IL FN E L’ASCESA DELLE DESTRE IN EUROPA

di Michel Löwy, Francis Sitel

Come interpretare la (resistibile) ascesa del Front National [Fronte Nazionale – Fn] e dell’estrema destra in Europa? Di fronte a quale tipo di forze ci troviamo? Come affrontare politicamente, non su un piano semplicemente morale, lo specifico pericolo che rappresentano? Michel Löwy e Francis Sitel cercano di rispondere a questi interrogativi con il presente testo, inizialmente pubblicato in inglese, nel 2015, in Socialist Register (a cura di Leo Panitch, Greg Albo, The Martin Press Ltd, Londra) con il titolo: “The far Right in France: The Front National in European Perspective”).

Il contesto europeo

Le elezioni europee in Francia hanno confermato da vari anni una tendenza evidente: l’aumento dell’attenzione per il FN. Non si tratta di una specificità francese: in gran parte del continente europeo si assiste alla spettacolare crescita dell’estrema destra. Un fenomeno senza precedenti dopo gli anni Trenta del secolo scorso. In molti paesi la destra xenofoba ha già ottenuto nell’ultimo decennio tra il 10% e il 20% dei suffragi. Nel 2014, in tre paesi (Francia, Gran Bretagna, Danimarca) ha raggiunto dal 25% al 30% dei voti. La sua influenza, inoltre, va al di là del suo elettorato vero e proprio: le sue idee contaminano la destra “classica” e anche parte della sinistra social-liberista. Il caso francese è quello più preoccupante, con una avanzata che va oltre le più pessimistiche previsioni. Come scriveva il sito Mediapart in un suo recente editoriale: «Mancano cinque minuti alla mezzanotte».

È una situazione paragonabile a quella dell’Europa degli anni Trenta? Sì e no. È la prima volta da quel periodo che l’estrema destra raggiunge questo livello di influenza nella politica europea. Però la storia non si ripete mai. Varie differenze distinguono dal passato la congiuntura presente.

La più evidente è che, a partire dal 1933, due dei principali paesi europei, l’Italia e la Germania, erano sotto un regime fascista totalitario. Per fortuna, oggi non c’è niente di simile! Un’altra importante differenza è che gli attuali interessi della borghesia sono massicciamente legati alla globalizzazione neoliberista e ostili al nazionalismo economico che era alla base del progetto fascista o semi-fascista.

Per altro verso, la sinistra antifascista – sia nella sua versione più radicale, quella dei marxisti e degli anarchici, sia in quelle più moderate, parlamentari, inserite nel Fronte popolare – era molto più forte negli anni Trenta di quanto non sia oggi. Un’ulteriore differenza è che, paradossalmente, la maggior parte dei movimenti fascisti degli anni Trenta, diversamente da oggi, con la rilevante eccezione della Germania (e, in minor misura, della Francia), non erano esplicitamente razzisti. Questo vale, perlomeno fino al 1938, per i movimenti diretti da Mussolini, Franco e Salazar, in Italia, Spagna e Portogallo.

L’attuale estrema destra europea è molto diversa, uno spettro che va da partiti apertamente neo-nazisti, come Alba dorata in Grecia, fino a forze borghesi perfettamente inserite nel gioco politico istituzionale, ad esempio il partito svizzero UDC [Unità democratica di centro]. Queste forze hanno in comune il loro nazionalismo sciovinista – e quindi l’opposizione alla globalizzazione «cosmopolita» e a qualsiasi forma di unificazione europea – la xenofobia, il razzismo, l’odio per gli immigrati e per i rom (uno dei più antichi popoli del continente), l’islamofobia e l’anticomunismo.

Inoltre la maggior parte di esse, non tutte, rivendicano misure autoritarie contro l’“insicurezza” (di solito associata agli immigrati), in termini di aumento della repressione poliziesca e degli arresti, nonché della reintroduzione della pena di morte. Un simile orientamento nazionalista reazionario si accompagna sovente a una retorica “sociale”, in sostegno alla “gente semplice” e alla classe operaia nazionale (bianca). Su altri temi – quali il neoliberismo, la democrazia parlamentare, l’omofobia, la misoginia o il laicismo – questi movimenti sono abbastanza divisi.

Molti esperti e alcuni commentatori mediatici spiegano come il fascismo e l’antifascismo siano cose appartenenti al passato. La realtà ci sembra più complessa. Certo, oggi non si vedono partiti fascisti di massa paragonabili al NSDAP [Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei – (Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori)] nella Germania degli anni Trenta. Allora però il fascismo non si limitava a questo solo modello; il franchismo spagnolo e il salazarismo portoghese erano assai diversi dai modelli italiano e tedesco.

Anche partiti che si sforzavano di imitare il modello tedesco, ad esempio in Francia il Parti populaire français (PPF) [Partito popolare francese] fondato da Jacques Doriot nel 1936 – un’organizzazione chiaramente fascista, diventata un delle principali forze collaborazioniste sotto il regime di Vichy – difficilmente si possono paragonare al NSDAP tedesco. Sarebbe tuttavia sbagliato sostenere che non ci siano partiti fascisti attualmente in Europa partendo dall’argomento che non c’è l’equivalente del nazionalsocialismo degli anni Trenta.

Un tentativo di classificazione dell’attuale estrema destra europea dovrebbe distinguere perlomeno tre tipi diversi:

1. Partiti di natura apertamente fascista o neonazista: ad esempio, in Grecia Alba dorata, il Jobbik ungherese [Jobbik Magyarországért Mozgalom (Movimento per un’Ungheria migliore)], l’ucraino Settore destra, il Partito nazionaldemocratico in Germania, nonché vari altri partiti di minore forza e con debole influenza. Si potrebbe anche includere in questa categoria la recente ed atipica creazione francese, nazionalsocialista e antisemita, Réconciliation national (Alain Soral).

2. Partiti semi-fascisti, vale a dire partiti con radici fasciste e che includono varie componenti fasciste, ma che non sono identificabili con il modello fascista classico. È il caso, fra altri e in forme differenti, del FN in Francia, in Austria del FPÖ [Freiheitliche Partei Österreichs (Partito della libertà austriaco)], in Belgio del Vlaams Belang [Interesse fiammingo]. I rispettivi fondatori hanno legami con il fascismo storico e vari loro quadri non nascondono la propria nostalgia del passato fascista. Ma i loro attuali dirigenti cercano di “ammodernarli” e si danno da fare per presentarne un’immagine più “rispettabile”, sostituendo ad esempio all’antisemitismo l’islamofobia. Per vari motivi, su cui ritorneremo, il concetto di “populismo” ci sembra del tutto inadeguato per definire tali partiti.

3. Partiti di estrema destra che, pur senza origini fasciste, condividono il razzismo, la xenofobia, la retorica anti-immigrati e l’islamofobia. Ad esempio: in Italia la Lega Nord, in Svizzera l’UDC [SVP – Schweizerische Volkspartei (in italiano: Unione democratica di centro], l’UKIP [UK Independence Party (Partito per l’indipendenza del Regno Unito] in Gran Bretagna, il Dutch Freedom Party [Partito olandese per la libertà], il Partito progressista norvegese [Fremskrittspartiet (FrP) ], il partito dei Veri Finlandesi [Perussuomalaiset], il Partito del popolo danese [Dansk Folkeparti (DF)]. Il Partito Svedese dei Democratici [Sverigedemokraterna, SD] rappresenta una via di mezzo, con radici chiaramente fasciste (quando non neonaziste), ma molto impegnato a presentare un’immagine di sé più “moderata”.

Come accade per qualsiasi tipologizzazione, la realtà è più complicata, e alcune di queste formazioni politiche sembrano appartenere a tipi differenti. Bisogna inoltre tenere conto che si tratta di strutture non statiche, ma in continuo movimento. Alcuni di questi partiti sembrano suscettibili di passare da un tipo all’ altro. Finora c’è solo un esempio in Europa di un partito fascista che si trasformi in un partito di destra “normale”: l’Alleanza nazionale di Fini in Italia. Non si può escludere la possibilità che altri partiti analoghi seguano la stessa strada, ma per ora non vi sono segnali di un andamento del genere.

Mentre le ideologie dei partiti di estrema destra presentano grandi analogie, le loro pratiche politiche non sono omogenee Laddove alcuni, come il FN francese si presentano in veste “anti-sistema” e restano, per ora, al di fuori delle istituzioni del potere, altri, quali l’austriaco Partito della libertà e l’italiana Lega Nord hanno in anni recenti partecipato a un governo. I partiti di estrema destra danese e olandese appoggiano i rispettivi governi senza farne parte, mentre l’UDC svizzero e il Partito progressista norvegese sono parte integrante di coalizioni governative.

I partiti di estrema destra dell’Est europeo (nelle ex “democrazie popolari”), come il Jobbik ungherese, il Partito della Grande Romania e Attack in Bulgaria, al pari degli analoghi partiti delle Repubbliche del Baltico, in Ucraina e nell’ex Jugoslavia, presentano caratteristiche comuni, che differiscono – in gradi diversi – dai loro equivalenti dell’Ovest: a) lo spauracchio non sono tanto gli immigrati stranieri quanto invece le minoranze nazionali tradizionali: ebrei e rom; b) legate direttamente a questi partiti o da essi tollerate, squadracce violentemente razziste aggrediscono, e spesso uccidono, rom; c ) rabbiosamente anticomunisti, si considerano gli eredi dei movimenti nazionalisti e/o fascisti degli anni Trenta, che hanno spesso collaborato con il Terzo Reich. Il disastroso fallimento della cosiddetta “transizione” (al capitalismo), sotto la guida di partiti liberisti e/o socialdemocratici, ha creato le condizioni favorevoli per l’ascesa di tendenze di estrema destra.[1]

Indipendentemente dalla sue “trasformazioni” o “modernizzazioni”, l’estrema destra rappresenta pur sempre una delle minacce per la democrazia. Tra gli argomenti cui si ricorre per dimostrare che è cambiata e che non ha più nulla a che vedere con quel che è stato il fascismo, c’è l’accettazione della democrazia parlamentare e della via elettorale al potere. Va bene, ma va ricordato che a un certo punto Adolf Hitler fu eletto alla Cancelleria tedesca per via legale, con il voto del Reichstag (il parlamento tedesco), e che il maresciallo Pétain fu eletto Capo di Stato dal parlamento francese. Se il FN arriva al potere per vie elettorali – ipotesi che purtroppo non possiamo scartare – che cosa rimarrebbe in Francia della democrazia?

Come spiegare il successo crescente dell’estrema destra? Il primo elemento di spiegazione è il processo di globalizzazione neoliberista del capitalismo – che è anche un poderoso processo di omogeneizzazione forzata – il quale produce e riproduce, su scala europea e planetaria, panici identitari, la ricerca ossessiva di fonti e radici, provocando manifestazioni religiose di sciovinismo, e forme religiose di nazionalismo, alimentate da conflitti etnici e confessionali.[2]

Direttamente connesso a questo processo di egemonia mondiale del capitale finanziario, gioca un altro importante fattore: la crisi economica che ha colpito l’Europa a partire dal 2008. Tranne la Grecia e la Spagna, quasi ovunque essa ha maggiormente favorito l’estrema destra anziché la sinistra radicale. Qui sta la differenza fra la situazione europea degli anni Trenta, dove in molti paesi la sinistra antifascista progrediva parallelamente al fascismo, anche se le tendenze di estrema destra hanno senza alcun dubbio approfittato della crisi, soprattutto in Francia. Ma questo dato non spiega tutto: in Spagna e in Portogallo, due dei paesi più duramente colpiti dalla crisi, l’estrema destra resta marginale. In Grecia, malgrado Alba dorata abbia conosciuto una crescita esponenziale, essa ha minore influenza di Syriza, la coalizione della sinistra radicale. In Svizzera e in Austria, due paesi fortemente risparmiati dalla crisi, l’estrema destra razzista ottiene spesso un sostegno superiore al 20%: Un dato reale, che dovrebbe portare a escludere le spiegazioni solamente economiche spesso avanzate dalla sinistra.

Hanno sicuramente avuto un ruolo i fattori storici: una lunga tradizione antisemita diffusa in alcuni paesi; la persistenza di certe correnti collaborazioniste della seconda Guerra mondiale; la cultura colonialista, che continua a impregnare a lungo atteggiamenti e comportamenti dopo la decolonizzazione – non solo nelle potenze imperialiste, ma in quasi tutti i paesi europei. Tutti questi fattori operano in Francia e consentono di spiegare la forza del partito di Le Pen, anche se sono meno pertinenti quando si tratta di paesi senza passato coloniale o fascista, come la Svizzera.

La congiuntura internazionale, specie quella del Medio Oriente, favorisce anch’essa questi sviluppi. La politica coloniale ed espansionistica del governo israeliano alimenta l’antisemitismo (soprattutto fra i giovani musulmani), che si fatica a distinguere dall’“antisionismo”, mentre il terrore di Daesh e di altri crimini jihadisti alimenta l’islamofobia, nel nome presunto della “laicità”. Naturalmente, non è a causa di Netanyahu o di Ben Laden che in Europa si sviluppano razzismo e xenofobia, ma i drammatici avvenimenti del Medio Oriente vengono abilmente manipolati dall’estrema destra per portare avanti con successo i propri temi. Allo stesso modo giocano evidentemente gli attacchi terroristici – quali l’assassinio della redazione del giornale satirico Charlie Hebdo – che vengono utilizzati come munizioni dalla destra razzista per promuovere la tesi della «guerra di civiltà» da condurre contro i cittadini europei musulmani.

La sinistra nel suo complesso, tranne poche eccezioni, ha gravemente sottovalutato il pericolo. Non si è accorta dell’arrivo della valanga nera, né ha ritenuto necessario prendere l’iniziativa di una mobilitazione antifascista. Per alcune tendenze della sinistra, che consideravano l’estrema destra solo un effetto indotto dalla crisi e dalla disoccupazione, sono queste le cause che si dovrebbero combattere, non il fenomeno fascista come tale. Un ragionamento tipicamente economicistico, che ha disarmato la sinistra di fronte all’offensiva ideologica razzista, xenofoba e nazionalista dell’estrema destra.

Nessun gruppo sociale è immune dalla peste nera. Le idee dell’estrema destra, soprattutto il razzismo, hanno contaminato una parte significativa non solo della piccola borghesia e dei disoccupati, ma anche della classe operaia e dei giovani. Questo colpisce in modo particolare nel caso francese. Queste idee non hanno rapporti con la realtà dell’immigrazione: il voto per il FN, ad esempio, è particolarmente alto in certe zone rurali, dove non si è mai visto un solo immigrato. Quanto ai rom – che sono stati vittime di recente di un’impressionante campagna razzista isterica, con la partecipazione attiva dell’allora ministro dell’Interno, il “socialista” Manuel Valls – il loro numero non va oltre le 20.000 persone in tutta la Francia.

Le analisi “classiche” del fascismo da parte della sinistra lo vedono come lo strumento del grande capitale per schiacciare la rivoluzione e il movimento operaio. Sulla base di tali premesse, alcuni a sinistra sostengono che l’attuale movimento operaio è così indebolito e la minaccia rivoluzionaria così evanescente che il grande capitale non ha alcun interesse a sostenere i movimenti di estrema destra, e che è quindi inesistente il pericolo dell’offensiva nera. Ancora una volta, questo dipende dalla lettura economicista che non tiene conto dell’autonomia di un fenomeno politico del genere. Gli elettori possono infatti scegliere un partito che non ha il sostegno della grande borghesia. Soprattutto, un argomento così strettamente economico sembrerebbe ignorare il fatto che il grande capitale può anche adattarsi senza troppe preoccupazioni a qualsiasi tipo di regime politico.

Non esiste la ricetta magica che permetta di combattere l’estrema destra. Dobbiamo ispirarci – con l’adeguata distanza critica – alle tradizioni antifasciste del passato, ma dobbiamo anche sapere innovare in modo tale da rispondere alle nuove manifestazioni del fenomeno. Dobbiamo saper combinare le iniziative alla base con movimenti socio-politici e culturali fortemente organizzati e strutturati unitariamente, sia al livello nazionale sia a quello continentale.

Talvolta è possibile ricollegarsi allo spirito “repubblicano”; ma un movimento antifascista organizzato potrà essere efficace e credibile solo se diretto da forze estranee al consenso neoliberista dominante. Ciò significa una lotta che non può limitarsi ai confini di un solo paese, ma che si deve organizzare a livello dell’intera Europa. La lotta contro il razzismo, come la solidarietà con le sue vittime, è una delle componenti principali di questa resistenza. Non è ancora troppo tardi per bloccare la «resistibile ascesa di Arturo Ui» (per riprendere la famosa opera antifascista di Bertolt Brecht).

Il FN: quali sfide per la sinistra e per la Francia?

Che ne è del FN? Si impone elettoralmente come uno dei principali partiti politici francesi, al punto di poter rivendicare, dopo le lezioni europee del 2014, la qualifica di «primo partito di Francia». Gli si riconosce di avere infranto il funzionamento bipartitico della V Repubblica e imposto il tripartitismo PS-UMP-FN…

Al di là di questo, si pone il problema di sapere se questa realtà elettorale sia o no in sintonia con quella che ora è la l’effettiva forza militante del FN, in funzione di un profondo radicamento nella società che ne renderebbe possibile l’avvento al potere. La situazione è in certo senso l’inverso di quella delle estreme destre francesi degli anni Trenta. Niente riusciva allora a negare alle Leghe le loro capacità di mobilitazione ideologica e sociale; ma queste non erano in grado, tranne nell’improbabile ipotesi di un colpo di Stato antirepubblicano, di consentirgli di governare. Se le discordanze nella caratterizzazione della natura del FN sono vecchie e molteplici, esse si sono rafforzate dopo il passaggio di testimone fra Le Pen padre e la figlia Marine Le Pen. L’obiettivo di quest’ultima è quello di eliminare la «demonizzazione» del FN, il che la spinge a operare ritocchi ideologici, a ricusare la qualifica di estrema destra (o a querelare chi la utilizza), e a promuovere il marchio “Rassemblement Bleu Marine” [Raggruppamento Blu Mare – coalizione di partiti e formazioni di destra], preferibilmente rispetto a quello FN.

È importante prestare attenzione agli elementi di continuità e ai cambiamenti che segnano la traiettoria del FN, non perdersi nei meandri di una storia che porta dal passato solforoso del padre alla rivendicazione di “modernità” della figlia, senza ignorare il legame dei due con le varie reti e i vari gruppi dell’ultra destra.[3]

Conviene perciò non fare concessioni alle problematiche che marcano le analisi in funzione di obiettivi politici più o meno presupposti. La storia dovrebbe avere insegnato a tutti che, come con il fuoco, con l’estrema destra non si può giocare.

Il FN, una forza radicata storicamente

A sinistra si è teso effettivamente a sottovalutare, se non a disprezzare, quale sia la forza della destra estremista e a ritenere che l’antifascismo dominante nella seconda metà del XX secolo l’avrebbe definitivamente screditata. Donde un certo stupore quando, nel corso del 2014, si è vista la piazza invasa da centinaia di migliaia di manifestanti che si opponevano al “matrimonio per tutti”, e si è addirittura organizzata “una giornata della collera” durante la quale si sono liberamente lanciati slogan razzisti e antisemiti. Quanto ai ripetuti successi elettorali del FN, essi sconcertano gli analisti, e le capacità di reazione risultano paralizzate dalla sensazione che qualsiasi cosa si dica o si faccia non se ne possa bloccare l’avanzata.

Questo valga da severo richiamo di come l’estrema destra sia una realtà certo complessa e mutevole, ma fortemente radicata nella società francese. A lungo screditata dalla collaborazione con l’occupante nazista, non è riuscita a svolgere nei successivi decenni la funzione che aveva negli anni Trenta. Ma ha continuato ad esistere, e le guerre coloniali – in particolare quella d’Algeria – hanno alimentato un fortissimo razzismo anti-arabo e seminato fermenti di guerra civile, in seguito alla violenta lotta dell’OAS [Organisation de l’armée secrète (Organizzazione militare segreta)] per l’ «Algeria francese». Quel tragico periodo – contrassegnato dal rientro forzoso dall’Algeria di centinaia di migliaia di Pieds noirs [“Piedi neri”, il nome dato ai figli di genitori francesi nati nell’Africa settentrionale, soprattutto in Algeria], dall’abbandono degli harkis [termine generico che indica un musulmano algerino lealista che ha servito come ausiliario dell’esercito francese nella guerra d’Algeria tra il 1954 ed il 1962], dalle condizioni che si sarebbero imposte ai figli nati da genitori algerini, ecc. – è stato chiuso da de Gaulle con la scelta di un’Algeria indipendente e l’inserimento della Francia nell’intenso sviluppo della moderna economia capitalista. Ma la coscienza collettiva è segnata da quel passato doloroso, pieno di repressioni e non-detti, e dalle ripercussioni di una lunga storia coloniale che alimentano frustrazioni e risentimenti.

Tutto questo si ravviva nel momento in cui la crisi economica aggrava la persistenza di una massiccia disoccupazione, approfondisce le disuguaglianze sociali e alimenta le angosce collettive. Diversamente dai periodi precedenti, il futuro sembra senza sbocco. L’ideologia del “declino” alimenta la nostalgia di un passato glorioso, ampiamente mitizzato e comunque totalmente estraneo al mondo contemporaneo. Tuttavia, l’eco che trova attesta che esiste un terreno fertile per le politiche reazionarie, o per avventure politiche che sfuggono al controllo della ragione democratica.

Il FN si è affermato e costruito su questo terreno di fondo. Da questo punto di vista, il personaggio Jean-Marie Le Pen appare come altamente simbolico: ufficiale paracadutista in Algeria, accusato di avervi praticato la tortura; deputato pujadista (movimento di rivolta di piccoli commercianti e artigiani di fronte allo sviluppo capitalistico che li condannava a scomparire); anti-gaullista e incline a propositi razzisti e antisemiti; che è riuscito ad accaparrarsi un rilevante patrimonio; e, che ostenta al contempo una vena grossolanamente demagogica…. Resta il fatto che, lungi dal rinchiudersi nei vecchi luoghi comuni e nella ripetizione degli schemi del passato, il FN è riuscito ad adattarsi al mondo in piena trasformazione e a infilarsi nel solco dei cambiamenti provocati dal neoliberismo, dalla mondializzazione capitalistica e dall’Unione europea, per apparire come il contestatore di tutto questo. Così, senza separarsi dal proprio passato, né venir fuori dalla nebulosa delle molteplici reti e dei tanti gruppi di estrema destra più o meno fascisteggianti, è riuscito a far credere di essere il latore di un’offerta politica nuova.

La direzione del FN dedica molti sforzi per convincere che questo partito ha rotto con certi eccessi del suo passato, che è oggi un’organizzazione “rispettabile” di fronte alle esigenze di una vita politica democratica e incivilita. Questo non toglie che la documentazione relativa ai suoi legami con cerchie e individui che recano chiaramente il marchio del fascismo risulta regolarmente incrementata.[4]

L’insediamento del FN nella realtà politica francese, a un elevato livello elettorale e circondato da una forte aura mediatica, significa che è riuscito a presentarsi come portatore della protesta di fronte ai guasti dell’ultraliberismo e della crisi democratica generata da quest’ultimo; quindi, in grado di captare una concreta dinamica elettorale e politica.

Due punti di cristallizzazione della dinamica politica del FN

La globalizzazione dell’economia capitalistica e l’unificazione europea avvengono sotto il condizionamento del neoliberismo e per questo i due fenomeni si possono confondere nella percezione. Una consapevolezza collettiva, consolidata dai discorsi governativi che giustificano sistematicamente i sacrifici e gli arretramenti inflitti ai lavoratori e alle popolazioni con le richieste che verrebbero imposte dalla burocrazia di Bruxelles, a propria volta al servizio dagli imperativi della concorrenza capitalistica mondiale. È allora inevitabile che di conseguenza si amplifichino opposizioni contrassegnate da risentimenti nazionalistici. Tanto più che la destra di Sarkozy ha coltivato il discorso sull’identità francese che sarebbe minacciata, senza ovviamente definire la suddetta “identità francese”, né precisare la natura dei pericoli che dovrebbero minacciarla.

Dato che il movimento operaio è indebolito e si trova in difficoltà quando si tratta di convincere che ci sono risposte anticapitaliste alla situazione, il FN appare il solo a fornire una traduzione politica a tali reazioni. E questo gli permette di capitalizzare elettoralmente la sua forte ascesa.

Un secondo fattore si combina con il precedente: queste politiche che articolano ultraliberismo, mondializzazione e unificazione europea, in seno all’Unione Europea vengono poste in atto, alternativamente oppure insieme, dai partiti pilastri della politica istituzionale: la socialdemocrazia e la destra conservatrice. Una situazione aggravata dalla crisi capitalista, cui le classi dirigenti rispondono accentuando la logica ultraliberista imperniata su politiche di austerità, con l’imposizione di «riforme strutturali» per calpestare le conquiste sociali e che comportano sostanziali arretramenti sociali e democratici. In Francia, dopo la vittoria di François Hollande nel 2012, il Partito socialista appariva orientato in stretta continuità con il sarkozysmo e con una politica che non si può non definire di destra.

Come stupirsi allora che acquisti credito l’idea che vi sia un «ceto politico» che ha il predominio sull’economia, la politica e i mezzi di comunicazione di massa, più attaccato ai propri privilegi che non agli interessi del paese, che se ne infischia bellamente della distinzione destra/sinistra e, con l’alibi di varie realtà presentate come estranee, imponga al popolo il peso di un sistema opprimente e distruttivo.

Il FN è riuscito a fornire una presa al risentimento popolare designando se stesso come il nemico dell’“UMPS” [l’Unione per un movimento popolare (UMP) e Partito socialista (PS) insieme], vale a dire la fusione in una stessa realtà della destra e della sinistra, entrambe al servizio di una politica antipopolare e antifrancese. In breve: il sistema!

Poco importa sicuramente agli elettori e simpatizzanti del FN che regni la massima vaghezza su quale potrebbe essere la politica di questo partito una volta che accedesse al governo. Significativo, da questo punto di vista, che nei sondaggi d’opinione l’uscita dall’euro, la misura faro del programma del FN, non raccolga il consenso maggioritario di coloro che si dichiarano politicamente vicini a lui. Più a fondo, ci si può chiedere che cosa potrebbe essere la presunta «politica sociale» del FN, un volta superato lo stadio delle promesse che non costano niente e di una retorica priva di contenuto.

In realtà, il movimento d’opinione a favore del FN traduce il rifiuto, se non il disgusto, nei confronti dei partiti che appaiono responsabili di tutto ciò che non va, ed esprime la voglia di punire politici e cerchie di potere la cui arroganza è pari alla loro impotenza nel cambiare la situazione. Per farla breve: la scheda elettorale come arma per scuotere il sistema! Tanto che le recenti elezioni hanno eretto il FN al rango di potenziale «partito di governo». Una nuovo dato sufficiente a scuotere la cosiddetta “casta” politica. La concretizzazione della possibilità di un governo FN susciterebbe di certo nuove reazioni e accelererebbe il fenomeno di adesioni di altra natura, ma per il momento gli/le elettori/elettrici frontisti/e si accontenterebbero di vedere insediarsi questa paura, ritenendo che, per quanto riguarda la conseguenze, si vedrà poi…

Il FN e il sistema

Ormai «partito di governo», ma ancora lontano dall’essere al governo, il FN però avanza, nell’intervallo tra le due cose che autorizza confusioni e solleva questioni spinose.

Di fronte ai cosiddetti partiti del sistema, il FN si richiama al popolo. Un popolo di cui punteggia i contorni in modo sempre più o meno allusivo, e soprattutto in negativo: un popolo da cui si scartano i «non nazionali»! Ancora ieri, si trattava in maniera molto esplicita degli immigrati, eventualmente presentati come clandestini. Chiunque poteva decodificare che si prendevano di mira gli immigrati magrebini, in particolare algerini, o i loro figli (di nazionalità francese o con doppia nazionalità). Il FN allora avanzava la “preferenza nazionale”, alla quale si poteva rispondere con lo slogan: «prima, seconda, terza generazione, siamo tutti figli di immigrati». Oggi il FN evoca la «priorità nazionale», stigmatizzando e additando i musulmani come potenziali islamisti che lavorano per «islamizzare la Francia» (tema sviluppato da diversi partiti di estrema destra in parecchi paesi europei), o sono inclini a cedere al terrorismo… Ma si prendono di mira anche i rom, e ancora la categoria indefinibile dei migranti che bussano alla porta dell’Europa, i quali si vedono accusati di volere approfittare di un sistema sociale che mettono in pericolo e di pervertire l’identità nazionale.

Temi tutti messi insieme senza risparmio di amalgami e confusioni, cercando di sventare l’accusa di razzismo esplicito, pur riprendendo temi islamofobi visibilmente correnti in Europa e paganti dal punto di vista elettorale, trovando eco in una società minata dalla crisi e in perdita di punti di riferimento.

Tanto più che intorno al FN gravitano gruppi dichiaratamente fascisteggianti, di tipo “identitario”, che non essendo sottoposti agli imperativi di “rispettabilità” del FN possono dare libero sfogo al loro sfrenato antisemitismo (l’armamentario del gruppo Dieudonné-Soral), cercando di trovare l’ascolto di giovani scarsamente sensibili alla differenza tra la denuncia del potere israeliano e l’antisemitismo, o di altri con l’ostentazione del proprio razzismo anti-arabi o anti-neri.

Il FN riesce a captare queste brutte passioni politiche, senza preoccuparsi della coerenza per quanto riguarda le sue reali posizioni di fondo. Ultraliberista ieri, caldeggia oggi un politica statalista e “sociale”. Il patriarca Le Pen ama sempre flirtare con un antisemitismo che sua figlia pretende di rifiutare. Entrambi coltivano i propri inconfessabili legami con Putin o con Bachar al-Assad. “Femminista” e “laica” quando serve denunciare la minaccia islamica, gay friendly se si rivolge a questo elettorato, mentre tanti quadri e dirigenti del FN manifestano sessismo, omofobia e familiarità con gli ambienti cattolici integralisti…

Il FN dimostra quindi una grande plasticità ideologica, che rende difficile una precisa caratterizzazione della sua natura. Da parte sua, rifiuta tutte le etichettature utilizzate nei suoi confronti e si pretende “nazionale”, “né di destra né di sinistra”. Tuttavia, politologi e avversari politici hanno anch’essi difficoltà al riguardo.

Il FN alle soglie del potere?

La situazione attuale del FN è quella per cui sta approfittando appieno della crisi politica che i suoi stessi successi elettorali aggravano qualitativamente: a tal punto che oggi è in grado di destabilizzare il sistema istituzionale della V Repubblica.

All’inverso di un PS che si devitalizza per il suo crescente distacco dalle classi popolari, il FN ha fidelizzato il proprio elettorato popolare, come attestano tutte le tornate elettorali degli ultimi anni. Le recenti elezioni parziali hanno mostrato come soffrisse dell’astensione meno degli altri partiti, e che importanti settori delle classi popolari – che votavano tradizionalmente a destra, ma anche a volte il PS- votano ormai FN al secondo turno, o fin dal primo. Tutti elementi che fanno sì che sul piano elettorale il FN sia in diritto di rivendicare per sé il ruolo di partito che ottiene la maggior parte dei voti della categoria operai/impiegati, Non esita a compiere il passo di dichiararsi «il primo partito operaio di Francia»! Senza subire l’inganno di un simile slogan, vale la pena di misurare lo sviluppo dell’ascolto del FN tra le categorie popolari e tra i giovani, come hanno dimostrato le inchieste successive alle ultime elezioni europee.[5]

Sull’altro lato della scacchiera, il FN minaccia di fare esplodere l’UMP. In effetti inasprisce infatti una contraddizione insormontabile – come ha evidenziato l’elezione parziale del Doubs [Dipartimento della Regione Borgogna-Franca Contea] – tra due imperativi: da un lato, quello di non allearsi con il FN, pena tagliarsi fuori dall’elettorato centrista senza il quale non può avere la maggioranza che dà diritto all’elezione presidenziale; dall’altro lato, non privarsi di un elettorato frontista, senza il quale spesso non ha più la maggioranza che dà il diritto a qualsiasi elezione (cosa che de facto porta spesso ad accordi con il FN). Così, attualmente, il FN è in grado di spaventare il sistema della V Repubblica impedendo il funzionamento del sistema bipartitico PS/UMP e minacciando di volgere a proprio favore la norma dello scrutinio maggioritario a due turni che finora lo tagliava fuori completamente.

Naturalmente, il FN non è privo di debolezze. Oltre al culto del (della) capo, le divisioni appaiono reali e destinate ad accrescersi via via che avanza sulla strada del potere. I municipi conquistati sono altrettante vetrine per quella che è la sua politica concreta al di là dei discorsi.

In effetti, il FN è forte delle debolezze dei suoi concorrenti e avversari. Più il PS e l’UMP si trovano, per ragioni diverse, di fronte a crescenti difficoltà, più acquista forza il FN. Una situazione che pone problemi nuovi alle organizzazioni antifasciste e antirazziste, che si trovano a dover affrontare sfide inedite.

Il FN non è certo alla soglia del potere, una soglia che richiederebbe soltanto una leggera spinta per cedere. Appare comunque incontestabile che è saldamente insediato al centro del campo politico.

Pericolo imminente: come muoversi?

La gravità della minaccia costituita oggi dal FN è pari alla difficoltà che incontrano le sue opposizioni nel coglierne esattamente la natura.

Di qui l’«inquietante stranezza» segnalata da Luc Boltanski e Arnaud Esquerre: «Tutto è infatti come se ognuno intuisse bene cosa sta succedendo, ma alla maniera di un’inquietante stranezza, come dopo un brutto sogno, un malessere che il ritorno alle attività abituali sarebbe sufficiente a dissipare».[6]

Una situazione rischiosa, se dovesse durare a lungo. Tanto più che il FN, oltre alla crescita del voto a suo favore, si consente il lusso di intrattenere ai suoi margini una destra più estrema (gli agitati della “giornata della collera” e il movimento degli Identitari, soliti al ricorso alla violenza…).

Di fronte alla marea elettorale che non si sa come arginare, e neppure realmente come spiegare, compaiono i segnali di una deriva panica nel complesso del mondo politico: slittamenti a destra di alcuni settori della destra, o della sinistra governativa, convinti di arginare la spinta assecondandola. E, all’interno delle forze che si richiamano alla lotta antifascista, divisioni che a volte sembrano fuori controllo…[7] Insomma, una sorta di “si salvi chi può”, tendente a precipitare la sconfitta che si vorrebbe impedire. Questo stato di confusione dipende, per l’UMP, dalla radicalizzazione destrorsa di una parte rilevante del partito; a sinistra, dall’incapacità – e dalla rinuncia – di proporre una politica che risponda agli interessi delle classi popolari, in termini di soluzione dei problemi sociali e progressi democratici. E anche dallo smarrimento ideologico che mina l’insieme del campo politico.

Una serie di commentatori politici arrivano a convalidare il termine di «spirito diabolico» per spiegare che cosa costituirebbe il grande successo di Marine Le Pen una volta impugnate le redini del FN. Il termine, molto presente nelle analisi sviluppate da Pierre-André Taguieff,[8] è tutto tranne che innocente. Non si tratta solo di prendere atto che la denuncia del FN ha trovato i limiti della propria efficacia, ma di instillare l’idea che dipenda da una politica errata: l’incapacità di arginare l’ascesa del voto FN deriverebbe dall’irresponsabilità degli oppositori! Un simile lavoro di interiorizzazione del problema posto, se non di colpevolizzazione delle forze progressiste, si accompagna allo sviluppo di tesi che fanno discutere.

In primo luogo, soprattutto, quella secondo cui la forza politica del FN deriverebbe dalla vittoria che avrebbe riportato sul piano ideologico. Si può dire che l’estrema destra eserciti un’egemonia culturale sulla società, che sarebbe riuscita ad imporre un quadro “meta-discorsivo” al discorso politico dominante? Si tratta dell’ipotesi avanzata da taluni osservatori, ad esempio da Frédéric Neyrat.[9] Sembra un’ipotesi perlomeno esagerata, anche se si deve ammettere, con Luc Boltanski e Aranud Esquerre, che l’estrema destra influenza i normali modi di pensare, di esprimersi e di scrivere, il “questo è ovvio” di un’opinione ragionevole e di un certo “buon senso”.

Un’altra tesi è che l’attuale FN rappresenterebbe, rispetto a quello che fu, una realtà completamente nuova. Sembra discutibile l’impiego da parte di alcuni ricercatori del termine «post-fascismo» per indicare il FN (o i suoi equivalenti europei). Il prefisso “post” (ad esempio, in “post-modernità”) ha due significati correnti: il superamento di un’epoca storica e la rottura con un modo di pensare. Nel caso del FN, «post-fascismo» rinvia, implicitamente o esplicitamente, a due ipotesi che sembrano errate. La prima, che il fascismo sarebbe un’epoca storica superata, e che quindi il FN si collocherebbe in un periodo successivo. È quanto sostiene, ad esempio, il ricercatore Jean-Philippe Milet (i cui lavori sono peraltro interessanti): «Il Fronte Nazionale viene dopo il fascismo, il suo riformismo è post-fascista – è di dopo il fascismo».[10] Ora, il fascismo non è un epoca (remota), ma una forma di organizzazione e di ideologia politica che si è manifestata variamente, e in diversi momenti, ben dopo la fine del Terzo Reich. In secondo luogo, l’idea che il FN, per le proprie idee e per quello che fa, avrebbe operato la rottura con il fascismo rimanda a un’ipotesi alquanto azzardata, che non tiene conto degli importantissimi elementi di continuità tra il lepenismo e la sua matrice fascista (petainista). Oltreché del fatto che potrebbe essere il laboratorio al cui interno maturano le componenti di un fascismo adattato alle realtà contemporanee.

Populismo?

La confusione dei punti di riferimento e la nebulosità del crinale sinistra/destra sono legittimati e aggravati dall’impiego molto diffuso della nozione di populismo.

In America latina, nel corso del periodo che va dagli anni Trenta agli anni Sessanta, il termine “populismo” corrispondeva a una specifica realtà: quella di governi nazionali popolari, o di movimenti raccolti intorno a figure carismatiche – Vargas, Perón, Cardenas – che disponevano di un consistente sostegno popolare e sviluppavano una retorica antimperialista. Ma l’uso che si fa attualmente del termine in Francia e in Europa è vago e impreciso. Ad esempio, a proposito del FN, P.-A. Taguieff definisce il populismo «uno stile retorico legato direttamente all’appello al popolo».[11] Altri politologi ricollegano il populismo a «una posizione politica che si colloca al fianco del popolo contro le éltes»: una caratterizzazione che può valere per quasi tutti i partiti e movimenti! Quando lo si applica al FN, o ad altri partiti europei di estrema destra, questo pseudo-concetto diventa un ingannevole eufemismo che consente – deliberatamente o meno – di legittimarli, rendendoli più accettabili; o invita – chi si rifiuta infatti di essere per il popolo contro le caste privilegiate? – ad omettere i termini sgradevoli di razzismo, xenofobia, fascismo, o estrema destra.[12]

In Francia e in Europa, la parola «populismo» viene anche impiegata deliberatamente da certi ideologhi e media come strumento di mistificazione, che consente di fare l’amalgama tra l’estrema destra e la sinistra, affiancando populismo di destra e populismo di sinistra con la scusa che si oppongono entrambi alle politiche neoliberiste e alla costruzione europea….

Jean-Yves Camus spiegava che partiti come il FN si possono chiamare populisti nella misura in cui «pretendono di sostituire con la democrazia diretta la democrazia rappresentativa» e contrappongono il «buon senso popolare» a «élites pervertite». Non è un argomento pertinente, dal momento che il richiamo alla democrazia diretta, le critiche della rappresentanza parlamentare e del ceto politico sono portate avanti piuttosto dalle tendenze anarchiche e dell’estrema sinistra che non dall’estrema destra, il cui progetto politico pone l’accento sull’autoritarismo. Alla fine, J.-Y. Camus, che è uno dei migliori esperti dell’estrema destra francese ed europea, ha corretto questa angolazione, dicendo che conviene evitare di usare il termine populismo, che viene utilizzato «per screditare e criticare il consenso raccolto dall’ideologia liberale, la bipolarizzazione del dibattito politico europeo tra liberali conservatori e socialdemocratici, e l’espressione nel voto di un sentimento popolare di sfiducia nei confronti delle disfunzioni della democrazia rappresentativa».[13]

Il FN e la sua differenza

Alcune di queste teorizzazioni rischiano alla fine di indurre a rinunciare a combattere il FN e a denunciarne in modo intransigente la politica. Questo, in funzione dell’idea che, nei suoi confronti, occorre partire da basi completamente nuove e inventare risposte inedite. Al che si aggiunge il rischio insidioso per cui, per individuare queste risposte, converrebbe tener conto di quel che dice lo stesso FN, cioè quello che il FN sostiene. In certo senso, il recupero della vecchia formula-trappola secondo cui il FN porrebbe interrogativi corretti ai quali fornirebbe risposte sbagliate.

Più che parlare di «sdemonizzazione» del FN (che presupporrebbe che finora sarebbe stato “demonizzato”), bisogna prendere atto di una triste realtà: la forza acquisita dal FN ha l’effetto di provocarne la banalizzazione. Ad esempio, la domanda che inquieta il campo politico è se bisogna considerare il FN come se fosse un partito come gli altri.

I partiti istituzionali restano aggrappati (ancora?) all’affermazione che non è così. Ma il crinale tra legittimità repubblicana ed estraneità ad essa è difficile da tracciare con chiarezza, tenuto conto di quelle che sono le politiche dell’UMP e del PS, e dei dubbi che si possono nutrire anche sulla stessa loro fedeltà ai valori fondanti della Repubblica Di qui l’esaurimento dell’appello al “fronte repubblicano”, soprattutto se si deve convincere della sua validità senza dimenticare che un quarto dell’elettorato vota FN.

Va inoltre notato che il FN è anche in grado di volgere a suo vantaggio la formula presunta accusatoria, poiché appunto lo stesso FN dice di non essere un partito come gli altri, rivendica cioè il suo essere «diverso» (dall’UMPS e dal sistema). Ci si può chiedere, infine, come recepisca questa idea tutta una parte dell’elettorato, già o non ancora conquistata al voto frontista: la grande forza del FN non sta nel fatto che è percepito come un partito che, malgrado o grazie alla sua differenza, deve attualmente confrontarsi con il resto dei partiti? E sul quale i giudizi variano: magari e un po’ peggio degli altri partiti, magari no… Non si vedono forse sempre più elettori che pensano che, essendo l’unico grande partito a non aver mai governato, vale forse la pena di tentare l’esperimento?

Rifiutare il rischio del peggio

La peculiarità del FN è che una vittoria elettorale che gli offrisse le chiavi del potere scatenerebbe necessariamente – al di là delle teorizzazioni degli uni e degli altri, o anche delle sue – uno squilibrio del sistema politico e sicuramente della società. Si tratterebbe di ripercussioni di fondo e irreversibili, incluso su scala europea, nel senso che un simile sconvolgimento farebbe esplodere la carica antidemocratica di cui è portatore il FN e che fin qui è contenuta dai condizionamenti di una vita politica che lo minimizza e ne limita l’autorità a quella che è la forza relativa di un voto di protesta.

L’energia così liberata sarebbe quella del rifiuto di quanti/e vengono stigmatizzati/e come diversi/e, perché non conformi al modello che, a quel punto, si vedrebbe legittimato da un voto maggioritario, che rimarrebbe solo da imporre alla società. Quali “diversi”? Gli immigrati, i migranti, i musulmani o presunti tali, ma anche gli/le omosessuali, le donne emancipate, gli ebrei… Mentre le promesse di portata “sociale”, sul piano dell’occupazione e del tenore di vita, potrebbero non concretizzarsi affatto, né essere riprese in seno alla società da forze militanti e sociali, potrebbe andare diversamente per quelle che riguardano l’aspetto securitario e l’ostilità nei confronti di determinati gruppi sociali. Ci sarebbe da temere lo scatenarsi di una profonda ondata nazionalista e razzista.

Fin d’ora, è dato constatare quanto sia fragile e devastata la muraglia dei valori repubblicani. Ne sono sintomo la capacità del FN di manipolare i riferimenti alla laicità, all’uguaglianza uomo-donna, alla solidarietà nazionale, per metterli al servizio della propria propaganda antimusulmana, del razzismo nei confronti di certi settori depauperati, e di un’ideologia profondamente disegualitaria, autoritaria, e di divisione della società.

Per fare arretrare il FN occorre mettere in atto una politica che restauri i punti di riferimento democratici, i valori di solidarietà, delinei una prospettiva classista e un orizzonte internazionale e socialista. Il FN prospera sullo sfaldamento nella coscienza collettiva della linea divisoria tra sfruttati e sfruttatori, cui sostituisce un’opposizione di tipo etnico-culturale tra “noi” e “gli altri”, un “noi” imprecisato che si coglie come riferito ai “nazionali”, ai “veri francesi”, portatori di un’identità nazionale ritenuta minacciata da questi “altri” dalle molteplici caratteristiche…

Questa sinistra prospettiva presenta uno scarto completo con quella che è la realtà profonda della società francese. Lo si è visto, a conferma, con gli avvenimenti che hanno contrassegnato la sequenza dal 7 all’11 maggio del 2015. Quali che siano state le manovre del potere politico per strumentalizzare l’emozione collettiva in funzione dei propri specifici interessi, la poderosa mobilitazione popolare che ha scatenato ha fatto nascere un movimento di solidarietà che ha permesso di tenere a distanza le reazioni ostili ai musulmani, di prendere coscienza dei pericoli che minacciano gli ebrei e dei rischi di lacerazione sociale.

Questo potenziale democratico rappresenta una speranza che bisogna far vivere, perché cela in sé la risposta effettiva alla minaccia rappresentata dall’estrema destra in Francia e in Europa. Questo implica che occorre infondergli una dinamica di classe, quella dell’unità degli sfruttati e dei dominati, che tenda a porre in atto una politica che dimostri che è possibile andare verso maggiore uguaglianza, dignità e giustizia, per tutte e tutti, quindi in primo luogo per coloro che oggi se ne trovano privi più degli altri.

Il FN si alimenta delle passioni malvage e dei risentimenti di una società in crisi, che non vede più quale futuro migliore sia in grado di costruire. Per contrastare seriamente l’avanzata del Fronte, è questa la prospettiva che occorre riaprire.

Traduzione di Titti Pierini

Tratto da; www.antoniomoscato.altervista.org

Originale: Contretemps, Révue de critique communiste

 

[1] Cfr. Dominique Vidal, Le ventre est encore fécond. Les nouvelles extrêmes droites européennes, Libertalia, Parigi, 2012, pp. 129-148.

[2] Cfr. Daniel Bensaïd, Fragments mécréants. Mythes identitaires et République imaginaire, Lignes, Parigi, 2005, passim.

[3] Da questo punto di vista, si faccia riferimento al libro di Valérie Igounet, Le Front national. De 1972 à nos jours, le parti, les hommes, les idées, Fayard, Parigi, 2014.

[4] Si veda, ad esempio, nel sito web di Mediapart (5 maggio 2015), l’articolo di Marie Turchi, “Le salut fasciste de l’argentier [il tesoriere] de Marine Le Pen”, che mette in risalto affinità tra certi personaggi molto vicini a Marine Le Pen ed ex affiliati al GUD [Groupe Unité Défense, organizzazione studentesca di destra] e ad altri estremisti.

[5] Alle elezioni europee il FN avrebbe ottenuto il 30% dei voti degli elettori al di sotto dei 35 anni (cioè 5 punti in più rispetto alla sua media nazionale). E, fra i votanti, il 38% degli impiegati e il 43% degli operai avrebbero votato per il FN (mentre solo l’8% degli operai e il 16% degli impiegati avrebbero votato a favore del PS). Cfr. Le Monde, 25 maggio 2014.

[6] Cfr. L. Boltanski, A. Esquerre, Vers l’extrême. Extension des domaines de la droite, éditions Dehors, Parigi, 2014.

[7] Ad esempio, forti divisioni sono apparse in seno alle forze della sinistra e della sinistra radicale sul problema se caldeggiare o meno l’uscita dall’euro, e anche su quello dell’antirazzismo, da cui emerge come queste non siano estranee al turbamento suscitato dalla difficoltà di arginare l’avanzata del FN.

[8] Cfr. Pierre-André Taguieff, Du diable en politique. Réflexions sur l’antilepénisme en politique, ed. CNRS, Parigi, maggio 2014.

[9] Cfr. F. Neyrat, “Une hégémonie d’extrême droite”, in Lignes, n. 45, ottobre 2014, p. 30.

[10] J-P Milet, “L’extrême droite pour tous”, in Lignes, cit., p. 55 (il corsivo è dell’Autore).

[11] Pierre-André Taguieff, “Le populisme et la science politique”, in Vingtième siècle, 1997, p. 8.

[12] Si veda l’interessante libro di Annie Collovald, Le “populisme du Front national”, un dangereux contresens, Éditions du Croquant, coll. “Raisons d’agir”, Broissieux , 2004, pp. 53, 113.

[13] Cfr. Jean-Yves Camus, “Extrêmes droites mutantes en Europe”, in Le Monde Diplomatique, marzo 2014, pp. 18-19.

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