GERMANIA 2

I MINIJOBBER VOTANO LA LINKE
LA FAVOLA DI JOBWUNDER
SALARI DA FAME ALLA DAIMER?
DOV’E’ FINITO IL JOBWUNDER
POVERA GERMANIA
MA QUALE “POVERA GERMANIA”Stato, aziende e uber ricchi schiacciano il ceto medio
HARTZ, LA RIFORMA DEL LAVORO PERFETTA…ma siamo sicuri?

I MINIJOBBER VOTANO LA LINKE

Un altro interessante articolo sulle dimensioni del precariato in Germania, se ancora ce ne fosse bisogno, questa volta arriva dal The Guardian. I minijobber dopo una lunga stagione di moderazione salariale chiedono un salario minimo. Da theguardian.com

Senza un salario minimo e con un quinto dei lavoratori occupati con un minijob, i critici sostengono che la prosperità tedesca sia stata costruita sullo sfruttamento degli oppressi.

Andare al cinema oppure nuotare nella locale piscina all’aperto sono piccoli lussi che Christa Rein si puo’ permettere solo raramente: “Non posso nemmeno comprare cose semplici come il salmone o una bottiglia di spumante”, ci dice la 55enne. “Il frigorifero non si deve rompere, perché non potrei permettermene un altro”.

Sembra una delle tante storie dalla desolata Europa del sud, spremuta da 3 anni di austerità e recessione. Potrebbe essere una sorpresa sapere che invece questa storia, fatta di difficoltà finanziarie, arriva dal centro della potenza economica d’Europa – e sicuramente non è la sola.

Mentre Angela Merkel guida il suo partito di centro-destra verso le elezioni promettendo una ripresa economica, una sana gestione finanziaria e un’occupazione a livelli record, cresce il dissenso nella parte che fino ad ora non ha partecipato alla distribuzione della tanto decantata ricchezza tedesca. Le riforme radicali del mercato del lavoro lanciate un decennio fa hanno spinto un quarto della forza lavoro in impieghi a bassa retribuzione, part-time e precari. Il presunto miracolo economico e la storia di successo nel mercato del lavoro, nel frattempo divenuti l’invidia di tutto il mondo, sono stati smascherati.

La paga di Rein, lavora 8 ore al giorno per un’impresa di pulizie, è di 1.079 € al mese. “Ho fatto questo lavoro per 30 anni, e anno dopo anno abbiamo visto il carico di lavoro aumentare, mentre la paga diminuiva”, ci dice. “Siamo sempre di meno, e pretendono da noi che si riesca a pulire sempre piu’ metri quadrati in un tempo sempre inferiore. Abbiamo tra i 15 e i 20 secondi per pulire un gabinetto – e non è proprio un gabinetto su cui vorrei sedermi”.

Nel frattempo, il suo datore di lavoro ha aumentato i suoi profitti, ci dice, “ma i guadagni non vengono trasferiti a noi lavoratori”.

Rein, che vive a Braunschweig in Bassa Sassonia, è convinta che la sua situazione rifletta quella piùgenerale dell’economia e influirà sul modo in cui voterà alle elezioni del 22 settembre: “per i lavoratori tedeschi è arrivato il momento di partecipare ai successi dell’economia”.

Una ricerca della BCE in aprile ha mostrato che la ricchezza mediana delle famiglie tedesche era inferiore a quella delle famiglie greche. In termini di PIL pro-capite, la Germania va abbastanza bene. Ma contrariamente alla credenza popolare, è solo di poco superiore alla media europea. Secondo l’Istituto per la Ricerca sul Lavoro, il braccio di ricerca dell’agenzia federale per l’impiego, il 25% di tutti i lavoratori tedeschi guadagna meno di 9.45 € lordi l’ora. In Europa solo la Lituania ha una percentuale piu’ alta di bassi salari – chi guadagna meno dei due terzi del salario medio nazionale.

La situazione ha alimentato il divario fra ricchi e poveri e un risentimento crescente fra coloro che considerano la prosperità tedesca costruita sullo sfruttamento degli oppressi.

Daniel Kerekes, uno studente 26enne di storia all’Università della Ruhr di Bochum, fa parte di quel 20% di lavoratori impiegati con un minijob. “Lavoro al supermarket per circa 16 ore alla settimana per 7.5 € lordi l’ora con un contratto molto svantaggioso. I turni non sono garantiti, e se non faccio tutto cio’ che il mio capo mi chiede di fare, puo’ cancellarmi i turni oppure darmi quelli peggiori”.

Con quel che guadagna – oltre ad un piccolo lavoro nel giornalismo digitale – fa fatica a pagare i suoi conti, incluso l’affitto mensile da 280 € per l’appartamento da 36 mq, piu’ l’assicurazione sanitaria obbligatoria e un’assicurazione per la responsabilità civile.

Chiamati anche McJobs, i minijobs sono una forma marginale di impiego che permette ai lavoratori di guadagnare fino a 450 € al mese esentasse. Introdotti nel 2003 dal cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder, come parte di una piu’ vasta riforma del mercato del lavoro, all’epoca in cui la Germania si era guadagnata il titolo di “malato d’Europa”, hanno mantenuto basso il costo della manodopera, offrendo una grande flessibilità ai datori di lavoro.

Ma i critici sostengono che abbiano allargato la disparità fra ricchi e poveri e minato molti dei valori su cui l’economia sociale di mercato tedesca si era fondata. Non solo non forniscono al datore di lavoro nessuna ragione per trasformare questi contratti in veri e propri lavori a tempo pieno, ma anche il lavoratore non ha alcun incentivo a lavorare di piu’, poiché in quel caso dovrebbe pagare le tasse sullo stipendio. Il risultato: sono in molti a restare intrappolati in lavori marginali e distaccati dal tanto acclamato “jobwunder” tedesco.

Bochum, una città in declino nella valle della Ruhr, un tempo cuore industriale tedesco, brulica di minijobs, secondo Kerekes. “La signora che abita sotto di me ha un minijob in un discount, la mia fidanzata lavora come cameriera con un minijob. I datori di lavoro sono soddisfatti, perché sanno che possono impiegarti per soli 450 € al mese”.

Secondo il governo i minijob sarebbero in declino – lo scorso anno sono scesi dello 0.6% – ed il merito sarebbe delle politiche del lavoro di Merkel. Ma l’opposizione non è affatto d’accordo: “Sono numeri discutibili”, sostiene Anette Krame, esperta di mercato del lavoro della SPD. “Non credo una riduzione dello 0.6% sia una ragione per festeggiare, e nemmeno riesco ad individuare un trend verso il basso”. E cita la palese omissione nelle statistiche di alcune forme contrattuali piu’ recenti, responsabili del dumping salariale in vari settori, specialmente nell’industria alimentare.

Kerekes spera che il nuovo governo abolisca i minijob e introduca al loro posto un salario minimo. “I minijob stanno distruggendo i posti di lavoro regolari, e garantiscono salari da fame. Perfino negli Stati Uniti la maggior parte degli stati ha un salario minimo, mentre la Germania, uno dei paesi piu’ ricchi al mondo, non ce l’ha”.

E’ incoraggiato dal fatto che la SPD abbia promesso di voler introdurre un salario minimo – 8.5 € lordi l’ora – ma crede non stiano osando abbastanza, e comunque, sono stati loro per primi ad introdurre i minijob.

Le statistiche dell’agenzia federale del lavoro mostrano che i salari dei lavoratori con i redditi piu’ alti, tra il 1999 e il 2010, sono cresciuti del 25%, mentre per il 20% dei lavoratori con i redditi piu’ bassi, la paga è cresciuta solamente del 7.5%, nel frattempo l’inflazione era del 18%. Il risultato è stato cio’ che gli economisti considerano una svalutazione interna, con una significativa riduzione del potere d’acquisto e un danno per l’economia tedesca.

Kerekes ci dice che il suo voto il prossimo mese andrà al partito che secondo lui sta facendo di piu’ per affrontare il fenomeno dei McJob. “Votero’ per la Linke”, ci dice, riferendosi al raggruppamento di ex-comunisti della Germania dell’est e ribelli della SPD. “Sono gli unici a proporre un salario minimo di almento 10 € l’ora, il minimo con cui sia possibile vivere”.

Ecco_il_nostro_modello_tedesco
LA FAVOLA DI JOBWUNDER

La campagna elettorale di Merkel si fonda sulla presunta buona situazione economica e sul miracolo occupazionale, il famoso Jobwunder. Dierk Hirschel, uno dei leader del sindacato dei servizi Ver.di, prova a smascherare le bugie della propaganda merkeliana. Da Frankfurter Rundschau domenica 1 settembre 2013

Nonostante un bilancio miserabile, Angela Merkel è riusicta a rivendere la sua politica come un successo. Ma non è ancora troppo tardi.

A pochi giorni delle elezioni i sondaggisti cantano: “Angie, ce la farai ancora una volta”. Un tedesco su due è soddisfatto del lavoro fatto da Merkel, Rösler e Seehofer. Nonostante l’affare delle spie NSA e la debacle dei droni, i cittadini continuano ad avere fiducia nel governo liberal-conservatore. Cambi di opinione non sembrano all’orizzonte.

Secondo i professionisti della previsione, l’elevato livello di consenso del governo è dovuto ad una buona situazione economica. Piu’ posti di lavoro ed un’industria competitiva rendono  felice il tedesco medio. Ad un primo sguardo, il “governo di maggiore successo dalla riunificazione”, sembra aver fatto un buon lavoro: mai fino ad ora c’erano stati cosi’ tanti posti di lavoro. Il numero degli occupati, con quasi 42 milioni di lavoratori, ha raggiunto un nuovo record. La disoccupazione ha toccato il livello piu’ basso degli ultimi 20 anni. I nostri vicini ci invidiano il “miracolo del lavoro tedesco”.

Ma le apparenze possono ingannare. Il bilancio della coalizione giallo-nera, in tema di lavoro, delude sotto ogni punto di vista. Una gran parte del presunto Jobwunder è il frutto di una pura redistribuzione del lavoro esistente.

Se le aziende suddividono un lavoro a tempo pieno in tanti minijob e impieghi part-time, gli statistici di Norimberga sono felici: il numero degli occupati cresce. Dal 2000 ad oggi sono stati distrutti circa 1.5 milioni lavori a tempo pieno. In contemporanea le aziende hanno creato oltre 3 milioni di lavori part-time. Di conseguenza oggi fra Amburgo e Monaco non si lavora piu’ di quanto si facesse 13 anni fa. Il numero delle ore di lavoro retribuito – il cosiddetto “volume di lavoro” – non è cresciuto. Inoltre, il presunto boom dell’occupazione non ha mai superato la portata di una ordinaria crescita congiunturale. Nella recente fase di ripresa – senza considerare la diversa durata della fase di crescita – l’occupazione non è aumentata piu’ di quanto sia accaduto in passato.

Ma non è abbastanza. I dati ufficiali sulla disoccupazione sono da maneggiare con molta cura. Secondo le statistiche ufficiali, nel nostro paese ci sarebbero “solo” 3 milioni di disoccupati. Ma i lavoratori a 1 Euro (Ein-Euro-Jobber), i disoccupati con piu’ di 58 anni, oppure i disoccupati impegnati in un corso di formazione, non sono conteggiati nella statistica. In aggiunta, ci sono oltre 2 milioni di occupati part-time che lavorebbero volentieri piu’ a lungo. E per quanto riguarda la disoccupazione di lunga durata, la Germania resta il leader indiscusso in Europa. In realtà mancano oltre 6 milioni di lavori a tempo pieno. Non si puo’ certo parlare di lavoro per tutti.

Gli squilibri nel mercato del lavoro, sotto il governo Merkel, si sono ulteriormente aggravati. Circa un quarto degli occupati oggi lavora per meno di 9 € lordi l’ora. 1.4 miloni di tedeschi lavorano per un salario inferiore ai 5 € lordi l’ora. Una percentuale maggiore di lavoratori a basso salario c’è solo negli Stati Uniti. Lavoro precario e assenza di contratti collettivi fanno si’ che gli accordi raggiunti da IG Metall, Ver.di, etc. siano validi solamente per 3 lavoratori su 5.

A spese dei nostri vicini

La conseguente debolezza dei salari ha rallentato la domanda interna e ha invece alimentato quella estera. Commercianti al dettaglio e artigiani hanno sofferto per la mancanza di potere di acquisto. L’estero ha contribuito alla crescita molto piu’ di quanto abbia fatto la domanda nazionale. Senza successo! Prima della crisi, l’economia e l’occupazione sono cresciute molto piu’ lentamente che nel resto dell’Eurozona. Ancora oggi le imprese investono meno di quanto facevano all’inizio del decennio scorso.

Oltre a cio’, la crescita trainata dall’export è stata a spese dei nostri vicini. Che sono riusciti a vendere sempre meno merci sul prosciugato mercato tedesco. E cosi’ sono nati gli squilibri nei flussi di commercio e capitali. Mentre gli avanzi correnti tedeschi crescevano, i paesi in crisi rischiavano di affondare in un mare di debiti.

Nonostante questo miserabile bilancio, Angela Merkel è riuscita a rivendera la sua pessima politica economica come un successo. La responsabilità è anche di un’opposizione troppo addomesticata. SPD e Verdi in campagna elettorale non sono riusciti a smascherare la bugia del “miracolo occupazionale”. I dati attuali sulla disoccupazione e l’occupazione, anche secondo i socialdemocratici e i Verdi, sono una storia di successo. SPD e Verdi, alla fine, accusano la Cancelliera solo di aver raccolto quello che il governo di Schröder aveva seminato. La favola delle dure ma necessarie riforme economiche guida ancora il pensiero e l’azione rosso-verde.

E cosi’ la Cancelliera riesce a cavarsela. Gli squilibri nel mercato del lavoro, secondo la lettura di Merkel, sono solo l’effetto collaterale inevitabile di una politica economica favorevole all’occupazione. Merkel mette i cittadini di fronte ad una scelta: lavoro per tutti e un po’ piu’ di diseguaglianza, oppure salario minimo per legge e meno occupazione. In altre parole: buon senso economico versus lista dei desideri.

Ma la strategia di Merkel sta pagando. Sebbene la maggioranza della popolazione chieda un salario minimo garantito per legge, lo stesso stipendio per lo stesso lavoro, piu’ tasse per i ricchi e un’assicurazione sanitaria nazionale, la Cancelliera resta estremamente popolare.

Ma i sondaggi non sono ancora un risultato elettorale. Anche se siamo in dirittura di arrivo, si puo’ ancora dire che la politica di Merkel non solo divide il paese, ma è anche dannosa da un punto di vista economico. Stato e mercato non sono agli opposti. Al contrario: la regolamentazione del lavoro, del capitale e del territorio, sono un requisito ed una condizione necessaria per un buon sviluppo economico. Alla fine di settembre, gli elettori e le elettrici deciderano sulla direzione politica. E forse riusciranno a cantare “Time to say goodbye”.

mercedes

SALARI DA FAME ALLA DAIMER?

Un’inchiesta giornalistica della ARD accusa Daimler: dopo aver abusato del lavoro interinale per ridurre il costo del lavoro, adesso è il turno dei contratti d’opera. Con un salario inferiore ai 1.000 € netti mensili, i lavoratori alla catena di montaggio possono tirare avanti solo chiedendo un sussidio Hartz IV. Di fatto la spesa sociale dello stato serve a finanziare la produzione di auto di lusso. Da Handelsblatt.de

Un reportage della ARD accusa il gruppo Daimler di impiegare tramite un contratto d’opera manodopera a basso costo. Lavorano sulla stessa linea di montaggio accanto ai dipendenti Daimler – ma guadagnano meno della metà. L’azienda evita di rispondere alle domande.

Untertürkheim è il cuore del gruppo Daimler. Il presidente del gruppo Dieter Zetsche qualche anno fa ha riportato qui la sede centrale del gruppo, e qui si producono i pezzi di ricambio per l’ammiraglia del gruppo: la Classe S. Il nuovo modello sarà presentato mercoledi ad Amburgo in grande stile – in un hangar di Airbus. Si esibirà la cantante Alicia Keys e numerosi cuochi rinomati cercheranno di soddisfare ospiti illustri dal mondo della politica, dell’economia e dei media.

In pieno clima di festeggiamento la ARD lunedi ha mandato in onda in prima serata un reportage che getta un’ombra sulla stella della Mercedes. Il giornalista della SWR Jürgen Rose per l’occasione si è lasciato crescere la barba, si è messo un paio di occhiali ed è andato a lavorare alla catena di montaggio da Daimler. L’accusa del filmato: attraverso i subappaltatori Daimler impiega lavoratori con un salario cosi’ basso da rendere necessario un sussidio Hartz IV (aufstocken) per poter tirare avanti. Di fatto Daimler finanzia la produzione delle sue auto di lusso con il denaro dei contribuenti.

Rose racconta in prima persona e lo fa con molte riprese nascoste direttamente dalla fabbrica Daimler: come è stato assunto da un’agenzia interinale, affittato ad una società di logistica, per ritrovarsi il giorno dopo “da Daimler” alla catena di montaggio. Il suo compito: sollevare dal nastro trasportatore pezzi di motore da 12.5 kg, imballarli  e prepararli per la spedizione in Cina. E per fare questo viene pagato 8.19 € lordi l’ora dall’agenzia di lavoro interinale.

“Lavorare per Daimler” – questa frase da sempre equivale ad avere un buon posto di lavoro. Ed i dipendenti Daimler, ancora oggi, per un lavoro senza troppe pretese alla catena di montaggio hanno un salario orario estremamente buono di 17.98 € lordi l’ora, a cui si aggiungono le indennità per i turni. Jürgen invece per lo stesso lavoro riceve 8.19 € l’ora lordi.

La retribuzione oraria viene ripetutamente definita “stipendio da fame” – addirittura nel titolo della trasmissione (“Hungerlohn am Fließband“). Il filmato lancia una chiara accusa: sebbene la società di logistica a cui è stato affittato lavori per Daimler con un contratto d’opera, il giornalista sotto copertura lavora accanto ai dipendenti Daimler. E in realtà non dovrebbe essere subordinato alle istruzioni date dai dipendenti Daimler e nemmeno eseguire lo stesso lavoro, cosa che invece avviene regolarmente.

Nel suo ruolo fittizio di padre di famiglia con 4 figli ha diritto a prestazioni sociali per un valore di 1550 € al mese – molto piu’ del netto di 991 € che riceve per le 35 ore settimanali.

E questo è veramente discutibile: il contribuente tedesco ogni anno deve pagare 8.7 miliardi di Euro affinché persone come „Jürgen“, che guadagnano con un lavoro a tempo pieno 991 € netti al mese (1.220 € lordi), debbano ricevere 1.550 € di sussidio da parte dello stato. Soprattutto se le imprese annunciano nuovi bilanci con profitti record.

Quanto mostrato dal filmato è illegale, commenta l’esperto di mercato del lavoro Stefan Sell. Il presidente del consiglio di fabbrica Erich Klemm dice: “Se le cose stanno come mostrato dal filmato, non va affatto bene, e l’azienda dovrebbe intervenire immediatamente”. I portavoce Daimler e i manager non hanno voluto commentare davanti alle telecamere. E’ stato tuttavia citato un commento dell’azienda arrivato via email: sarebbero già in vigore linee guida molto chiare per i fornitori e per gli appaltatori, finalizzate ad escludere comportamenti illegali.

posto-fisso

DOV’E’ FINITO IL JOBWUNDER?

Il Jobwunder mostra il suo lato oscuro: cresce il numero degli occupati con un lavoro regolare che che per tirare avanti devono chiedere un sussidio allo stato. E’ l’ennesima socializzazione dei costi? E’ arrivato il momento di introdurre un salario minimo per legge? Da Süddeutsche Zeitung

I dati riaccendono il dibattito sul salario minimo: sempre piu’ persone in Germania hanno un lavoro a tempo pieno o part time coperto da un’assicurazione sociale, ma nonostante cio’ hanno bisogno di un aiuto pubblico. La nuova statistica presentata della “Süddeutsche Zeitung” mostra chiaramente: ad essere colpiti sono soprattutto i single.

Sono sempre di piu’ le persone che in Germania pur avendo un lavoro a tempo pieno o part-time guadagnano troppo poco per poter vivere con questo reddito. Il numero dei lavoratori coperti da un assicurazione sociale, con un salario lordo superiore agli 800 € lordi al mese, e che per tirare avanti hanno bisogno di un sussidio statale (Hartz IV), negli ultimi anni è cresciuto costantemetne. I dati emergono da una nuova statistica della Bundesagentur für Arbeit (BA).

I dati potrebbero riaccendere l’attuale dibattito sul salario minimo: secondo i dati della BA nel 2012 in media ci sono state 323.000 famiglie con un cosiddetto Hartz-IV-Aufstocker (chi riceve un’integrazione dallo stato), con un reddito lordo superiore agli 800 € lordi e con un impiego per il quale è previsto l’obbligo di assicurazione sociale. Nel 2009 erano circa 20.000 in meno.

L’aumento è evidente fra i single: il loro numero fra i percettori Hartz IV con un lavoro a tempo pieno o parziale è salito del 38 % e ha raggiunto 75.600. I lavoratori che devono integrare il loro stipendio lavorano soprattutto nel commercio, nella gastronomia, nei servizi sanitari e sociali oppure come interinali. In totale nel 2012 gli occupati percettori di un sussidio Hartz-IV erano cira 1.3 milioni, all’incirca lo stesso numero del 2009. La metà di questi ha solamente un mini-job.

Per Annette Kramme, portavoce della SPD per le politiche del lavoro, i dati mostrano che è necesssario introdurre un salario minimo stabilito dalla legge. Kramme prevede che il numero degli  “aufstocker” con un lavoro a tempo pieno crescerà ulteriormente a causa “di un ricorso eccessivo ai contratti d’opera”. La SPD e i sindacati chiedono l’introduzione di un salario minimo di 8,5 € l’ora valido per tutti. Unione e FDP vorrebbero invece introdurre un limite verso il basso in base alla regione e al settore.

Anche Stefan Sell, professore ed esperto di mercato del lavoro presso l’università di Coblenza, valuta in maniera negativa i dati sugli “aufstocker”. I datori di lavoro grazie all’aiuto dello stato “possono, a spese del contribuente, socializzare una parte dei loro costi salariali – e in questo modo ottenere un vantaggio nei confronti delle aziende che vogliono comportarsi secondo la legge”. Il Ministro federale per il lavoro Ursula von der Leyen (CDU) recentemente ha dichiarato che il reddito di un lavoro a tempo pieno dovrebbe essere sufficiente “per poter vivere dignitosamente”. “Retribuzioni di 3, 5 o 6 Euro l’ora” non dovranno piu’ esistere.

La Bundesagentur tuttavia non considera negativamente gli aufstocker: è sempre meglio avere un lavoro che essere completamente dipendente dagli aiuti dello stato. Inoltre,potrebbe essere la porta d’ingresso per un impiego con uno stipendio dignitoso, dichiara una portavoce di BA. L’aumento del numero di Aufstocker fra i single potrebbe avere anche a che fare con l’aumento degli affitti e con un aumento delle prestazioni Hartz-IV. “Maggiori sono i costi per l’alloggio e le prestazioni Hartz IV, tanto piu’ alto sarà il numero di persone che avranno accesso ai nostri sussidi, ma che in precedenza erano in grado di far fronte autonomamente al loro sostentamento”.

merkel

POVERA GERMANIA
E se la Germania fosse il paese con le diseguaglianze piu’ grandi di tutta l’Europa occidentale? Dopo la pubblicazione dei dati BCE sui patrimoni privati europei, continua il dibattito sulla ricchezza e la povertà in GermaniaDal blog jjahnke.net con dati BCE, OCSE, Destatis.de, Ministero Federale del Lavoro

I dati pubblicati dalla BCE sui redditi e i patrimoni nell’Eurozona documentano chiaramente il fallimento della politica sociale tedesca e una diseguaglianza sociale molto piu’ pronunciata rispetto a tutti gli altri paesi dell’Eurozona.

Il quintile piu’ povero in Germania ha un patrimonio netto negativo medio (cioe’ debiti) di 4.600 € e si trova nella parte piu’ bassa della classifica.

Il rapporto fra il patrimonio medio del 10% delle famiglie con il reddito piu’ alto e il patrimonio del quintile piu’ basso in nessun’altro paese è cosi’ sbilanciato come in Germania, il doppio della media dell’Eurozona.

Detto diversamente: al decile piu’ alto appartiene oltre il 59% di tutti i patrimoni, al contrario, al 60 % piu’ basso solo il 6.6 %. La media europea senza la Germania avrebbe un rapporto di 49.1% a 14.9%.

Insieme all’Austria, la distribuzione della ricchezza misurata dal rapporto fra il 10% piu’ ricco e il 60% piu’ povero in nessun’altro paese è cosi’ iniqua come in Germania.

La Germania ha anche la percentuale piu’ bassa di famiglie che possono permettersi una propria abitazione.

Con lo stupidissimo slogan politico “E’ sociale solo cio’ che crea lavoro” in Germania è cresciuto un ampio settore lavorativo a basso salario, in cui molte persone non possono vivere del loro lavoro e che per tirare avanti hanno invece bisogno di un sostegno da parte del governo. Il livello delle pensioni misurato in rapporto all’ultimo reddito da lavoro percepito, in nessun’altro paese Euro è cosi’ basso come in Germania.

Con la riduzione dell’indennità di disoccupazione ai soli 12 mesi previsti dalle leggi Hartz, i disoccupati tedeschi nel confronto internazionale sono messi relativamente male.

Nella classifica delle persone a rischio di povertà in Europa occidentale, la Germania si colloca nella parte bassa della classifica. In 11 paesi il rischio povertà è piu’ basso, solo nei 5 paesi in crisi e in Gran Bretagna è piu’ alto.

E’ proprio il caso di dire: povera Germania!

 

MA QUALE “POVERA GERMANIA

“Stato, aziende e uber ricchi schiacciano il ceto medio

Di Alessandro Proietti | 24.04.2013 10:07 CEST

‘Non chiedeteci di pagare per i Paesi del Sud Europa e per i loro debiti, noi siamo più poveri di loro’. La frase qui di fianco è recentemente diventata un vero e proprio motto per i tedeschi. Un leitmotiv del quale i teutonici hanno imparato ad abusarne ad arte. Il succo, secondo il loro punto di vista, è che non si può chiedere alcuno sforzo alla Germania per aiutare gli sconquassati Paesi del Sud dall’insostenibile debito. Non si può chiedere ‘maggior impegno’ proprio a loro che versano in condizioni peggiori delle nostre.

Ma da dove giunge questa storiella della ‘Germania povera’? Galeotto fu quel paper della Banca centrale europea che, come un fulmine a ciel sereno, se ne uscì mostrando -apparentemente nero su bianco- che la Germania compariva ultima nell’indagine circa la ricchezza netta degli households: possibile che le famiglie tedesche siano meno ricche di quelle spagnole, italiane, portoghesi? I media di certo non si sono fatti sfuggire la ‘news’ e si è subito creata la corrente di pensiero del ‘lasciate-stare-la-povera-Germania”. Corrente di pensiero che, però, non ha considerato tutte la carte in tavola.
Piccola premessa necessaria: la mediana è “il valore/modalità (o l’insieme di valori/modalità) assunto dalle unità statistiche che si trovano nel mezzo della distribuzione” (cit. Wikipedia). Questa specificazione era necessaria perché proprio il sottovalutare la differenza tra media e mediana conduce a quell’errore di valutazione che porta come titolo ‘La povera Germania’.
Tornando al documento della Bce, il vaso di Pandora della situazione, il grafico della mediana della ricchezza netta delle famiglie relegava -effettivamente- la Germania all’ultimo posto (nel gruppetto, in ordine di ricchezza: Belgio, Spagna, Italia, Francia, Paesi Bassi, Grecia, Finlandia, Austria, Portogallo e Germania). L’informazione che giungeva da tale statistica sosteneva che il valore che occupava la posizione ‘centrale’ fra tutti quelli presi in esame era, effettivamente, il più basso per la Germania. Le differenze con i ‘primi della lista’, poi, segnalavano importi superiori di tre o quattro volte rispetto alla ‘povera’ Germania. Anche la mediana greca quasi raddoppia quella tedesca.
I ‘poveri’ tedeschi non devono pagare per i ‘ricchi’ greci, giusto? No, non del tutto. Già il solo consultare un secondo grafico della Bce, (riguardante il valore medio e non la mediana), cominciava a mostrare una realtà differente: scatto in avanti della Germania che brucia, così, Portogallo, Grecia, Finlandia e Paesi Bassi. Questa seconda indicazione statistica, però, seppur complementare alla prima non ha riscosso lo stesso successo nei media.
Chiarito l’equivoco della ‘non-più-tanto-povera-Germania’, si potrebbe andare leggermente oltre con l’analisi dei grafici. Confrontando le due statistiche, media e mediana, si arriva ad una nuova conclusione: il rapporto tra le due misura -con buona approssimazione- la distribuzione della ricchezza nei vari Paesi.
Focalizzando rapidamente sul caso tedesco ecco la vera ‘sorpresa’: la differenza -la concentrazione della ricchezza nelle famiglie più ricche- è ‘massima’ in Germania. Battuto il resto d’Europa che ‘arranca’ rispetto alla Germania in questa statistica di cui c’è veramente poco di cui andar fieri. La ricchezza netta delle famiglie appartenenti al 20% superiore della mediana è circa settantaquattro volte quello del gruppetto (20%) ‘inferiore’ della mediana.
I più attenti, poi, sono andati oltre: se buona parte della ricchezza di una nazione passa per mani governative e/o nel settore ‘corporate’, le statistiche qui sopra non bastano. Ecco allora che viene preso in considerazione il flusso totale dello stock di capitale di ogni singola nazione e -sorpresa- i Paesi del Nord tornano a comandare la classifica circa la ricchezza pro capite in Europa. Germania, Paesi Bassi, Austria, Belgio, Finlandia più che raddoppiano i ‘valori’ di altri Paesi come Spagna, Grecia e Portogallo.
Ecco, allora, che di quella ‘povera Germania’ non resta che l’ombra. Il fulcro della questione è che, anche in Germania, in netto contrasto con il segmento ricco esiste una parte realmente ‘povera’ di popolazione; un gruppetto che, di certo, non è felice di vedersi usato dalla ricche famiglie tedesche (e dal segmento corporate teutonico) che cerca, in tutti i modi, di scappare da quell’aiuto che l’Europa chiede a gran voce a chi se lo può permettere.

 

Hartz IV, Ortstafel Deutschland

HARTZ, LA RIFORMA DEL LAVORO PERFETTA…MA SIAMO SICURI?

di Mario Grigoletti settembre 12, 2013

Seguendo il dibattito politico italiano, non è difficile notare i tanti paragoni, utilizzati spesso della nostra classe dirigente, tra il nostro Paese e gli altri membri dell’UE per giustificare o sponsorizzare quelle che ormai nel gergo comune vengono definite le “riforme essenziali”. Dalla politica energetica a quella del welfare, dell’ecologia all’uso dei mezzi pubblici, sembra che il nostro Paese sia l’asino della classe che tutto ha da imparare dagli studenti diligenti. Ora, questi paragoni non sempre sono fuori luogo, riteniamo che lo “shopping legislativo”, come lo definì l’ex Ministro Tremonti, sia salutare se all’estero si riescono a trovare formule che funzionano meglio e sopratutto che ben si adattano al nostro sistema Paese.Riforma Hartz IV

Una delle legislazioni maggiormente citata dalla nostra classe politica è quella che concerne il mercato del lavoro, la riforma Hartz, attuata in Germania tra il 2003 e il 2005 sotto il governo del cancelliere Gerhard Schröder. Questa riforma è stata attuata progressivamente attraverso quattro leggi: la prima è entrata in vigore il 1 gennaio 2003, la seconda il 1 aprile 2003, la terza il 1 gennaio 2004 e la quarta, la più importante, il 1 gennaio 2005. A grandi linee queste 4 leggi si possono descrivere così:

Hartz I. Attraverso questa prima legge sono state semplificate le procedure di assunzione e sono stati introdotti dei “buoni” per la formazione, nonché i job center (i nostri centri per l’impiego), dove vengono assegnati dei “consiglieri”, che seguono il processo di inserimento nel mercato del lavoro, e le agenzie interinali;
Hartz II. Il secondo step della riforma ha previsto l’introduzione dei contratti di Minijob, contratti di lavoro precari e meno tassati, e Midijob, contratti atipici che prevedono una retribuzione massima di 400 euro (non soggetti a contribuzione). Viene inoltre previsto il finanziamento di nuove forme di lavoro autonomo per i disoccupati (micro-imprese) e un maggior sostegno per gli over 50;
Hartz III. Il terzo atto ha visto la trasformazione dell’Ufficio Federale del Lavoro in Agenzia Federale per l’Impiego;
Hartz IV. La quarta legge è la più complessa e articolata perché prevede delle misure di inserimento e un sistema di assistenza economica unica al fine di ridurre la disoccupazione di lungo periodo.
Dal suo ingresso nella legislatura tedesca, nessun’altra riforma nella storia della Repubblica federale ha causato un’ondata di ricorsi al tribunale sociale tedesco come Hartz IV, dovuti a leggi e regolamenti poco chiari e ad una applicazione irregolare dei Jobcenter. Fino ad arrivare, nel febbraio 2010, alla Corte costituzionale di Karlsruhe che ha deciso che la riforma conteneva già un errore quando è stata approvata: non assicurerebbe il diritto ad una sussistenza dignitosa. Le controversie maggiori che accompagnano questa riforma riguardano:

l’accorpamento del sussidio di disoccupazione con il sussidio sociale nell’assegno minimo di sussistenza per persone in cerca d’impiego;

l’aumento delle occupazioni a bassa retribuzione e della precarietà;
il fatto che non si tiene conto se il disoccupato ha lavorato prima e per quanto tempo;
i minijobs non versano contributi e non hanno diritto né alla pensione, né all’assicurazione sanitaria;

1 Euro Job: accettare lavori socialmente utili, pagati un euro l’ora per non perdere i sussidi.
Ad oggi, a dieci anni dalla sua introduzione, la riforma viene salutata come un successo e la stessa Cancelliera Angela Merkel, non si ritrae nella attuale campagna elettorale nel sottolineare i risultati ottenuti nel mercato del lavoro: il numero degli occupati, con quasi 42 milioni di lavoratori, ha raggiunto un nuovo record, mentre la disoccupazione ha toccato il livello più basso degli ultimi 20 anni.

Quindi una riforma epocale che tutta Europa deve imitare? Un esempio a cui tendere per migliorare il boccheggiante mercato del lavoro italiano?

Non sembrerebbe proprio così. Una recente critica al sistema del mercato del lavoro tedesco e ai risultati del Jobwunder sbandierati dalla Cancelliera Merkel arriva direttamente da Dierk Hirschel, leader del sindacato dei servizi Ver.di, che in un recente articolo sul Frankfurter Rundschau sostiene che: “Una gran parte del presunto Jobwunder è il frutto di una pura redistribuzione del lavoro esistente. Se le aziende suddividono un lavoro a tempo pieno in tanti minijob e impieghi part-time, gli statistici di Norimberga sono felici: il numero degli occupati cresce. Dal 2000 ad oggi sono stati distrutti circa 1.5 milioni lavori a tempo pieno. In contemporanea le aziende hanno creato oltre 3 milioni di lavori part-time. Di conseguenza oggi fra Amburgo e Monaco non si lavora più di quanto si facesse 13 anni fa. Il numero delle ore di lavoro retribuito – il cosiddetto “volume di lavoro” – non è cresciuto. Inoltre, il presunto boom dell’occupazione non ha mai superato la portata di una ordinaria crescita congiunturale. Nella recente fase di ripresa – senza considerare la diversa durata della fase di crescita – l’occupazione non è aumentata più di quanto sia accaduto in passato.”

La crescita dell’occupazione, nata da un “gioco di numeri” viene confermata anche da uno studio francese del “Comitato di studi delle relazioni Franco-Tedesche” del 2010: “La riforma ha fatto cancellare milioni di persone dalle liste di disoccupazione solo per farle riapparire nelle liste di “lavoratori poveri”, che hanno lavori di meno di 15 ore settimanali, e pagati di conseguenza: anche meno di 400 euro mensili. Il sistema Hartz per questi “mini-jobs” e mini-salari, non prevede il versamento allo Stato dei contributi previdenziali e sanitari. Ciò ha incoraggiato molti datori di lavoro ad assumere mini-salariati sotto i 400 euro. Il lato sgradevole è che questi lavoratori, non contribuendo alla previdenza, non hanno pensione ne assicurazione sanitaria.”

Oltre a quello dell’occupazione, Hirschel evidenzia come un altro problema crescente sia quello degli squilibri all’interno del mercato del lavoro, che hanno portato la Germania al secondo posto al mondo per percentuale di lavoratori a basso salario, dietro solo gli USA: “Gli squilibri nel mercato del lavoro, sotto il governo Merkel, si sono ulteriormente aggravati. Circa un quarto degli occupati oggi lavora per meno di 9 € lordi l’ora. 1.4 miloni di tedeschi lavorano per un salario inferiore ai 5€ lordi l’ora. Una percentuale maggiore di lavoratori a basso salario c’è solo negli Stati Uniti.”

Sulla questione dei lavori a basso salario è intervenuto anche Gerhard Bosch, direttore dell’Institut Arbeit und Qualifikation dell’Università di Duisburg, in un articolo pubblicato dalla rivista on-line di analisi politica ed economica NachDenkSeiten. Il direttore Bosch, ricostruendo le cause che hanno portato alla svalutazione dei salari negli ultimi 15 anni in Germania, sottolinea come questa sia iniziata 10 anni prima delle riforme Hartz. Le cause principali, secondo Bosch, sono state due: la prima è stata la diversa politica dei datori di lavoro, che hanno approfittato degli alti tassi di disoccupazione per uscire dalle associazioni datoriali e non essere quindi più vincolati dai contratti collettivi. La seconda è stata la liberalizzazione di molti servizi pubblici (poste, ferrovie, trasporto locale) che ha portato sul mercato molti fornitori privati, non vincolati dai contratti collettivi, che hanno iniziato a fare concorrenza con pratiche di dumping salariale. In questo lungo processo le riforme Hartz hanno avuto un ruolo preciso: “Le riforme Hartz non sono state la causa di questo processo, ma hanno impedito una riduzione del numero di lavoratori a basso salario a partire dalla fase di ripresa del 2005. Le due forme di lavoro deregolamentate, interinale e mini-jobs, nel frattempo sono diventate sempre più diffuse: i lavoratori interinali sono cresciuti dai 300.000 del 2003 fino ai 900.000 del 2011, nello stesso periodo il numero di persone impiegate con un mini-job è cresciuto da 5.5 milioni fino a 7.5 milioni. Fra gli occupati con un mini-job, la quota di lavoratori a basso salario nel 2010 era dell’86%, fra gli interinali era pari a due terzi.”

Secondo sia Bosch che Hirschel la riforma Hartz non ha solo cambiato il mercato del lavoro tedesco. A seguito della svalutazione interna, la domanda domestica, e di conseguenza l’import, non hanno tenuto il passo dell’export, gli squilibri commerciali nell’Eurozona sono aumentati, creando le condizioni per la crisi Euro. Così l’impatto delle leggi Hartz ha finito per avere una dimensione europea. Bosch concludendo il suo articolo rende palese come un’eventuale adozione da parte degli altri Paesi UE di riforme del lavoro simili a quella tedesca sia matematicamente impossibile e non sia il viatico necessario per l’uscita dalla crisi, che invece passa dal cambio delle politiche d’austerità imposte dalla Germania stessa: “Come mezzo per affrontare la crisi Euro, il governo federale ha chiesto agli altri paesi europei di introdurre riforme del mercato del lavoro simili alle leggi Hartz. Questa politica, tuttavia, non può e non sarà applicata a tutti gli altri paesi, poiché solo abolendo le leggi della matematica è possibile che tutti i paesi abbiano dei surplus commerciali. Senza dubbio i paesi del sud hanno bisogno di aumentare la loro competitività. Ma la crisi che inghiotte l’Eurozona potrà essere superata solo se la Germania, l’economia più forte in Europa, si assume la responsabilità di creare crescita.”

 

 

 

 

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