DI PESTE O DI COLERA?

Francia: peste o colera?

di Paolo Gilardi 

Mi scusi, ma cosa vuole? Che scelga fra la peste ed il colera?

E’ quanto rispondeva l’altra sera ad una giornalista della rete pubblica France-deux un macellaio di un paesino di provincia, da qualche parte in Francia.

Una frase, una battuta, che riassume il dilemma di centinaia di migliaia di francesi, chiamati alle urne la prossima domenica per scegliere il successore di François Hollande: l’ereditiera del partito -e dei miliardi- del fascista Jean-Marie Le Pen o quel giovanotto nato con un cucchiaino d’argento in bocca che fu, prima di essere promosso al ministero dell’economia nel governo “socialista” di Hollande, alto funzionario presso la banca Rothschild?

Peste o colera? L’ordine se non proprio nero ma grigio scuro scuro o quello delle banche?
Mica facile.

Non é la prima volta

Eppure, non é la prima volta che, in Francia, la partita per la presidenza si fa senza la squadra dalla maglietta rossa (o perlomeno rosa), quella di un partito della sinistra.

Già nel 2002, l’eliminazione al primo turno delle elezioni del premier “socialista” Lionel Jospin aveva inaugurato uno scontro inedito fra un rappresentante delle destre tradizionali, Jacques Chirac e Jean-Marie Le Pen, l’eroe dell’estrema destra nostalgica dei tempi delle colonie e ammiratore di Pétain e del terzo Reich. Senza sorprese, Chirac vinse diventando, grazie a quella situazione, il presidente più gettonato della quinta repubblica con l’82% dei voti, davanti a De Gaulle e a Mitterrand.

Quindici anni dopo, rieccoci con un candidato del cosiddetto arco repubblicano, il Golden boy Macron, opposto a Marion Anne Perrine, detta Marine, la figlia ed erede di papà Le Pen. Bis repetita? Mica tanto.

Innanzitutto, nel 2002, l’avversario del vecchio Le Pen, Jacques Chirac era il candidato ufficiale delle destre, del suo partito d’allora, il Rassemblement pour la république (RPR): a lui andavano spontaneamente i voti dell’elettorato borghese tradizionale e dell’elettorato centrista. Avrebbe vinto anche senza la benedizione – ed i voti – della sinistra, moderata ed estrema.

Orfana, non di Fillon ma di un progetto organico

Oggi, invece, le cose stanno differentemente. Il candidato naturale del partito maggioritario delle destre, quel François Fillon promesso a fine novembre ad un avvenire presidenziale, è inciampato nel tappeto degli “affaires” ed oramai fuori gioco. Per chi voterà la destra tradizionale? Malgrado le conversioni recenti alla causa di Macron di molte personalità di destra – con un portafoglio ministeriale quale ricompensa? –  i sondaggi continuano ad indicare che più di un terzo di chi votò Fillon al primo turno voterebbero Le Pen, mentre un altro terzo sembrerebbe propenso all’astensione.

E’ probabilmente l’adesione di settori non secondari del padronato al voto “bleu Marine”che potrebbe spiegare il mezzo voltafaccia della figlia Le Pen in materia di uscita dall’Euro.

Fieramente brandita durante la prima fase della campagna, la promessa dell’uscita dalla moneta unica ed il ritorno al franco nei sei mesi seguenti l’elezione é diventata in questi ultimi giorni sempre meno promessa e sempre più ipotesi. In quel che sembrerebbe un accesso di panico, ha ammesso la Le Pen che il ritorno al franco potrebbe combinarsi con l’euro per le transazioni internazionali.”In fondo, ha sparato l’altra sera in tivù, di paesi con due monete ce n’é tanti, Cuba, per esempio!”

Chiaramente, capriole del genere in materia monetaria non hanno di che rassicurare il grande padronato francese. Pur senza prendere posizione pubblicamente – e contribuire a cristallizzare il rifiuto popolare del candidato Macron – la parola del MEDEF, la Confindustria francese, é più che mai vangelo nei media, tanto pubblici che privati.

Resta comunque il fatto che, come in altre cittadelle capitaliste, la borghesia non dispone più di forze politiche, organiche nel senso gramsciano, capaci di assicurarle quella stabilità tanto indispensabile agli affari.

Alla luce degli “affaires” – l’arricchimento personale di Fillon, le procedure penali contro Sarkozy, gli scandali delle retrocommissioni sulle armi e via di seguito – appare sempre più chiaramente che quella destra senza più complessi dopo la sconfitta storica del movimento operaio alla fine degli anni ottanta del secolo scorso, si è permessa tutto ed anche un po’ di più.

Business as usual: la stabilità per fare affari

Sollevata dalla necessità di far fronte al movimento operaio, la borghesia si é essa stessa frammentata inseguendo i profitti immediati – tanto più apprezzabili vista l’attuale sovraccumulazione di capitali – più che un interesse generale di classe. Viene così meno un blocco sociale dominante garante di stabilità capace di governare – un processo speculare alla disintegrazione del mondo del lavoro – e si apre la strada alle avventure come potrebbe essere quella della Le Pen.

E ciò spiega lo stillicidio, 24 ore su 24, di analisi dotte sull’inconsistenza, reale, del programma economico della bionda signora. Il dilettantismo dei quadri FN non si riduce però alle proposte monetarie: al di là di un comune e rancio zoccolo ideologico che resta profondamente radicato nella tradizione dell’ultra-destra, l’impreparazione della sua squadra salta agli occhi.

Rispetto al programma di papà Jean-Marie, il preteso sdoganamento del Front National non é che polvere negli occhi: solo la reintroduzione della pena di morte – papà la voleva, non la figlia – separa significativamente il programma del 2002 dall’attuale. Però, i successi recenti hanno aperto le porte ad arrivisti di ogni genere, capaci di portare alla testa del partito FN – la Le Pen ha rassegnato le dimissioni per poter “portare le speranze di tutta la Francia” – un negazionista ammiratore del Cancelliere Hitler, prima di farlo dimettere due giorni dopo. E capaci pure di mettersi in tasca sovvenzioni locali e beni pubblici…

Ed é qui che, da un punto di vista del bisogno di stabilità nella gestione degli affari, il progetto Macron comporta punti deboli. Infatti, malgrado l’ortodossia liberista dell’enfant chéri di Hollande e del mondo finanziario, la sua più grande difficoltà sta nel fatto di non disporre di strutture politiche di potere che gli permettano, al di là del ricorso ai decreti-legge come metodo di governo, di disporre di una maggioranza stabile.

D’altronde, Macron rivendica in parte la volontà di governare tramite decreti, lo sforzo di “modernizzazione del paese” autorizzando la presa di un certo numero di libertà con i principi democratici e costituzionali. Ed é, a questo titolo, il cavallo vincente del grande padronato, il solo dei due capace di garantire una certa stabilità sociale.

C’é poi da dire che, di fronte alla demagogia anti-europea della Le Pen – che sta però, poco a poco, mettendo tanta acqua nel suo vino al punto quasi di non sentire più il gusto dell’uva – la professione di fede europeista di Macron e dei suoi seguaci rassicura un grande padronato francese molto inserito nel processo europeo.

A questo titolo, é da sottolineare il fatto che, malgrado il bassissimo indice di gradimento manifestato per l’Europa unita dall’elettorato, il candidato delle banche non perde un’occasione per vantare la “costruzione europea”.

Così, ieri mattina, per esempio, in un’intervista radiofonica di un poco meno di 3 minuti, l’ex ministra dell’ecologia del governo Fillon, Corinne Lepage, portavoce oggi di Macron, ha pronunciato la parola “Europa” ben diciotto volte! Le ho contate! A prova che l’integrazione europea – con tutto quel che significa in termini di riduzione delle norme sociali comuni – é un caposaldo per la grande borghesia francese.

E’ quindi anche nella prospettiva di questa politica, se Macron fosse eletto, che si pone il problema – il dilemma – del voto di domenica. La peste, no, ma il colera chi lo vuole?

Che spreco!

Tornando al paragone con la sorpresa del 2002, la situazione creatasi con il voto del primo turno registra un fatto nuovo e non secondario: l’enorme risultato della France Insoumise, il movimento di Jean Luc Mélenchon che ha registrato quasi il 20% dei voti. Malgrado una confusione ideologica degna di nota, malgrado gli sbandieramenti tricolori – poche eran le bandiere rosse ai comizi – non é cosa da poco che quasi sette milioni di francesi abbiano votato per lui.

Il suo sprint durante le ultime settimane prima del primo turno aveva addirittura fatto credere alla possibilità della presenza di Mélenchon al secondo turno, contro la candidata dell’estrema destra. La sua eliminazione è stata fonte di delusioni fra i suoi elettori, fra i militanti della France insoumise. A ciò s’aggiungono il tergiversare dello stesso Mélenchon in materia di voto per il secondo turno. E’ di oggi, cioè a quattro giorni dal voto, la scelta della maggioranza della France Insoumise in favore della scheda bianca o dell’astensione.

Ed é qui che probabilmente é stato in parte dilapidato il risultato del primo turno. Come sottolinea giustamente Edwy Plenel, l’ex redattore di Le Monde e fondatore di Mediapart, il giornale elettronico di altissima qualità, Mélenchon disponeva, all’indomani del primo turno e grazie ai suoi 19,5% di una legittimità tale – vista anche la batosta del candidato socialista – da permettergli di lanciare un appello pubblico ai sindacati, alle forze sparse di sinistra, ai movimenti, alla galassia dei micro-mini movimenti.

Un appello ed un invito ad organizzare la mobilitazione sociale, unitaria, già il primo maggio, contro l’estrema destra ed i diktat dell’Unione europea, per la soddisfazione dei bisogni fondamentali della popolazione: proibizione dei licenziamenti, nazionalizzazioni, aumento dei minimi salariali e delle pensioni, politiche della casa e dei trasporti, transizione ecologica, uscita dal nucleare. Avrebbe permesso, al di là delle contingenze istituzionali, uno sbocco sociale unitario non nelle urne, ma nelle piazze.

Invece, ciò non é stato. In una logica puramente istituzionale – mantenere la specificità dell’elettore della France Insoumise, solo contro tutti, nell’attesa delle legislative di giugno – la trasformazione di quella forza elettorale in potenza sociale non c’é ancora stata.

Ed é così che, domenica, il nostro macellaio dovrà decidere: se scegliere il colera contro la peste ed andare a votare oppure d’andarsene, per una volta, a pescare…

2 maggio 2017

Potrebbe piacerti anche Altri di autore