CATALOGNA: LUCI ED OMBRE

di Josep Maria Antentas*

1. Dopo 5 anni di procés (n.d.r. il processo indipendentista catalano), in cui la magniloquenza gestuale dei suoi attori è stata proporzionale alla straordinaria lentezza dei fatti e alla loro costante volontà di evitare uno scontro decisivo con lo Stato, siamo arrivati finalmente al momento della verità. Non all’ultimo capitolo del film, ma sicuramente in un passaggio chiave per determinarne l’esito. “Il processo è terminato, ora comincia il Mambo”, ha riassunto la CUP con un’espressione felice questa evoluzione della situazione. Un mambo che, non dimentichiamocelo, sarebbe dovuto cominciare nel 2014, se il governo di Artur Mas non avesse fatto marcia indietro alla prima occasione nel novembre di quell’anno, rinunciando a tentare di realizzare il referendum (“consulta”, nel linguaggio di quei tempi) dopo la sua proibizione da parte del Tribunale Costituzionale.
Una scelta sbagliata che sorprendentemente incontrò appena la resistenza da parte degli altri attori del processo, con l’eccezione iniziale della ERC, i quali non hanno fatto alcun bilancio pubblico né hanno spiegato a nessuno le ragioni del cambio di direzione in questi ultimi tre anni.

2. L’approvazione della Legge del Referendum lo scorso 6 settembre ha segnato un punto critico di non ritorno. Da allora ufficialmente la Catalogna è entrata in una situazione di doppia legittimità, di un dualismo di legittimità e legalità in collisione, che naturalmente può essere solo temporaneo, prima di optare definitivamente verso una delle due. Ciò dipinge uno scenario di doppio potere istituzionale molto asimmetrico, balbuziente e diseguale (il potere delle istituzioni dello Stato e il potere delle istituzioni catalane auto-situatesi fuori dalla legalità statale). È opportuno sottolineare assolutamente il “molto asimmetrico, balbuziente e diseguale” per comprendere bene la congiuntura e non pensare che questo sia uno scontro tra poteri equivalenti o simili tra loro. Vi è una disuguaglianza tra essi di portata capitale. “Tra diritti uguali è la forza che decide” scrive Marx nel capitolo VIII del primo libro del Capitale, dedicato all’analisi della giornata lavorativa. Dimenticare questo fattore porterebbe a interpretazioni ingenue e illusorie sulla natura dello Stato (non di quello spagnolo nel concreto, ma dello Stato moderno capitalista in generale). Allo stesso tempo, è importante sottolineare che la forza non può essere separata dalla legittimità del potere che ne fa uso e dal contesto politico in cui opera. Legittimità e contesto determinano il grado nel quale questo potere la può utilizzare ed entrambi non sono variabili fisse, ma si evolvono con gli eventi. La forza bruta e la forza politica in un senso più ampio si mescolano tra loro continuamente.

3. Qualunque movimento deve essere capace di definire il mondo e le situazioni in termini favorevoli ai propri interessi, trasmettere fiducia nelle proprie possibilità di vittoria e nella credenza che i propri obiettivi siano perseguibili. Nella narrazione del movimento indipendentista si è abitualmente utilizzato il termine disconnessione per descrivere il processo di materializzazione unilaterale dell’indipendenza. Il concetto ha un tono piacevole, lontano da stridii e tensioni. Rifugge qualunque sensazione di conflitto e insicurezza. In questo senso ha giocato, probabilmente, un ruolo importante nel rendere credibile l’orizzonte strategico indipendentista. Ma al prezzo di semplificare enormemente l’analisi della complessità del suo progetto e di ciò che significa scontrarsi con uno Stato. L’idea di disconnessione ci rimanda allo spegnimento indolore di un circuito elettrico. C’è una scena famosa del film 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick che illustra molto bene come disconnettersi da un potere superiore. Avviene nella parte del film Missione a Giove, ambientata nell’anno 2001, quando il Discovery si dirige verso il grande pianeta gassoso. Dopo aver riscontrato anomalie nel comportamento di HAL 9000, il supercomputer incaricato del controllo della navicella, gli astronauti Dave Bowman e Frank Poole decidono di disconnetterlo. Dopo la morte di Poole, risultato delle azioni HAL, Bowman riesce ad accedere alla sala dove si nascondono i circuiti centrali della macchina e poco a poco disattiva il computer, che va gradualmente perdendo la coscienza, retrocede all’infanzia e prima di spegnersi finisce a cantanre una canzone da bambini, Daisy Bell. il grande Leviatano che controllava la nave, un supercomputer umanizzato, è morto.
Contrariamente a questa immagine, nella realtà non è possibile disconnettersi da uno Stato. Semmai è possibile rompere con lo Stato dopo uno scontro. L’idea di disconnessione, paradossalmente, pur essendo molto diversa ricorda su questo punto le teorie dell’esodo alla Negri, che sono state molto in voga nelle ultime due decadi, ma in questo caso non propugnando un esodo per creare spazi liberati non statali, ma per creare un altro Stato. Tuttavia, non esiste una disconnessione piacevole da uno Stato contro la sua volontà. Può esistere, oltre ai casi risolti attraverso uno scontro militare, una rottura come conseguenza di un intenso tira e molla e di scontri politico-sociali di massa determinanti che, interconnessi con la geopolitica internazionale, forzino una accettazione da parte di uno Stato di un esito democratico della contesa contrario ai suoi interessi. Ma tutto questo ha molto poco a che vedere con l’immaginario strategico con cui ha giocato l’indipendentismo fino ad ora. Da qui l’importanza capitale di ciò che avviene in questi giorni. Di quanto fondamentale risulti che il governo catalano e i suoi alleati seguano in avanti fino all’ultimo respiro e di quanto diventi imprescindibile l’entrata in scena della mobilitazione popolare sostenuta, in forma di eccedenza cittadina.

4. Il movimento per l’indipendenza è stato caratterizzato da un aspetto di massa e da una continuità rilevanti, sotto la bacchetta della Assemblea Nazionale Catalana (ANC). Dal 2012 si è espresso regolarmente ogni 11 di settembre, con manifestazioni metodicamente pianificate, alle quali seguiva un intervallo temporale con molta poca presenza nelle strade fino all’appuntamento dell’anno successivo. Dietro ogni 11 settembre c’è una organizzazione reale di base, in ogni paese e in ogni quartiere, per quanto assolutamente dipendente dalla direzione politica della stessa ANC (e in misura minore da Òmnium). In questi cinque anni il movimento ha avuto molta poca capacità spontanea dal basso e di eccedere le stesse organizzazioni che lo dirigono e ciò ha pesato in maniera negativa in vari momenti. L’impossibilità di generare alcun tipo di pressione oltre quella realizzata ufficialmente dalla ANC nelle settimane precedenti alla consulta del 9N, tanto per impedire l’azione dello Stato quanto per impedire la marcia indietro del governo catalano, ne è l’esempio più chiaro. Gli eventi del dello scorso 20 Settembre di fronte alla brusca intensificazione dell’escalation repressiva dello Stato segnano un drastico cambio di ritmo e di logica. Il movimento ha assunto una dinamica relativamente più pungente, vitale ed elettrizzante; più concentrata sulla mobilitazione costante. Una nuova fase compatibile con l’accento strategico intelligente sulla non-violenza che lo ha caratterizzato fin dai suoi inizi. ANC e Òmnium giocano il ruolo di leadership su ciò che succede in questi giorni, ma il loro stile è più favorevole a una mobilitazione contenuta che all’eccedenza cittadina dal basso e questo toglie abbrivio nei momenti chiave.
La grande sfida delle prossime giornate è esattamente come combinare il ruolo di leadership, che nessuno mette in dubbio, di queste due organizzazioni, con la necessaria “15M-izzazione” esplosiva del movimento. Non possiamo ancora valutare la portata della risposta che è cominciata lo scorso 20 settembre. È chiaro che è stata molto importante e che ha cambiato i toni dell’ambiente. Ma può stabilizzarsi così o essere il punto di lancio di un’esplosione generalizzata prima del giorno 1, o durante lo stesso, se ci saranno nuove azioni repressive.

5. In questa congiuntura chiave emerge con forza il limite politico fondamentale di tutto il processo indipendentista: l’avere dissociato la proposta di Stato proprio da un piano concreto di emergenza sociale e rigenerazione democratica. In altre parole la sua mancanza di legame con l’eredità, il significato e l’agenda di ciò che è stato il 15M nel 2011. Entrambi i movimenti hanno galvanizzato e rappresentato parti diverse del popolo della Catalogna. Il popolo delle piazze del 2011 non è lo stesso che il popolo del procès, il popolo del processo indipendentista. Nonostante ci siano sovrapposizioni parziali importanti che non possono essere dimenticate. Il farlo implicherebbe una lettura troppo manichea della realtà. In Catalogna parte delle classi medie e della gioventù precarizzata hanno preso parte al 15M e alle opzioni politiche che sono nate grazie adesso (Podem, Catalunya en Comú). Un’altra parte ha finito per optare per l’indipendentismo nelle sue diverse varianti. E, è chiaro, un’altra ha continuato a oscillare tra le due, rappresentando un debole legame tra questa biforcazione di scenari che incarnano l’indipendentismo da un lato e il 15M e la sua eredità dall’altro. Però il 15M, oltre la sua componente di gioventù studentesca precarizzata e del ruolo primordiale delle classi medie colpite dalla crisi, ha visto anche una dimensione di quartiere, una componente popolare e lavoratrice, in un’epoca di decomposizione del movimento operaio come tale. Questa è la principale mancanza del processo indipendentista. Questo è il tallone di Achille centrale del movimento, che si vede ostacolato dalla debolezza che porta in seno di un settore sociale fondamentale tanto dal punto di vista quantitativo quanto qualitativo, tanto numerico quanto strategico. E, non c’è bisogno di dirlo, è stata la principale fonte di controversie e grattacapi di tutte le famiglie della sinistra catalana (utilizzino o no tale ocncetto per definirsi), tanto che stiano dentro il processo indipendentista, quanto al di fuori. Risulta tanto sbagliato minimizzare questo problema o far finta che non esista, cosa che a volte ha tentato di fare l’indipendentismo di sinistra, quanto utilizzarlo come pretesto per rimanere fuori dal movimento apertosi nel 2012 e, con ciò, finire in realtà per peggiorare la situazione, come ha fatto il mondo di Catalunya en Comú.
In questo senso, le diverse iniziative messe in campo da alcuni settori del movimento sindacale, parallelamente all’attivismo sociale alternativo, risultano di particolare importanza: dalla decisione dei portuali del porto di Barcellona di non servire le navi che ospitano gli agenti della Guardia Civile, trasferiti da altre parti dello Stato, fino all’annuncio della convocazione di uno sciopero generale (per quanto possa essere propagandistico) per il 3 ottobre, da parte di vari sindacati minoritari.

6. Nata formalmente nel marzo del 2012, la Assemblea Nazioanle Catalana (ANC) si dotò di una tabella di marcia strategica verso l’indipendenza, basata sulla costruizione di un moviemento trasversale e plurale, articolato solamente attorno all’obiettivo dell’indipendenza. Questo indipendentismo puro e semplice ha avuto una innegabile capacità di aggregazione, nonostante fosse di per sé stesso un limite strategico fondativo per il nascente moviemnto, tanto dal punto di vista del suo obiettivo dichiarato (l’indipendenza), quanto dal punto di vista dell’utilità di questo obiettivo per aprire le porte a un cambiamento sociale e democratico (un obiettivo grandemente condiviso da molti facenti parte del moviemnto). Retrospettivamente, senza cadere nella nostalgia di ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, non è di troppo domandarsi come sarebbero andate le cose se il movimento avesse accompagnato la consegna dell’indipendenza nel 2012 con un programma di base su emergenza sociale e rigenerazione democratica. La risposta è chiara: la destra catalanista e il governo di Artur Mas si sarebbero sentit ancora più scomodi nei confronti dello tsunami indipendentista ma non avrebbero potuto smarcarsi da esso; e l’appoggio al procés si sarebbe allargato sul versante popolare e dei lavoratori. Per le organizzazioni politiche tradizionali della sinistra (e a partire dal 2014 per le nuove che furono create) e i sindacati, sarebbe stato molto difficile rimanerne al di fuori. Ossessionati dal non perdersi la destra catalana per strada, i promotori del movimento indipendentista nei suoi preparativi non hanno prestato sufficiente attenzione alla necessità strategica di assicurarsi la partecipazione a questo della sinistra politica e sociale non idipendentista. Però, invece di utilizzare i suddetti limiti fondanti della dinamica aperta nel 2012 come giustificazione di una politica passiva, è più strategico utilizzarli come stimolo per relazionarsi attivamente con essa e contribuire a ridurre lo spazio della destra al suo interno. La politica di attesa passiva dimentica, inoltre, un’altra questione decisiva: un momento di intensificazione del conflitto tra Stato e indipendentismo come quello che sta avvenendo in questi giorni rappresenta anche una congiuntura chiave per tentare di cambiare la relazione di forze al suo interno verso sinistra, per tentare di far sì che i settori più combattivi guadagnino protagonismo in uno scenario in cui le forze dell’ordine dentro l’indipendentismo si muovono peggio di quelle di rottura, con la CUP in testa.

7. Attorno all’appuntamento del 1-O si giocano due elementi: l’esercizio del legittimo diritto all’autodeterminazione del popolo catalano e il futuro del Regime del ’78. Ci sono due battaglie in una, che si incrociano e alimentano a vicenda partendo da una propria autonomia. Non possono dissolversi e fondersi semplicemente, ma nemmeno essere separate completamente in termini strategici. Lì è dove possono parzialmente convergere gli interessi dell’indipendentismo e delle forze dell’ambito statale (e le loro alleate catalane) che sono dalla parte di una rottura costituente con il regime del ’78. L’indipendentismo catalano non ha dato dal 2012 sufficiente importanza alla ricerca di alleati statali, ma l’incremento della repressione dello Stato ha provocato un tardivo cambio di atteggiamento. Le manifestazioni spontanee di solidarietà provenienti da fuori della Catalogna hanno iniziato ad essere molto ben considerate e apprezzate, per quanto il loro potenziale strategico si è visto troppo tardi e continua a non essere bene integrato nella politica globale del movimento. Dalla loro parte, le iniziative di ambito statale che stanno promuovendo Unidos Podemos e Catalunya en Comú, come l’incontro di cariche pubbliche la scorsa domenica 23 a Saragozza, hanno il merito di denunciare chiaramente la repressione e il colpo di mano dello Stato in Catalogna. La loro insistenza sulla necessità di un referendum concordato con lo Stato è utile per difendere la legittimità del diritto all’autodeterminazione. Ma la proposta nasce mutilata di tutto il potenziale strategico per l’essere disconnessa da un appoggio reale al 1-O. In questo modo, si manca l’appuntamento del presente, in nome di un’incerta proposta per il futuro e si offre un messaggio di ambiguità e titubanza in un momento critico, come se ciò che accade adesso non avesse alcuna ripercussione sul periodo successivo. L’escalation repressiva ha accentuato la connessione tra il processo indipendentista catalano e la crisi del regime. La questione democratica, se lo Stato prosegue nella sua logica autoritaria, può essere la chiave per far oscillare l’opinione pubblica spagnola. Questo faciliterebbe l’ampliamento della solidarietà politica con la Catalogna da parte delle forze politiche e sociali delllo Stato Spagnolo e la sua comprensione strategica del potenziale degli eventi catalani per una rottura costituente con il quadro del ’78. Ma la questione democratica, se si dispiega in tutta la sua profondità, necessita una corretta comprensione della questione nazionale catalana da parte delle forze politiche e sociali dello Stato spagnolo.

8. L’intensificazione delle misure repressive e l’accrescersi della tensione politica rendono manifesta ancora una volta la debolezza della posizione politica adottata da Podemos e Catalunya en Comú rispetto all’1-O, ossia l’appoggiarlo come una mobilitazione legittima, senza riconoscerlo come un referendum, a fronte della mancanza delle necessarie garanzie formali. Non ha alcun senso impelagarsi in un dibattito aprioristico su se al 1-O manchino garanzie o meno. Questo si vedrà alla fine, se si riuscirà a celebrare. La questione decisiva è comprendere, cosa che disgraziatamente non hanno fatto Catalunya en Comú e Podemos, la necessità di puntare a tutto, tanto se si pensa che sia possibile realizzare un referendum contro la volontà dello Stato, quanto se si crede che a queste condizioni non si andrà più lontano di una mobilitazione. È l’impegno da parte del governo catalano e dei suoi alleati politici e sociali a realizzare il 1-O a tutti i costi ciò che ha sbloccato l’attuale crisi politica. È la determinazione di coloro che difendono il 1-O ciò che la sta intensificando. Decretare in anticipo che il 1-O è una mera mobilitazione e non mettere tutta la carne al fuoco affinchè riesca bene, lo depotenzia in partenza come elemento precipitatore di una crisi politica e istituzionale determinante. È per questo che le timidezze riguardo all’appuntamento del 1-O mostrano non solo i loro dubbi nei confronti del processo indipendentista, ma una perdita di spinta del profilo costituente e di rottura di Unidos Podemos e Catalunya en Comú.

Giorni decisivi quindi. Giorni di settembre che scuotono la scoietà catalana e quella spagnola. Giorni di settembre ai quali, senza dubbio, seguiranno altrettanto intensi giorni di ottobre.

*Fonte: http://vientosur.info/spip.php?article13036
Traduzione di Marta Autore.

Tratto da: www.communianet.org

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