SCIENZIATI CONTRO TRUMP

di F.Giusti

La Presidenza Trump dal primo momento del suo insediamento si è posta un obbiettivo primario da colpire; la politica a favore del clima che Obama ha condotto durante la sua amministrazione, sebbene con tutte le sue debolezze e contraddizioni.

Obama, all’interno di una logica di capitalismo “verde”,  si era persino spinto a firmare gli accordi di Parigi della Cop21, per altro riuscendoci solo perchè non era necessario alcun passaggio parlamentare. Un accordo che comunque è rimasto sulla carta in quanto non prevedeva meccanismi capaci di obbligare le 193 nazioni che l’hanno sottoscritto ad attuarlo per cercare di limitare l’aumento della temperatura oltre la soglia dei 2°C.

Trump al contrario ritiene tutti gli “allarmismi“ climatici delle “stronzate” (1) e le sue prime mosse si sono rivolte proprio contro gli scienziati che studiano i cambiamenti climatici. Negli Usa molti di questi scienziati lavorano alla NASA e  quindi la nuova amministrazione sta cercando di fermare il programma di ricerca della NASA sul cambiamento climatico. Per fare tutto questo non evita di mettere a tacere gli allarmi climatici e vietare ai ricercatori e alle ricercatrici dipendenti dai bilanci statali di  comunicare direttamente la loro ricerca al grande pubblico.

Al climatologo James Hansen, già colpito da censura durante la presidenza di George W. Bush, insieme a centinaia di altri scienziati e a sette diverse agenzie federali è stato ordinato di non usare il termine “riscaldamento globale”.

Inoltre è stato loro intimato di non diffondere al pubblico i dati da loro raccolti – incluse le informazioni che hanno conseguenza diretta per la salute delle persone e per quella del pianeta – se non dopo essere state sottoposte ad un controllo politico.

Un altro asse su cui si muoveva la politica ambientale di Obama era la riduzione delle emissioni di CO2  attraverso l’agenzia per la protezione Ambientale  (EPA – Environmental Protection Agency).

Obama aveva previsto un piano  per ridurre le emissioni di carbonio degli Stati Uniti del 26-28% rispetto ai livelli del 2005, entro il 2025.

Qualunque fossero le sue ambizioni, l’iniziativa sul clima di Obama è stata però di gran lunga inferiore alle necessità. Ben altre infatti sono le riduzioni delle emissioni che dovrebbero introdurre gli stati ricchi e che risultano necessarie all’umanità per mantenere un rapporto con il clima sicuro e protetto.

Questo modestissimo obiettivo non ha però fermato Donald Trump  dal mettere un suo uomo a capo dell’Agenzia. La persona designata da Trump a capo dell’EPA, Scott Pruitt (2), ha trascorso infatti gran parte della sua carriera combattendo l’Agenzia che ora è chiamato a guidare. E’ come aver messo la volpe nel pollaio, ma non è solo questo: la squadra del nuovo presidente è piena di “venditori di confusione climatica”  legati al settori dei combustibili fossili (carbone, petrolio, gas …).

In nome della produttività il nuovo presidente degli Stati Uniti inoltre ha di fatto rilanciato la costruzione del gasdotto “Keystone XL and Dakota” (3), che la mobilitazione sociale a fianco dei popoli indiani, anche grazie ad aspre lotte, aveva imposto un fermo.

Inoltre,  ha promesso di abolire le disposizioni per l’efficienza energetica dei motori automobilistici e di considerare favorevolmente tutte le condizioni che i costruttori avrebbero proposto per rilanciare  i loro investimenti negli Stati Uniti.

Non è un caso che un editoriale di Nature, una delle più importanti riviste scientifiche del mondo, con il titolo “Gli scienziati devono lottare per i fatti”, descrive il piano energetico dell’Amministrazione Trump come “un prodotto di cinismo e avidità” per la sua totale e diretta adesione alle posizioni delle lobby del settore dei combustibili fossili.

Nei mesi seguenti alle elezioni gli Stati Uniti sono stati attraversati da molte manifestazioni di protesta; per i diritti civili, contro il bando sull’immigrazione e ultime, solo in senso temporale, le grandi manifestazioni delle Donne con la Women’s March (4) del 21 gennaio, dove più di un milione di donne hanno sfilato nelle strade di Washington, e che è stata seguita dallo sciopero lanciato dalla coalizione argentina  “Ni una Menos”.

Sull’onda di queste importanti manifestazioni è stato proposto di allargare la resistenza anche sulle questioni ambientali, visto appunto le politiche negazioniste di Trump. Infatti, mentre siamo sul punto di un cambiamento irreversibile del clima; mentre l’accumulo di ricchezza non è mai stata così grande e così disuguale; considerando che la politica ambientale e sociale potrebbero garantire il lavoro e fornire un reddito dignitoso a tutti e tutte,  la protezione del lavoro risulta chiaramente un pretesto per una politica insensata di sostegno ai combustibili fossili e agli interessi ad essi legati.

E’ chiaro ormai che l’unica economia degna della nostra specie è quella che si prende attentamente cura della Terra al fine di garantire  a tutti i suoi abitanti comprese le generazioni future e ai suoi  ecosistemi le migliori condizioni d’esistenza.

Ma questi ecosistemi, sempre più fragili, continuano ad essere minacciati dall’attuale sistema economico, dal saccheggio delle risorse e dalla devastazione del pianeta, per la  competizione e per l’immediato e massimo profitto.

Di fronte ai deliri di Trunp e delle lobby che lo sostengono, negli USA è stato proposto, a partire dagli scienziati sotto attacco della Casa Bianca, di dedicare 2 giornate di mobilitazione intorno alle questioni ambientali, contro il negazionismo climatico, contro lo sfruttamento delle risorse naturali; quella del 22 Aprile e quella del 29, rispettivamente la Giornata della scienza  (5) e la Giornata mondiale della terra.  Molti scienziati in Europa hanno raccolto questo invito,  in particolare francesi e belgi, fra cui Daniel Tanuro  (7) per replicare anche nel nostro continente queste date di sensibilizzazione e, dove possibile, di mobilitazione.

La necessità di organizzare una resistenza al trumpismo anche nell’ambito ecologico è un tassello importante anche per la costruzione di una lotta contro il sistema capitalista dei combustibili fossili, un tassello verso quella rivoluzione ecologica necessaria che come ecosocialiste ed ecosocialisti  sosteniamo.

Note

1.Tweet di Trump: “Questa stronzata molto costosa sul RISCALDAMENTO GLOBALE deve finire. Il nostro pianeta si sta  congelando, le temperature sono al minimo storico, ed i nostri scienziati sono bloccati dal ghiaccio. Donald Trump, 2 gennaio 2014

2. Procuratore generale dell’Oklahoma, Scott Pruitt in un dibattito negò in maniera esplicita il cambiamento climatico e ha scritto nel 2016 che il dibattito sul cambiamento climatico  era “tutt’altro che risolto.” Ignorando il consenso del 97 per cento tra gli scienziati sull’origine antropica del cambiamento climatico, Pruitt ha affermato che “gli scienziati continuano a non essere d’accordo circa il grado e l’entità del riscaldamento globale e la sua connessione con le azioni del genere umano. “

3. https://www.nytimes.com/2017/01/24/us/politics/keystone-dakota-pipeline-trump.html?_r=0

4. https://www.womensmarch.com/

5. http://www.earthday.org/

6. https://peoplesclimate.org/

7.  Firmatari dell’appello per le giornate di mobilitazione: Mateo Alaluf, sociologa, ULB; Philippe Baret, professore Agro­Louvain, UCL; Leon Brenig, fisico, professore emerito presso l’ULB; Antoinette Brouyaux, Associazioni 21; Marijke Colle, ecofemminista; Thibaut Demeulemeester, biologo, clima e giustizia sociale; Despret Vinciane, ULg;  Marie ­Soleil Frère, Research Fellow FNRS/ULB;  François Gemenne, direttore dell’Osservatorio Hugo, Università di Liegi;  Peter Gillis,  fisico, insegnante, UMons; Jean­Claude Grégoire, agronomo, professore, ULB; Christian Kunsch, presidente della MOC; Pauline Lefebvre, Lotta, solidarietà, lavoro; Jacinthe Mazzocchetti, antropologo, professore presso UCL; Marc Mormont, sociologo, professore emerito dell’Università di Liegi; Pierre Ozer, Hugo Osservatorio, Università di Liegi;  Lidia Rodriguez Prieto, Il mondo secondo le donne;  Sarah Schlitz, co­presidente della coalizione clima;  Christophe Schoune, segretario generale di Inter Environnement Wallonie;  Stengers, filosofo, professore emerito presso l’ULB; Marcelle Stroobants, sociologo del lavoro, il professor, ULB; Daniel Tanuro, agronomo Ecosocialista, clima e giustizia sociale; Jean ­Pascal van Ypersele, climatologo, docente presso UCL; John Vogel, direttore del Centro di Storia e Sociologia Sinistra ULB; Laurent Vogel, ricercatore presso l’Istituto sindacale europeo; Grégoire Wallenborn, dottore in scienze, clima e giustizia sociale.

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