YARMUK BASTIONE RIBELLE E PALESTINESE

Domenico Quirico

Ogni morto è pesante  come tutta la terra,  come l’intero universo.  In Siria poi, dove ormai sono più di duecentomila. Ma ci sono vittime  che pare assorbano in sé tutto il dolore e il peso  del cosmo. Come a Yarmuk, il campo di profughi palestinesi non lontano da Damasco, assediato da anni dall’esercito di Bashar, bastione ribelle e palestinese, doppia colpa per il regime, che ha cercato di annientarlo con le bombe e ucciderlo con la fame.  E’ difficile parlarne, iniziare il discorso. A Yarmuk hanno mangiato l’erba, a Yarmuk uomini e bimbi sono morti di fame, hanno sudori di sangue a Yarmuk. Una giovane donna disse: l’inferno è meglio che qui, tutti danno per scontato che noi siamo già morti…Rovina, sporcizia, fame, solitudine. Il suicidio più adatto per loro sembra proprio la vita. Ascoltiamo, in casi come questi, quasi il trascorrere del tempo, un fruscio cupo,  terribile, in cui svaniscono le settimane i mesi gli anni. E le vite degli uomini. I palestinesi: fuggiaschi di mille naufragi, traditi e dimenticati da tutti, dai loro capi meschinamente avvinti a privati disegni, dagli altri palestinesi, dai musulmani, dal mondo…

Ieri, secondo varie e coincidenti  testimonianze,  avanguardie del Califfato avrebbero preso il controllo del campo e avviato la battaglia per impadronirsene definitivamente. Ancora bombe, scontri tra le rovine e le  immondizie. Il Califfato alla periferia di Damasco! Quando gli encomiatori delle inevitabili controffensive, gli annunciatori tersicorei di incombenti rivincite lo descrivevano ormai esausto, agonizzante, liquidato da bizantineggianti beghe interne, dalle bombe scientifiche di Obama e dalla fuga dei disgustati combattenti internazionali; che hanno fiutato che la faccenda va a finire  in un disastro. La fine del Califfato inizia a Tikrit! Spumeggiava il primo ministro iracheno, appena ieri, che dava per certa la riconquista della città.

Già: intanto il califfo Abu Bakr avviava sciami di sciacalli mai sazi,  facce scure e secche, occhi lucenti  e una bandiera nera che guardano fanaticamente, a tirare unghiate al padrone di Damasco, ‘’al taghut’’, la tirannia per antonomasia. Far leva sulla disperazione, come sempre: e in quale luogo se ne trovano strati più densi e fondi che a Yarmuk dove  sembra gocciolare dal cielo? E presentarsi, forse, come il salvatore dei palestinesi che Bashar e i musulmani empi e  traditori hanno lasciato morire di fame e di bombe. Realtà difficilmente negabile.

Obbligatorio restare cauti perché nel Vicino oriente  le bugie sono diventate, da tutte le parti, Occidente compreso, come un succo appiccicoso  che ha invaso tutto, una viva e crescente carta moschicida  dove vanno a impigliarsi le ali di tutti. Ma resta il fatto che questa è la tattica, efficace, del Califfato: moltiplicare i fronti, assorbire ogni ritirata in una avanzata contemporanea in un’altra direzione, compensare, anche nelle immagini, una sconfitta con una vittoria.

Così da più di un anno aggrottiamo le sopracciglia  e aguzziamo gli occhi  su realtà caparbie ed avverse  raggruppate sotto la rubrica  di nomi poco familiari: Sirte Maiduguri Kidal Tikrit Yarmuk… Nei nomi  risuonano  antiche guerre  e il colore della terra  sembra il sangue  di guerrieri massacrati  nell’infinito trascorrere del tempo.  Oltre la curva del mondo vacillante immaginiamo  i nostri avversari:  sceicchi barbuti che sibilano  minacce gesticolando come marionette, e l’olivastro tarchiato signore di Mosul: rigettate la democrazia la laicità il nazionalismo e altre immondizie dell’Occidente, l’Occidente e l’Oriente si sottometteranno a voi…E loro, intanto, riducono in polvere  milioni di esseri umani.

Per mesi è stato l’Iraq il punto di minore resistenza, Baghdad a un passo, gli ‘’zindik’’, gli eretici sciiti, in fuga come pecore al macello… Nel frattempo Mosul è stato munito come un bastione, e si è rinsaldata l’alleanza con le indispensabili tribù sunnite, per cui l’avanzata degli sciiti e dei ‘’persiani’’ è un annuncio di nuova rovina e sanguinosa vendetta. Il fronte siriano sembrava sonnolento. Ora ilcaliffo va a saggiare la resistenza di quanto resta del regime di Bashar, a Damasco, la città santa sempre sfuggita sanguinosamente ai ribelli siriani.Prova a sollevare nuovi alleati, i palestinesi, che troppo hanno sofferto e il sangue si è loro avvelenato nelle vene. Così qualunque pensiero o atto distrugga  il tragico presente, essi chiamano giustizia. E la giustizia deve durare a lungo se deve riscattare le lunghe sofferenze.

1 aprile 2015

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