrei stranieri dal regime di Vichy, furono consegnati ai nazisti e deportati ad Auschwitz, dove perirono nel 1943.

Al suo ritorno in Francia ottenne un posto al dipartimento delle stampe orientali (département del imprimés orientaux) della Biblioteca nazionale di Francia (BNF). L’inizio degli anni ’50 segna il culmine del suo impegno nel PCF e nei suoi organi di stampa, come la rivista Moyen Orient (Medio Oriente) (1950-51). La distanza con il partito comincia ad accrescersi a partire dalla metà degli anni ’50, sulla scia della destalinizzazione, ma soprattutto in reazione agli errori della politica coloniale del PCF. Dopo una serie di conflitti intorno a dei suoi articoli, la sua esclusione temporanea dal partito per un anno fu pronunciata nel 1958 dalla Commissione centrale di controllo politico. Nel frattempo era succeduto a Marcel Cohen alla cattedra di lingua etiope e araba del sud presso l’École pratique des hates études (EPHE). Rivesirà quest’incarico fino alla pensione nel 1983.

La scoperta della “Ideologia tedesca”

Malgrado l’esclusione dal PCF nel 1958, Maxime Rodinson non rinnegherà mai il marxismo. Adottò il materialismo e la critica delle ideologie, nel senso indicato da Karl Marx e Friedrich Engels nell’Ideologia tedesca, che costituirà il vero filo rosso del suo pensiero e della sua esistenza.

In un’intervista concessa a Gerard Khoury agli inizi degli anni 2000, Rodinson spiega la sua rottura con il comunismo istituzionale con l’idea di essere stato ingannato da un linguaggio religioso irrazionale:

Fu una croce per molti – all’inizio entrati nel partito rifiutando la religione – scoprire che eravamo entrati in una nuova religione! Avevamo fatto il salto di aderire al comunismo, in odio all’irrazionale e al mitico, e ci ritrovavamo intrappolati nel mitico e nell’irrazionale! (3)

Fin dagli anni ’30, i paragoni tra comunismo e religione erano frequenti. Durante la Guerra fredda, questi svolsero un ruolo importante quanto il concetto di totalitarismo nei dibattiti che si svilupparono nei due blocchi. Sia che si pensi alla “religione secolare” di Raymond Aron in Francia, o alle “religioni politiche” di Eric Voegelin negli Stati Uniti. L’originalità di Maxime Rodinson non risiede nel paragone tra il comunismo e la religione. Ciò che è decisivo è il sussumerli nel concetto di ideologie: Marx ha fornito a Rodinson il concetto che gli ha permesso di pensare il fondo comune del comunismo e della religione in maniera diversa da Aron e Voegelin, in questo modo sublimando il sentimento di amarezza e umiliazione per essere stato ingannato dal partito – un sentimento così potente che non cesserà mai di scrivere e riscrivere la propria autocritica di ex comunista.

L’autonomia relativa della religione

Bisogna ricordare che la Ideologia tedesca fu scritta da Marx ed Engels nel 1845-1846 e lasciata incompiuta. Apparve la prima volta a Mosca nel 1932. Solo dopo la seconda guerra mondiale gli intellettuali marxisti iniziarono a farvi riferimento in maniera regolare. Senza entrare nei tanti dibattiti suscitai dall’interpretazione di questo difficile testo, possiamo dire che Maxime Rodinson ne trasse due idee principali. La prima è l’impossibilità di fare una storia religiosa autonoma senza tenere conto delle dinamiche economiche, sociali e politiche. Nei suoi lavori degli anni ‘50 dedicati alla vita del Profeta, culminati in una celebre biografia pubblicata nel 1961 (Maometto, tradotta in una quindicina di lingue), Rodinson interpreta in questo modo l’evoluzione dell’approccio orientalista degli inizi dell’Islam:

Siamo arrivati a chiederci se la religione non fosse piuttosto la copertura ideologica, la maschera spirituale, l’immagine superficiale di necessità più profonde. (4)

Qui sarebbe molto vicino alle teorie di riflesso di certi sociologi marxisti della letteratura, se Rodinson non aggiungesse subito dopo che occorre vedere l’Islam come “una reazione religiosa ad una situazione totale”.

La seconda idea importante, come si vede, è infatti l’autonomia relativa della religione in rapporto al sociale. In altri termini, l’ideologia traduce nel linguaggio che le è proprio le contraddizioni che attraversano la società.

Nel caso dell’Islam, la rapida evoluzione economica della Mecca e dell’Hijaz alla fine del VI secolo aveva accentuato le ineguaglianze di ricchezza, status sociale e messo in stretta relazione la regione con il Medio Oriente e l’Arabia del Sud.

Questo porterà a tendenze individualistiche nella società della Mecca, a differenza dell’ideologia dominante nel nomadismo e dei suoi valori di eguaglianza, onore e generosità ostentata, la famosa mourouwwa dei poeti preislamici. Per Rodinson, che in questo caso si avvicina a Durkheim, il primo messaggio dell’Islam può interpretarsi come una nuova ideologia, che sfrutta le tendenze socio-economiche in atto per rinnovare la struttura sociale in via di disintegrazione:

Maometto sfruttò le tendenze individualistiche esistenti, ma che, fino ad allora, avevano avuto solo un ruolo distruttore delle strutture precedenti. Le sacralizzò mantenendone anche le strutture comunitarie arrivando così ad un nuovo sistema

L’Islam nasce, quindi, come soluzione possibile delle tensioni tra le strutture socio-economiche della società della Mecca che era rapidamente cambiata durante il VI secolo e la mentalità che continuava a dipendere dallo stato precedente di quella società.

La nuova ideologia risolse contemporaneamente le tensioni psicologiche (l’islam come religione per la salvezza individuale) e quelle sociali (l’islam come ideologia di uno Stato arabo).

La sinistra di fronte alla sfida della decolonizzazione

Mentre Rodinson scriveva su Maometto, il Vicino Oriente e il Maghreb viveva i grandi momenti della decolonizzazione e dell’antimperialismo. La sinistra francese dovette, quindi, confrontarsi con la sfida del nazionalismo arabo, mentre i Paesi arabi di recente indipendenza dovevano definire, dopo la fase dell’unanimismo e delle lotte indipendentistiche, delle politiche concrete di sviluppo.

Maxime Rodinson affrontò la questione nazionale (che definisce “nazionalitaria”) a due livelli. Mise innanzitutto in evidenza in diverse pubblicazioni, a partire dal 1967, il carattere coloniale dello Stato di Israele, giocando un ruolo importante, al momento della guerra del giugno 1967, nel capovolgimento di posizione della intellighenzia francese di sinistra, fino ad allora piuttosto favorevole ad Israele, a sostegno dei palestinesi.

In un libro molto importante del 1966, Islam e capitalismo, Rodinson affronta frontalmente la questione del rapporto tra religione e sviluppo economico. Rodinson dimostra che non esiste un Islam dominate e antistorico, ma degli islam molto diversi, trasformati dalle condizioni storiche in cui si sviluppano; questi islam sono delle ideologie, che sarebbe quindi metodologicamente falso e politicamente inefficace, se non addirittura pericoloso, considerare come la causa principale dei fenomeni economici. Né i generosi appelli alla carità del Corano, né il divieto dell’usura hanno impedito nell’islam lo sviluppo del capitalismo commerciale e alcune pratiche creditizie. Di conseguenza, la compatibilità tra islam e capitalismo (come quella tra islam e proprietà sociale) non deve essere valutata secondo un approccio essenzialista di questa religione, cosa che caratterizzerà prima i riformisti musulmani e poi i Fratelli musulmani, ma guardando la storia economica concreta dei Paesi dell’islam, dove necessario, quella della colonizzazione che aveva integrato de facto il mondo musulmano al capitalismo. Qualche mese prima, nell’aprile 1965, Rodinson era andato ad Algeri per presentare, in una conferenza, le sue idee sviluppate in Islam e capitalismo e avvertì i suoi interlocutori dei pericoli dell’ambiguità, nel socialismo arabo e nel Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) algerino, dei rapporti tra nazionalismo e islam. Islam e capitalismo si chiudeva con una messa in guardia:

La teorizzazione laica dei meccanismi della società è fondamentale non si può solo ricorrere ai precetti religiosi e morali anche se questi legittimano questa società.

Iran, il ruolo del clero sciita

Alla fine degli anni ’70, i Paesi dell’Islam si dovettero confrontare con il fallimento delle strategie di sviluppo messe in atto all’indomani delle indipendenze e con una re-islamizzazione progressiva delle opinioni pubbliche e delle legislazioni nazionali. Rodinson dedicò molti scritti a questi due fenomeni correlati, approfondendo l’analisi di Islam e capitalismo.

Già nel dicembre 1978 pubblicò su Le Monde una serie di tre articoli intitolati “La résurgence de l’islam” (“La rinascita dell’Islam”), in cui, con maggiore lucidità rispetto alla maggior parte degli intellettuali francesi dell’epoca, mostrava come il clero sciita stesse facendo il proprio gioco e volgesse a proprio vantaggio il corso della rivoluzione iraniana.

Rodinson cerca di precisare la natura dell’affinità tra Islam e fondamentalismo. Rileva due fattori che distinguono l’Islam e il Cristianesimo nel loro rapporto con il fondamentalismo, definito come “l’aspirazione a risolvere tutti i problemi sociali e politici per mezzo della religione e, allo stesso tempo, a ripristinare l’integrità della fede nei dogmi e nei riti”. (6)

In un articolo scientifico del 1984, intitolato “Integralismo musulmano e l’integralismo di sempre. Un tentativo di spiegazione”, esordisce distinguendo tra Gesù, che era solo un predicatore ebreo, e Maometto, che fu costretto, dalla situazione storica della penisola arabica dell’epoca, a essere anche un legislatore:

    Nell’Islam, il fattore fondamentale che favorisce il ricorso al fondamentalismo politico è la costituzione della comunità dei fedeli [umma], come risultato delle condizioni storiche della sua formazione iniziale, in una struttura politico-religiosa. (7)

Occorre fare una distinzione più chiara tra la sacralizzazione del diritto nei primi secoli dell’Islam, che ha fatto di Maometto il profeta-legislatore di cui parla Rodinson, e il senso di appartenenza alla umma, il cui potere e la cui efficacia sono stati enormemente rafforzati dalla metà del XIX secolo in poi dalla messa in rete del mondo musulmano, prima con il telegrafo, la stampa scritta e il piroscafo, e ora con il telefono, la televisione e Internet.

D’altra parte, il mondo islamico non ha subito una secolarizzazione simile a quella dell’Europa moderna, non perché l’Islam lo impedisca per natura, ma a causa del ritardo nell’industrializzazione del Terzo Mondo musulmano e della presenza di numerose minoranze non musulmane tra i musulmani, che per lungo tempo hanno contribuito a rendere l’appartenenza religiosa un attributo dell’appartenenza comunitaria. Per tutti questi motivi, le masse popolari continuano ad attribuire le disgrazie del tempo alla miscredenza o alla corruzione morale dei governanti; restano incapaci di fornire una spiegazione sistematica (ad esempio, ai rapporti di produzione o all’imperialismo) alla loro situazione. Rodinson difende quindi l’idea che il fondamentalismo islamico possa avanzare su strade diverse da quelle del fondamentalismo cattolico e di quello protestante, che pure hanno conosciuto una grande rinascita all’epoca della guerra fredda.

La responsabilità delle élite modernizzatrici

Egli ritiene inoltre che le élite modernizzatrici dei Paesi islamici, lungi dal promuovere una visione secolarizzata del mondo, abbiano invece utilizzato il moralismo pietistico che attribuivano alle masse popolari come veicolo per le loro ideologie nazionaliste o socialiste. I liberali e i socialisti arabi, screditati dal loro fallimento economico, sono rimasti vittime della loro stessa trappola e hanno aperto la strada al fondamentalismo musulmano:

    È più convincente lottare per questi ideali sotto la propria bandiera che legarsi ideologicamente a stranieri le cui motivazioni sono sospette, come propongono sia il nazionalismo marxista che il socialismo. (8)

Rodinson non prevede ulteriori successi per questi fondamentalisti, poiché la religione rimane, per lui, un’ideologia che non è sufficiente a determinare il funzionamento dell’economia o della società. I partiti islamici si troveranno quindi di fronte allo stesso dilemma dei loro predecessori: adattarsi al capitalismo globalizzato e camuffarlo con una “attitudine musulmana”, oppure scivolare verso un “fascismo arcaicizzante” che riduce la religione a un ordine morale. La prima strada è quella del Partito Democratico Turco, al potere tra il 1950 e il 1960 (oggi penseremmo al Partito per la Giustizia e lo Sviluppo [AKP] di Recep Tayyip Erdoğan); la seconda, quella dei Fratelli Musulmani (i Talebani dell’Afghanistan). Come scriveva nel febbraio 1979 su Le Nouvel Observateur, poco dopo il ritorno dell’ayatollah Khomeini in Iran:

    Le religioni non sono pericolose perché predicano la fede in Dio, ma perché non hanno altro rimedio che l’esortazione morale per i mali intrinseci della società. Quanto più credono di avere tali rimedi, tanto più sanciranno lo statu quo sociale che più spesso conviene ai loro quadri. Una volta al potere, soccomberanno alla tentazione di imporre, in nome della riforma morale, un ordine che porta lo stesso nome.

Partendo dall’ideologia in senso marxista, Maxime Rodinson arricchisce gradualmente la sua comprensione del concetto sociologico. Prendendo spunto da L’ideologia tedesca, Rodinson definisce inizialmente l’ideologia come l’insieme delle relazioni che una società ritiene di avere con il mondo dell’esperienza. Aggiunge che le ideologie sono sostenute da gruppi sociali, alcuni dei quali hanno finito per formare “partiti-chiesa universalisti”. La modernità capitalista ha gradualmente trasformato questi movimenti in partiti puramente ideologici, il cui programma ha smesso di riferirsi principalmente all’aldilà: è qui sotto che le promesse dell’invisibile devono essere realizzate. Il movimento ideologico diventa militante e adotta un programma socio-politico temporale. Tuttavia, il punto di fuga di un’ideologia universalista, la sua natura utopica, risiede nella coestensività della società e della Chiesa, in altre parole, nei suoi obiettivi totalitari. Quando l’utopia sta per realizzarsi, diventa un’ideologia (nel senso peggiorativo del termine), smettendo di essere militante, scambiando il suo programma socio-politico temporale con esortazioni morali o con un bonario idealismo. La vecchia utopia divenuta ideologia può essere a sua volta sfidata da una nuova utopia, difesa da un gruppo sociale in ascesa (intellettuali, classi sociali, credenti che prendono sul serio la loro religione). Per Rodinson, la politicizzazione dell’Islam e l’ascesa del fondamentalismo islamico sono il risultato fatale dell’assoggettamento dei Paesi musulmani alle potenze capitalistiche europee. Questo assoggettamento ostacola la secolarizzazione e favorisce la strumentalizzazione della religione da parte di élite modernizzate convinte della necessità di “parlare di religione” con le masse ignoranti, o di partiti religiosi convinti dell’efficacia della religione come leva per trasformare la società.

Spiegazioni idealistiche

In un momento in cui le spiegazioni idealistiche della storia dell’Islam – o della storia attraverso l’Islam, che equivale alla stessa cosa – stanno tornando in auge, vale la pena rileggere Rodinson. Solo la storia occidentale, più conosciuta di quella di altre parti del mondo, è riuscita a sfuggire alla schiacciante mono-causalità delle spiegazioni ideologiche. D’altra parte, non vanno trascurati i fattori religiosi e culturali, la cui importanza, nel caso dell’Islam, si spiega con il ruolo strumentale decisivo che ha avuto, a partire dal XIX secolo, non solo tra i fondamentalisti ma anche, prima ancora, tra i loro avversari liberali e socialisti. La tesi di Rodinson è che le radici dell’ideologizzazione dell’Islam siano da ricercare non tanto nell’Islam stesso – anche se non esita a sottolineare le caratteristiche specifiche dell’Islam che permettono a tale ideologizzazione di progredire – quanto nelle trasformazioni complessive dei Paesi islamici che sono strettamente integrati, e in posizione dominante, all’interno dell’economia mondiale dominata dall’Occidente.

Maxime Rodinson non ha mai rinunciato al suo razionalismo ereditato dall’Illuminismo, il che lo accomuna ad altri storici di sinistra o ex-comunisti come Pierre Vidal-Naquet (1930-2006) e Jean-Pierre Vernant (1914-2007). È stato Vernant a conferire a Rodinson, nel 1991, il premio annuale dell’Union Rationaliste, una venerabile associazione fondata nel 1930 dal fisico Paul Langevin, che un tempo era sotto il dominio del Partito Comunista e che poi è servita, negli anni Cinquanta e Sessanta, come punto di raccolta per i comunisti antistalinisti desiderosi di stabilire un dialogo tra il marxismo e le scienze sociali. Per Rodinson, l’Islam dovrebbe seguire (e seguirebbe) la strada della secolarizzazione occidentale: confinare le espressioni di fede nell’ambito privato e riservare l’arena pubblica alla deliberazione democratica basata sulla ragione secolarizzata. Le vicissitudini degli ultimi decenni hanno dimostrato che non c’era nulla di certo in questa evoluzione e che era in gioco la definizione stessa di Islam.

Il futuro rimane incerto e la secolarizzazione non è più vista come inevitabile. Per questo, come scrive il marxista libanese Gilbert Achcar, grande conoscitore dell’opera di Rodinson e suo amico personale, “la lotta contro il fondamentalismo islamico – contro le sue idee sociali, morali e politiche, e non contro i principi spirituali di base dell’Islam come religione – dovrebbe rimanere una delle priorità dei progressisti all’interno delle comunità musulmane”. Una lotta che non riguarda solo la battaglia delle idee, ma anche, su un piano di parità, la lotta contro il capitale e l’imperialismo, terreni di coltura del fondamentalismo.

* Laureato in arabo, dottorato in storia e professore associato di storia; docente di islamologia e pensiero islamico (VIII-XVIII secolo) all’Università di Strasburgo (Facoltà di Lingue, Dipartimento di Studi Arabi).
NOTE
1. Maxine Rodinson, Souvenirs d’un marginal , Fayard, Parigi, 2005, p. 204
2. Antenato dell’Istituto nazionale di lingue e civiltà orientali (INALCO). NDOXXI
3. Maxime Rodinson, Entre Islam et Occident. Entretiens avec Gérard D. Khoury, Les belles lettres, Paris, 1988, p. 274
4. Maxime Rodinson, «La vie de Mahomet et le problème sociologique des origines de l’Islam», Diogène, Presses universitaires de France (PUF), Parigi, no. 20, 1957; p. 41.
5. Ibidem
6. Maxime Rodinson, “La rinascita dell’islam. Dove Dio non è morto “, Le Monde, 6 dicembre 1978..
7. “Integralismo musulmano e l’integralismo di sempre”, in L’Islam politque et croyance , Fayard, Parigi, 1993, p. 24493 ; p. 244.
8. « La résurgence de l’islam », op. cit.
9. Khomeini e il “primato dello spirito”, in Le nouvel observateur, 19 febbraio 1979
10.  Gilbert Achcar, Marxisme, orientalisme, cosmopolitisme, Actes Sud, coll. «
Sindbad», Arles,2015; p.45

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