TRA COALIZIONE E COABITAZIONE

Tra coalizione sociale e coabitazione sindacale. Due articoli, di Franco Turigliatto e Giorgio Cremaschi, sulla proposta di Maurizio Landini.

di Franco Turigliatto

Già da alcuni giorni le prime pagine dei giornali, si occupano della “coalizione sociale” a cui stanno lavorando Maurizio Landini e il gruppo dirigente della Fiom.

Gran parte della stampa, ben consapevole del vuoto abissale che esiste alla sinistra del PD e contemporaneamente dello spazio potenziale che lì è aperto, ricama maliziosamente sulle ambizioni politiche del leader dei metalmeccanici Cgil. E, altrettanto consapevole del fatto che le lavoratrici e i lavoratori, la Fiom e l’intero movimento sindacale hanno subito nel corso degli ultimi anni pesanti sconfitte, culminate nel varo del Jobs Act, insinua il desiderio di Landini di defilarsi da un troppo impegnativo incarico sindacale per “buttarsi” in politica.

Landini, nega ogni velleità partitica, e ancor meno istituzionale, ma non chiarisce del tutto la natura del suo progetto.

Le proposte del segretario della Fiom

Quello che viene dichiarato è che le sconfitte del sindacato sarebbero dovute alla divisione, alla frammentazione del mondo del lavoro, al diffondersi della precarietà, della disoccupazione, della povertà, e che per reagire occorre unire, riunire, “coalizzare”, appunto, i vari mondi del lavoro, ricomponendo i settori del lavoro dipendente tradizionale con le nuove figure, a partire da quelle del precariato, del finto lavoro autonomo, delle partite IVA….

Occorre dire però che non c’è nei discorsi di Landini un’analisi politica della débâclesindacale. Anzi, si rimuovono le responsabilità politiche del gruppo dirigente della Cgil nel non essersi opposto (e a volte nell’aver perfino accompagnato) alla ondata della precarizzazione e della deregolamentazione del diritto del lavoro e alla cancellazione delle conquiste degli anni 70. Anche perché la Fiom, almeno dal 2011 in poi, si è progressivamente allineata alla linea Camusso, fino, negli ultimi mesi, ad avallare l’impostazione perdente dello sciopero generale del 12 dicembre e la decisione di non dare continuitàa quella importante giornata di lotta  e di elaborare in “alternativa” un aleatorio progetto di “nuovo statuto dei lavoratori”.

Landini non chiarisce quale possa essere la natura del suo progetto sia perché prima di sbilanciarsi vuole verificare quali e quanti possano esserne gli interlocutori sia perché, una volta fatte le verifiche su interlocutori, potenzialità e contesto, non ritiene di voler sottoporre il suo percorso ad una discussione democratica e di massa tra tutti i soggetti individuali e associati interessati.

Peraltro, il tanto sbandierato percorso democratico (che avrebbe elaborato la proposta passando per le assemblee regionali e poi nazionale dei delegati Fiom) non è stato altro che un’occasione di ratifica di un’ipotesi preconfezionata e fatta approvare, con la gestione fiduciaria di quelle assemblee, alle delegate e ai delegati.

Ma veniamo al merito, perlomeno per quel che è chiaro, della proposta di “coalizione sociale”.

L’idea di unire, insieme ai lavoratori dipendenti, un vasto raggruppamento che comprenda il variegato mondo del precariato, delle diverse forme con cui si manifesta oggi il lavoro subordinato o più o meno falsamente autonomo, le varie associazioni che agiscono sul terreno sociale comprendendo anche i centri sociali, al fine di costruire una barriera ed una alternativa di contenuti alle politiche liberiste, all’austerità della Troika e all’involuzione sociale di cui il governo Renzi si sta facendo interprete fino in fondo, non può che trovare il consenso di tutti quelli che non si rassegnano alla corrente reazionaria dei tempi ma che vogliono costruire una alternativa.

Per opporsi e rispondere il più efficacemente possibile ai nostri potenti avversari occorre unirsi, riconoscersi mutualmente, moltiplicare le forze, individuare obiettivi comuni, realizzare cioè l’indispensabile strumento dell’unità degli oppressi e degli sfruttati perché si torni ad essere protagonisti sul piano sociale, si possa battere gli avversari di classe, avversari che, è il caso di dirlo, oggi sono più che mai i padroni, cioè la borghesia e i suoi gestori politici, i suoi partiti, in primis, naturalmente, il partito democratico.

Non è un caso che, già all’inizio dell’autunno, nella nostra modestia abbiamo scritto che: “il compito ineludibile e prioritario che abbiamo di fronte e che tutta la sinistra dovrebbe assumersi in prima persona è la costruzione del fronte sociale e politico contro le politiche dell’austerità… Noi proponiamo un percorso di costruzione di questa mobilitazione, … una sorta di stati generali delle forze contro le politiche dell’austerità per decidere insieme le forme di lotta e i momenti di mobilitazione sia nazionali che locali sulle vicende del lavoro e sulle problematiche sociali, dalla casa all’ambiente”.

Pensavamo fossero le modalità con cui sfidare il potere di Renzi e di Squinzi.

Perciò questo punto di Landini è condivisibile, ma alcune osservazioni critiche sono necessarie.

Alcuni rilievi critici

La prima considerazione critica è anche la più semplice. Ci chiediamo: perché questa proposta non è stata avanzata qualche anno fa, quando la FIOM aveva ben altra forza sindacale e sociale, era chiaramente alternativa alle scelte della direzione centrale della CGIL, e si poneva come la punta di diamante del sindacalismo di classe, polarizzando vaste aree sociali e vasti settori di lavoratrici e di lavoratori? Una proposta del genere avrebbe avuto ben altro impatto all’indomani della manifestazione nazionale della Fiom dei 16 ottobre 2010. Ma ci rendiamo conto che, solo pochi mesi dopo quella straordinaria scadenza, iniziava la marcia di Landini verso il rientro nei ranghi della maggioranza Cgil, a partire dall’accordo Bertone del maggio 2011.

In ogni caso occorre dire: meglio tardi che mai.

Nell’autunno 2014, seppure segnato dai colpi terribili subiti nel frattempo (riforme Fornero, abolizione dell’art. 18, blocco dei contratti, ecc.) e da una direzione CGIL sempre più compromessa (vedi l’accordo del 10 gennaio), il movimento dei lavoratori si è espresso in lotte importanti, mostrandosi capace di ripolarizzare almeno in parte l’attenzione di altri settori sociali. Dunque, non era forse più facile, intorno alla lotta contro il Jobs Act, puntare a darle continuità facendo una proposta unitaria per continuare la battaglia invece di subordinarsi alla logica della Cgil di chiudere la partita e di accettare quindi la sconfitta?

Landini non si è smarcato allora. Perché? E perché, nonostante le prese di distanza della segreteria Cgil dalla sua iniziativa, continua a proclamare il suo allineamento con la linea sindacale, sociale e politica della Camusso? Peraltro, se non si riannoda il filo con le lotte dell’autunno, se non si condanna la rassegnazione di cui la Cgil si fa interprete, quale “coalizione sociale” sarà possibile?

Inoltre per costruire la “coalizione” serve la costruzione dal basso dell’iniziativa, il massimo di pluralismo che valorizzi tutte le esperienze, inevitabilmente differenziate e a volte contraddittorie (come ad esempio tra salvaguardia dell’ambiente e dell’occupazione), non commettendo l’errore di prendere le decisioni in modo verticistico e in luoghi molto ristretti.

In un contesto di sostanziale allineamento sindacale con la linea Camusso, la proposta di Landini, pur nella sua contrapposizione al PD, si presenta debole e tutt’altro che alternativa sul piano sindacale. Come si caratterizzerà la Fiom sulla bruciante questione del contratto di lavoro? La credibilità della proposta sarà reale e non solo superficiale se, anche su questo terreno, riuscirà a costruire nuove iniziative contro l’attacco di Marchionne, della Federmeccanica, della Confindustria e cioè su una piattaforma contrattuale unificante, degna di questo nome e non svilita da accordi con i sindacati gialli FIM e UILM, come sembrerebbe palesarsi nelle ultime prese di posizione. Ma anche se indicherà alla Cgil, o almeno a parte di essa, una via per uscire dal pantano della rassegnazione e della resa.

Un percorso da sviluppare

Queste critiche (che opportunisticamente non taciamo) non ci impediscono però di dare una risposta positiva; più che mai riteniamo giusto che tutte le forze di classe si impegnino nella costruzione di una coalizione sociale per la lotta contro l’austerità.

Per farlo occorre la massima apertura, il coinvolgimento di tutte le forze disponibili, una discussione democratica in cui non ci sia un dominus, ma nella quale tutte e tutti si sentano partecipi e rappresentati, non discriminati, a partire naturalmente anche dalla minoranza interna di sinistra della stessa FIOM o le organizzazioni sindacali di base (almeno quelle che fossero d’accordo). Serve la partecipazione di tutte e tutti coloro che vogliono lottare per dare di nuovo dignità e diritti al lavoro.

Per andare verso la coalizione servirebbe una assemblea nazionale, con iniziative dal basso che permettano a tutti i soggetti di riconoscersi, di portare un propri contenuti, a partire da esperienze diverse su terreni diversi, per costruire una piattaforma; un’assemblea in cui si possano definire le modalità e le scadenze per costruire la lotta.

Il percorso non può avvenire solo attraverso i media o solo attraverso un evento come quello importante della manifestazione nazionale del 28 marzo, pur necessari, ma anche e soprattutto attraverso un coinvolgimento pieno e diretto della base sociale potenziale assai grande. Anche su questo, non si è cominciato bene, con una riunione blindata alla stampa e a chi, seppure non “invitato”, fosse stato interessato a capire meglio la proposta e a contribuire al progetto.

La democrazia e la partecipazione sono passaggi ineludibili.

I partiti della sinistra

E i partiti della sinistra? Landini li ha debitamente esclusi dall’incontro di sabato scorso, ritenendo, che questi partiti, assai screditati agli occhi di una larga parte dell’opinione pubblica, siano in larga misura oggi una zavorra. E non saremo certo noi a non vedere gli errori gravissimi di questi partiti; errori che peraltro la nostra corrente politica ha denunciato in tempi non sospetti, restando anche molto isolata.

Non ci ricordiamo infatti di aver trovato molto sostegno nella nostra battaglia contro la subalternità dei gruppi dirigenti di questi partiti al centro sinistra, che ne hanno determinato la loro sconfitta. E occorre dire che anche parte di coloro che oggi vogliono tenerli un po’ lontani come appestati (soggetti sindacali, movimenti, associazioni) a quel tempo non mossero un dito, né per denunciarne i cedimenti né tantomeno per solidarizzare con chi (come noi) li denunciava. E molti di questi soggetti, nel loro piccolo, ma al pari dei partiti, si sono illusi sulla percorribilità e sulla proficuità di intessere relazioni pericolose con un centro sinistra che, a tutti i livelli, nazionali e territoriali, gestiva e gestisce le politiche dell’austerità.

Occorre però anche dire con chiarezza che l’azione di discredito di tutte le forme di organizzazione politica e soprattutto della militanza politica (a partire naturalmente da quella anticapitalista e rivoluzionaria) sono oggi parte fondamentale della campagna per il “pensiero unico” borghese condotta dalle classi dominanti.

Certo, per i partiti e per tutti vale la raccomandazione a porre al centro della propria azione la mobilitazione sociale e a non concentrare tutte le proprie attenzioni sull’inserimento istituzionale e sulle scadenze elettorali. Il punto di partenza è come sempre la chiarezza su alcuni nodi elementari ma essenziali, il rifiuto della collaborazione con le forze borghesi e un programma radicale per la difesa dei bisogni delle masse popolari costruito sulla mobilitazione e l’autorganizzazione della classe lavoratrice.

Anche perché, in Italia, oltre al terribile peso egemonico della linea della rassegnazione, c’è anche un grande vuoto politico, che (Spagna e Grecia stanno lì ad insegnarcelo) è l’altra peculiare caratteristica della a situazione italiana. La nostra disponibilità a confrontarci e a misurarci sul terreno politico è egualmente grande e la ribadiamo come già abbiamo fatto nei confronti della discussione aperta nell’aggregazione “L’altra Europa”. 

Tratto da: www.anticapitalista.org

 

LA COABITAZIONE SINDACALE

di Giorgio Cremaschi

Stando alle loro ultime  note ufficiali, tra le  due segreterie Cgil e FIOM, non ci dovrebbero essere disaccordi di fondo. Entrambe sostengono la linea uscita dall’ultimo direttivo nazionale della confederazione, la ricerca dell’unità con Cisl e Uil e una politica di alleanze sociali e politiche per contrastare il Jobact. La segreteria della FIOM rivendica con toni persino polemici il suo accordo con tutte le scelte della confederazione. E in effetti dalla conclusione del congresso nazionale del maggio scorso non c’è un solo atto importante della Cgil che non sia stato votato assieme da Camusso e Landini. Che per altro avevano iniziato il congresso con un documento comune pomposamente dichiarato come unitario, in quanto la nostra piccola opposizione non veniva neppure presa in considerazione. Poi con l’accordo del 10 gennaio 2014 tra Cgil Cisl Uil e Confindustria si determinava un’aspra rottura. Il segretario della Fiom accusava, a ragione,  la Cgil di aver sottoscritto il sistema di relazioni sindacali voluto da Marchionne. Un sistema di diritti e rappresentanza concesso solo ai firmatari dell’accordo, dunque in pieno contrasto con la sentenza della Corte Costituzionale che aveva riammesso la FIOM in Fiat nonostante non fosse firmataria degli ultimi accordi. Un sistema fondato sul principio della cosiddetta esigibilità, cioè sul vincolo per i sindacati firmatari e per i loro  delegati, di  non organizzare contrasto di alcun tipo verso gli accordi non condivisi, pena sanzioni. Landini contestò duramente quell’intesa e ruppe l’unità congressuale con Camusso. Che a sua volta accusò il segretario della FIOM di incoerenza per aver condiviso gran parte del percorso che aveva portato all’accordo. Dopo il congresso però i due si riappacificarono e condussero assieme la campagna contro il Jobs act di Renzi. Ora il nuovo contrasto, ma su cosa?
La coalizione sociale è una nuova formazione politica? Landini smentisce risentito, anzi scrive addirittura che essa non è contro nessun partito politico. Al sindacato serve una coalizione sociale? Camusso dice sì, ma poi nega che sia quella proposta da Landini, che viene accusato di ambiguità sulla politica. Onestamente non si capisce molto e se non ci fosse una colossale sovraesposizione mediatica di tutta questa vicenda, la sole cose evidenti sarebbero la crisi e la confusione del gruppo dirigente del maggiore sindacato italiano.
È la terza volta negli ultimi venti anni che la FIOM tenta una coalizione sociale. La prima fu con i movimenti no global all’epoca del G8 di Genova. Il segretario della Fiom Claudio Sabattini, con il gruppo dirigente di allora, decise di rompere con Fim e Uilm sul contratto nazionale e di partecipare alle manifestazioni nel capoluogo ligure nonostante che il segretario della Cgil Sergio Cofferati avesse pubblicamente chiesto di non farlo. Nel 2006 la Fiom guidata da Rinaldini manifestò contro il governo Prodi assieme a sindacati di base e centri sociali, anche allora nonostante il pubblico veto della Cgil. Ma quel percorso si esaurì proprio sul nodo e sui vincoli dei rapporti tra FIOM e Cgil. Quel nodo si ripropose nel 2010, quando l’appena eletto Landini disse di no su Pomigliano a Marchionne, a Cisl Uil, al PD e anche alla Cgil.  Per alcuni mesi attorno a quel no si costruì un vasta mobilitazione sociale, ché sfociò nella manifestazione del 16 ottobre 2010 a Roma e ancor di più nello sciopero generale dei metalmeccanici del gennaio 2011, che per la prima volta vide accanto alla FIOM le sigle dei principali sindacati di base e gran parte dei movimenti sociali più radicali. Fatto senza precedenti per un segretario della Cgil in quella città, nella piazza Maggiore di Bologna Susanna Camusso fu pesantemente contestata da gran parte dei manifestanti che chiedevano lo sciopero generale.
In una riunione in quei giorni sostenni che se la FIOM avesse davvero voluto consolidare il movimento e la coalizione sociale che si era costruita con gli operai della Fiat, avrebbe dovuto mettere in conto la rottura con la Cgil. Ma il segretario della FIOM respinse nettamente questa mia proposta. Si tentò allora di costruire un sostituto di un progetto più radicale, con la coalizione “Uniti Contro la Crisi”, che alla FIOM univa una parte dei centri sociali e organizzazioni giovanili e studentesche, riconducibili all’area politica di Sel. Quel tentativo fu travolto dagli scontri della manifestazione del 15 ottobre 2011.
Ora il gruppo dirigente della FIOM ripropone ancora la formula della coalizione sociale. Ma gli interlocutori attuali non sono gli stessi delle passate esperienze. Mancano totalmente il sindacalismo di base e il dissenso Cgil, anche perché la FIOM ha deciso una  svolta rispetto alle  sue pratiche degli ultimi 20 anni,  affidandosi all’accordo con Fim e Uilm per il rinnovo del contratto nazionale. Mancano l’arcipelago dei centri sociali e i movimenti radicali come i Notav e i Noexpo. Mancano molte forze con cui la FIOM ha dialogato e manifestato assieme nel passato, mentre gli inviti selezionati sono stati inviati ad associazioni che, pur di grande prestigio, non siano in totale rottura con il PD ed il suo sistema di alleanze e potere. E infatti Libera ed ARCI hanno subìto tenuto a precisare che possono sostenere singole campagne, ma non potranno mai far parte di una coalizione formalmente organizzata.
La nuova coalizione lanciata dalla Fiom parte dunque su basi più incerte e sicuramente meno radicate che nel passato, eppure rispetto ad altre iniziative dell’organizzazione ha avuto una risonanza assai maggiore, perché?
La prima ragione sta nella portata stessa della sconfitta della Fiom, della Cgil, della sinistra e del mondo del lavoro di fronte alle politiche liberiste e di austerità. La distruzione dell’articolo 18, che nel passato la Cgil riuscì ad impedire, è lo sfondamento formale e simbolico del fronte del lavoro dopo trenta anni di ritirata più o meno organizzata e contrattata. Il lavoro è sottoposto al massacro sociale ed il sindacato ex più forte d’Europa mostra tutta la sua mastodontica fragilità. Il fatto che questa resa dei conti finali col lavoro sia guidata dal leader del partito democratico ribalta poi tutti i punti cardinali del tradizionale modo d’agire della Cgil. Che reagisce a questo disastro oscillando tra l’identificazione con il dissenso politico verso Renzi e la ricerca dell’autonomia corporativa con Cisl Uil e Confindustria, di cui l’accordo del 10 gennaio è la formalizzazione. Nella linea e nei comportamenti concreti della Cgil non c’è alcun progetto di riconquista, ma una sorta di gestione della sconfitta che non può che provocare altre cadute. Su questa debolezza   prende vigore il ruolo di Landini, che in concreto non propone nulla di diverso dalla CGIL, come egli stesso puntualmente precisa, ma che raccoglie invece le speranze di chi, critico verso Cgil e PD, si augura che le cose cambino. Landini incrocia le speranze di cambiamento giusto che periodicamente si manifestano e per questo la domanda nei suoi confronti è prima di tutto politica. D’altra parte è qui c’è la seconda ragione del suo successo, Landini emerge come leader nell’attuale politica ultra personalizzata e governata dai talk show. La coalizione sociale oggi proposta dalla FIOM è la più verticistica e rarefatta tra quelle sperimentate in questi anni, in realtà non ruota neppure attorno al sindacato, ma alla figura del suo leader.
La ragione del successo di Landini, il suo muoversi con grande amplificazione mediatica nel vuoto segnato dalla sconfitta della sinistra e del sindacato, è però anche causa del limite di fondo della sua iniziativa. La proposta attuale di coalizione sociale allude ad una forza politica, ma poi nega di volerla costruire. Si proclama la necessità di cambiare il sindacato, ma poi si afferma di volerlo fare con chi il sindacato ha condotto al punto attuale. Sul piano dei contenuti programmatici, Europa, euro e politiche di concertazione e compatibilità sono sostanzialmente ignorate, mentre PD, Confindustria e sistema di potere vengono sì criticati, ma non definiti come avversari.
Ci vorrebbe insomma una vera rottura per evitare strade già percorse senza risultati. Invece, pur polemizzando duramente tra loro, Camusso e Landini coabitano nella stessa crisi sindacale e alla fine offrono ad essa risposte concorrenziali, ma simili.

Tratto da: www.sindacatoeunaltracosa.org

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