PRODUTTIVISMO UGUALE STALINISMO

Nel 2017 cade l’anniversario dei cent’anni della Rivoluzione Russa. Una esperienza che seppure con tutti i suoi limiti riteniamo rimanga fondamentale per il Movimento operaio. Dalle speranze che è riuscita a suscitare attraverso le sue conquiste, ma anche attraverso gli errori del sistema che ne è conseguito e che hanno portato alla degenerazione burocratica fino al ritorno al sistema capitalistico (a partire dagli anni di Eltsin), si possono trarre indicazioni utili anche per chi in questa fase di regressione sociale e culturale, oltre che politica, continua a pensare ed auspicare una società più libera e giusta. Ma per questo riteniamo si debba uscire dalla retorica, dalla nostalgia di un tempo che fu e da logiche autoassolutorie individuando al contrario le criticità, gli errori, ma anche le potenzialità non espresse, e represse, presenti nei primi anni della Rivoluzione. Come Rproject iniziamo quindi il nostro percorso di analisi della Rivoluzione russa con questo primo articolo che, pur con evidenti semplificazioni, affronta in modo aperto e critico il percorso della rivoluzione e le sue conseguenze. (la redazione)

La sinistra produttivista è lo stalinismo
Paul Aries

Sommario
La costruzione di un progetto ecosocialista ha le sue radici nella storia del movimento popolare e soprattutto comunista. Non solo le sinistre antiproduttiviste hanno sempre lavorato a fianco di quelle produttiviste, ma gli autori di tali esperienze si sono spesso divisi tra queste due posizioni naturali della sinistra.
Il produttivismo non è una malattia infantile del comunismo.
Tornare indietro all’esperienza della giovane Russia sovietica è un modo per riscoprire l’altro socialismo che sarebbe stato possibile.
Il conflitto tra produttivismo e antiproduttivismo si esprime su molti fronti come la questione dei nuovi stili di vita e dell’uomo nuovo, l’organizzazione dell’economia e del lavoro, la pianificazione e architettura urbana, l’arte e la pedagogia, la sessualità e la liberazione delle donne, etc. Scopriamo, allora, la forte relazione tra il produttivismo e la concezione autoritaria della rivoluzione e del movimento storico rivoluzionario.

La questione dei nuovi stili di vita

Se la sinistra è stata per lo più produttivista nel corso del XX secolo, con la notevole eccezione di alcuni compagni libertari e consiliaristi, le idee dell’utopia antiproduttivista sono state comunque ben rappresentate.
E’ bene ricordare innanzitutto che il produttivismo non può essere considerato una malattia infantile del socialismo e del comunismo, dal momento che la sinistra più produttivista è quella che si è sviluppata dal XIX al XX secolo.
Il soffocamento della sinistra antiproduttivista è stato il risultato non tanto della vittoria di una visione deterministica della storia e dell’ideologia del progresso, quella della socialdemocrazia tedesca alla fine del XIX secolo (severamente criticata da Marx nella sua “Critica del programma di Gotha”), ma quella dello stalinismo, non ancora chiamato “socialismo reale” (1).
Le sinistre mondiali non sono ancora guarite da questa tragedia, anche se sono alla ricerca di nuove “grandi parole” per identificare i nuovi percorsi di emancipazione, lontano dal mito della crescita economica salvifica, sia essi il “buen vivir” del Sud America, o il “più vivere” della filosofia africana dell’esistenza, oppure la “vita piena” in India, insomma quello che Joan Martinez Alier identifica, correttamente, come “l’ecologismo dei poveri” (2).
Vorrei aggiungere che, nello stesso modo in cui oggi migliaia di persone non hanno bisogno della parola “ecologia” per pensare e agire ecologicamente, gli amanti del nuovo modo di vivere della giovane russia dei soviet non avevano bisogno della parola “antiproduttivismo” per mettere in dubbio il produttivismo.

Nello stesso modo in cui le attuali correnti antiproduttiviste moltiplicano le loro ”parole d’ordine” con la localizzazione contro la globalizzazione, la lentezza contro l’accelerazione e la destrutturazione del tempo, con l’idea della cooperativa contro la concorrenza, la pianificazione ambientale contro “qualsiasi mercato “, la scelta di una vita semplice contro il mito dell’abbondanza, lo scambio contro la mercificazione, il nuovo stile di vita sovietico aveva attraversato, anche, le tracce della produzione, del consumo, della valuta, dell urbanistica, dell’architettura, del design della famiglia, la sessualità, la pedagogia, il potere, ecc.

Anatole Kopp ha osservato nel 1968 in “Cambiare vita, cambiare la città”:

Niente ci permette di affermare che  l’altra via che è stata descritta con molte riserve, con contraddizioni, con reticenze, nel corso del breve episodio degli  anni venti non si sarebbe conclusa in una catastrofe. Niente ci permette di affermare che si trattasse di altra cosa, di un’utopia gigantesca, certamente generosa, esaltante per molti aspetti, ma condannata in anticipo al fallimento, tenuto conto del contesto nella quale si iscriveva. Ma neppure nulla ci autorizza a passarla sotto silenzio, né a scaricarla in queste famose  “pattumiere della storia”, la dove è precipitata e che si chiama, in mancanza di un altro nome, stalinismo, con i cadaveri di coloro che avevano accarezzato questi sogni, ai quali avevano dedicati energia, la loro intelligenza e la loro vita.” (3)

Anticipando la dimostrazione, direi che la vittoria del produttivismo all’interno della sinistra è stata principalmente il risultato di una concezione autoritaria della rivoluzione e la presa del potere da parte di una oligarchia. La storia dell’Unione Sovietica è la migliore prova che sono sempre quelli che hanno ancora paura delle folle senza un leader, che imposero il produttivismo a sinistra.

La questione del nuovo modello di vita

Il produttivismo è stato la risposta “realistica ” al coraggio del socialismo utopico, il grande rappresentante russo Nicolas Tchernychevski (18281889), autore del famoso “Che fare?”, un romanzo che, riferendosi apertamente a Charles Fourier e a Robert Owen, ha descritto il paradiso socialista realizzato in Russia (4).
Lenin sarà molto grato a questo romanzo al punto di utilizzare il suo titolo, nel 1902, per le sue tesi (5). Queste prospettive di rivoluzionare gli stili di vita, vale a dire, la nascita di un uomo nuovo, non erano basate su delle “robinsonate” (6) . Non è un caso, come ha ricordato Anatole Kopp, il concetto dell’uomo nuovo (Novie lioudi) è apparso per la prima volta in Russia, per opera della penna di un autore socialista populista Vissarion Belinsky (1811-1848).
Mentre il produttivismo di sinistra sarà sempre incapace di insegnare al popolo ad avere una cultura autonoma, l’antiproduttivismo come il socialismo utopico, si basa sulla convinzione di un “già lì”, vale a dire che il potenziale esiste e che va solo svegliato (7). I russi esprimono questo nelle loro stesse parole: nessuna rivoluzione è possibile senza Novy byt (senza “nuovi modelli di vita”).
Questo tema attraversa tutto il periodo che va dalla rivoluzione alla vittoria dello stalinismo. L’obiettivo nel 1917 era duplice: ricostruire l’economia distrutta dalla guerra, ma anche, e allo stesso modo, inventare nuovi modi di vita, senza i quali il socialismo sarebbe stato una nuova forma di tecnocrazia.
Gli stalinisti hanno purificato la nostra memoria collettiva al punto di farci dimenticare quali fossero gli esperimenti presenti nella giovane Russia sovietica, in ginocchio economicamente, ma politicamente in piedi. Sono questi, i proto-stalinisti e gli stalinisti che applaudiranno al momento del capitalismo di Stato e dell’introduzione del taylorismo, alla disuguaglianza salariale, alla dittatura, e che hanno finito per  psichiatrizzare i sostenitori dei nuovi stili di vita.
La cosa sorprendente non è la ricchezza di esperienze, quando tutto era difficile e la stessa sopravvivenza della rivoluzione era messa in discussione, ma il silenzio che seguì, perché la necessità di passare da un vecchio byt ad uno nuovo era già presente in Marx, che nell'”Ideologia tedesca” sosteneva che “la vera ricchezza spirituale dell’uomo dipende interamente dalla ricchezza delle sue relazioni reali … E’ solo qui che gli individui si liberano dalla diverse barriere nazionali e locali, dai rapporti di produzione permettendo così di godere delle immense creazione dell uomo su tutta la terra.”
M. Iankovski spiega ancora nel 1928 nel “Per un nuovo uomo” (8) che la rivoluzione non è terminata con la rivoluzione d ottobre e che “rivoluzionare” la vita economica era niente in confronto alla necessità di ricostruire l’intero stile di vita.
Il terrore staliniano fu quindi fondamentalmente una contro-rivoluzione produttivista, una contro-rivoluzione burocratica ed “economicista” che si conclude con le menzogne sul superamento del “livello di vita americano”, non riuscendo a pensare ad altri modi di vita. Questa tesi è confermata su tutti i fronti.

Sul fronte economico

Il campo economico è stato quello dove i dirigenti bolscevichi sono stati maggiormente impegnati, nell'”economicismo”, l’autoritarismo e il controllo statale (9). Non rimaneva che solo un dibattito tollerato di quello che era stato un esperimento da parte del movimento cooperativo e del socialismo dei consigli. Sappiamo come i bolscevichi soppressero rapidamente ogni possibilità in questo settore, portando Peter Kropotkin (il leader anarchico) a scrivere il suo “Caro Vladimir Illich”:

“Una cosa è certa: anche se la dittatura del partito era un modo efficace per combattere il sistema capitalistico, cosa che io dubito molto, questo è stato un profondo impedimento per l’instaurazione del socialismo. E’ fondamentale che questa costruzione sia fatta a livello locale con le forze là esistenti. […] L’attuale governo russo ha sostenuto il comunismo centralizzato da parte dello Stato nei suoi piani di ricostruzione sociale: inserisce le organizzazioni cooperative negli organi centrali di produzione e consumo del governo. […] Abbiamo il diritto di dire che la ricostruzione della società su basi socialiste sarà impossibile finchè l’industria manifatturiera e, di conseguenza, il benessere degli operai, sarà basato come oggi sullo sfruttamento dei contadini del proprio paese o di altri paesi.” (10)

Lenin rispose al “Caro Peter,” non abbiamo fatto la rivoluzione senza errori, ma chi può credere che il movimento cooperativo sia dissolto nel socialismo autoritario?
Kropotkin conclude la sua ultima lettera a Lenin in data 21 dicembre, 1920 con queste parole: “Perché mettere la rivoluzione in un percorso che porterà alla rovina, a causa di difetti assolutamente estranei al socialismo e al comunismo e che sono la sopravvivenza del regime e dell’istruzione passata, del potere illimitato e divoratore? ”
Anche altri fronti hanno sofferto gli stessi “difetti”. I bolscevichi inizialmente hanno anche messo in discussione la disuguaglianza salariale e l’esistenza stessa del salario, e quindi di un economia di mercato e monetaria. Hanno introdotto la “settimana continuativa sul lavoro” per rompere con il modello religioso e consentire il funzionamento dei servizi pubblici necessari per l’emancipazione. Tutti hanno lavorato cinque giorni consecutivi e riposato i due seguenti (questo principio sarà rapidamente abbandonato per tornare alla Domenica di riposo) (11) . Ma con la NEP (1921-1929) e poi lo stalinismo, la rivoluzione russa “sceglie” deliberatamente il produttivismo, l’accumulo e il ritorno delle disuguaglianze in quello che qui viene presentato come un necessario “capitalismo di Stato”.
Secondo Victor Serge, l’intero edificio sociale si trova così fondato sulla produzione, avente come fondamento l’impresa industriale; come capi gli ingegneri e i direttori; come strutture di base dei sindacati costituiti in cellule che adempievano sia alle funzioni di dirigenti che di organizzazione della classe operaia.
Conseguenza: i rapporti di lavoro sono diventati rapporti umani essenziali.
Questo periodo è stato ben espresso dallo slogan “Chi non lavora non mangia”, dipinto sulle pareti, una frase presa in prestito da una epistola di S.Paolo!
Sotto la negazione apparente del parassitismo si nascondeva in effetti la scelta di una individualizzazione estrema nel lavoro, in particolare in termini di salari. Fu durante questo periodo che l’Unione Sovietica ripristina il cottimo e abbandona ogni tentativo di stabilire una “economia naturale” fino ad allora considerati ancora degli obiettivi secondo le tesi di Bucharin e Preobrazhensky (“scambio senza soldi è quindi introdotto gradualmente. Il denaro sarà quindi separato dal campo dell’economia popolare. Anche nel caso degli agricoltori, il denaro perde lentamente il valore e il baratto sostituisce … “) (12).
Il programma di abolizione della moneta fu sviluppato nell’VIII Congresso del partito nel 1919. Il salario in natura è stato considerato come la garanzia dell’esistenza del popolo, a tal punto che una remunerazione sotto forma di prestazioni in natura, che non costituiva nel 1917 che solo il 5,3% del valore del salario medio complessivo di un lavoratore industriale, raggiungeva il 47,4% nel 1918, l’80% nel 1919, il 93,1% nel 1920 e il 93,8% a partire dal 1921 (13).
E’ nella NEP che si comincia a rifiutare la nozione stessa di uguaglianza dei salari, fatto che provoca la collera del movimento sindacale ancora ribelle, ma si legge, nel rapporto del Comitato centrale dell URSS del 1932, che è  grazie al Compagno Stalin che il sindacato comincia a distruggere il sistema dell’egualitarismo piccolo borghese .
“Il livellamento delle esigenze e della privacy è una stupidità piccolo borghese reazionaria degno di qualche setta di asceti primitivi, ma non di una società socialista organizzata in modo marxista, perché non possiamo esigere che gli uomini abbiano tutti le stesse esigenze e gli stessi gusti, che nella vita personale, essi adottano un unico standard.” (14)

Lo stesso Stalin ha aggiunto che “la conseguenza dell uguaglianza salariale è che al manovale manca un incentivo per diventare un operaio specializzato ed è quindi privo di prospettive d avanzamento ‘ (15).
La Costituzione 1936 sposò il principio cristiano “A ciascuno secondo il suo lavoro” invece del principio comunista “A ciascuno secondo i suoi bisogni”. Lo Stalinismo rimosse, nel 1928, ogni idea di uno stipendio di base garantito.
La generalizzazione del taylorismo, già applaudito da Lenin, non fu che una tappa.
Occorre ricordare allo stesso tempo che un’altra sinistra, ispirata soprattutto da Durkheim, denunciava le “forme anomale della divisione del lavoro” e Simone Weil ha spiegato, nella sua opera  “La condizione operaia”, che Taylor non era alla ricerca di un modo per snellire il lavoro e renderlo può efficiente, ma di un modo semplice di controllo “nei confronti dei lavoratori” (16)?
E ‘ quindi in primo luogo per motivi politici, per paura delle masse, che il movimento comunista sceglie l’industrializzazione pesante, l’accumulo e la divisione del lavoro (17).

La burocrazia stalinista ha imposto per decenni questa visione al’insieme di tutti i comunisti, compreso in Francia. Di fronte ai militanti sindacalisti rivoluzionari e anarchici reticenti alla catena del lavoro, al pagare le prestazioni in base al rendimento, la corrente comunista proclamò: “Dire che siamo contro il lavoro di linea ricorda qualcuno che dice di essere contro la pioggia. […] Noi sosteniamo i principi di una gestione scientifica, compreso il lavoro di linea e gli standard di produzione “(CGTU metallurgia Congress, 1937).
E forse non è inutile ricordare che la sinistra comunista francese ha mandato, dopo la liberazione, i suoi tecnici a formarsi negli Stati Uniti.
Solo nel 1956, nel corso del XX Congresso del PCUS e del “rapporto” Kruscev sui crimini di Stalin, quando i dirigenti hanno ritenuto che gli obiettivi economici fossero stati raggiunti, che è stato possibile ammorbidire il “principio socialista sulla remunerazione” al fine di prendersi cura della popolazione svantaggiata.
La destalinizzazione ha visto il ritorno del salario minimo garantito. Così percepiamo come sia profonda la connessione tra produttivismo e l’autoritarismo, come questo collegamento tra accumulazione capitalistica e il dominio è consequenziale. La destalinizzazione ha segnato la fine del discorso sulle necessarie “generazioni sacrificate” e ha autorizzato l’aumento dei salari più bassi di almeno un terzo (18).
La caduta di Krusciov ha permesso alla burocrazia di riprendere il controllo e continuare la sua lotta contro il livellamento dei salari, sempre in nome di accumulazione del capitale, necessario preludio al comunismo di domani. E’ sempre in nome “del canto nei giorni futuri” che viene vietato cantare nel presente e viene istituito un apparato repressivo che giustifica il sacrificio!
Così recita la risoluzione del Comitato centrale del PCUS adottata in occasione del 50° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre nel 1967, che “tutti i livellamenti nella distribuzione dei salari avrebbero soppresso l’interesse dei lavoratori per i frutti del loro lavoro e il loro desiderio di elevare il loro livello professionale e culturale. E interesse del sistema socialista, stimolare negli individui il desiderio di aumentare la produttività e sviluppare le proprie capacità e talenti “.
Questa linea produttivista era già stata riassunta nella famosa formula di David Ryazanov (1870-1938), allora direttore del “Institute Marx-Engels” di Mosca: “Il comunismo è inconcepibile senza la registrazione di tutte le forze produttive.”
Stalin, che lo fece deportare e successivamente condannare a morte nel 1938, ha dato la sua versione della tesi: “L’uomo è il capitale più prezioso”!
L’umanità sarebbe in primo luogo una forza produttiva in senso stretto del termine. L’unica differenza con il capitalismo è che il “socialismo reale” proclama apertamente quello che il capitalismo nasconde. Pertanto, la questione della “morale del lavoro”(intendendo con questo il produttivismo) diventa centrale e tutti gli altri valori sono subordinati all’obiettivo di produrre di più.

Sul fronte della pianificazione urbana

La questione del produttivismo interferisce naturalmente con quella del territorio. Ogni sistema economico e politico impone la propria concezione.
Entrambe le parti (“consumisti” e “antiproduttivisti”) erano d’accordo sulla necessità di porre fine allo sfruttamento del territorio promosso dal sistema zarista/capitalista. La parola chiave è quindi la distribuzione della produzione in tutto il paese. Una panoramica (troppo) rapida permette di capire le rispettive posizioni. Dal lato antiproduttivista, si vuole fermare non solo la creazione di nuove cittè capitaliste, ma anche bloccare la concentrazione urbana e i suoi danni (19). Si sostiene un’equa distribuzione della popolazione sul territorio.
MickaÎl Okhitovitch difende ancora questa tesi nel 1930, con la sua teoria della popolazione (20). Questa scelta è quella del decentramento ad oltranza: decentramento economico, energetico, umano, amministrativo e politico. Anche se nessuno contesta la formula di Lenin: “Il comunismo è Soviet più l’elettricità”, c’è una divisione sulla stessa progettazione del sistema.
Kropotkin, si oppone alla costruzione di una rete di energia centralizzata, mette in discussione qualsiasi modello centro/periferia e concepisce la rete come costituita da piccoli centri autonomi di produzione collegati tra loro e non come grande rete ridistributiva.
Coerentemente con questa scelta energetica, sosteneva i piccoli laboratori contro la grande industria, e gli artigiani contro l’operaio taylorista.
Per quanto riguarda i produttivisti (Lenin e Trotsky in testa), anche loro rivendicano il decentramento, ma a causa della forte industrializzazione, la popolazione è spinta a muoversi in nuove città per la presenza di (nuove) aree industriali.
Sappiamo che questo porterà a “grandi assemblamenti”.
Si potrebbe anche illustrare la scissione tra la corrente (largamente maggioritaria) di Mikhail Okhitovitch e quella che trionferà di Yuri Larin.
Okhitovitch e i suoi seguaci fecero la scelta di abitazioni effimere che si potevano evolvere, essere smontate e trasportate. Essi rifiutarono le forme quadrangolari per tornare a forme arrotondate, sfidando la perpendicolarit‡ delle strade. In breve, essi scelsero sistematicamente la flessibilità contro la rigidità.
Questi progetti sono stati quelli dei sostenitori del “disurbanesimo” e dei “costruttivisti”.
Larin è spesso presentato come il grande teorico dei nuovi modi di vita, perché non ha cessato di sostenere un balzo in avanti in questo settore (21). Ma Larin è stato anche un economista della pianificazione, sostenendo prima la necessità di una industrializzazione e della realizzazione del piano quinquennale e che “l’uomo nuovo” sarebbe venuto dopo. E’ diventato il campione dell introduzione di nuovi modi di vita all’interno delle strutture del passato, comprese le cittè esistenti. Di fronte a “disurbanisti” come Okhitovitch, che volevano porre fine alla urbanizzazione, o gli “urbanisti” come Sabsovich, alla ricerca di nuovi modi di vita, lo stalinismo risponde che queste città socialiste esistono di già.

Sul fronte della Pedagogia

La Russia dopo la sconfitta della rivoluzione del 1905, fu un campo di esperimenti didattici (22). Questo movimento fu condotto dagli otzovisti, gruppo guidato da Bogdanov e Lunacarskij, con il supporto di Gorky (23). Alexandra Kollontai e Nicolas Bucharin hanno condiviso molte tesi degli otzovisti. E contro Bogdanov, Lenin scrisse il suo famoso” Materialismo ed Empiriocriticismo” per denunciare l’idealismo soggettivistico. Egli prevalse con grande difficolt‡ e tardivamente contro le idee di Bogdanov.
La grande idea di Bogdanov, sulla base del lavoro dell’Università degli Studi “russi” di Capri (Italia), difende l’idea che la rivoluzione politica ed economica era impossibile senza una rivoluzione culturale basata sull autonomia (autoctona) del lavoro.
Bodganov considerava che la cultura e la scienza borghese (la cultura non era che la traduzione simbolica della scienza) non potevano essere utilizzate dal popolo.
Rifiutò l’economicismo a favore della lotta all’interno della sovrastruttura.
Queste idee camminarono all’interno del movimento  “Proletkult” che, con circa 500.000 membri alla vigilia della rivoluzione Ottobre, era molto influente (24). Tre correnti si sono scontrate al suo congresso tenutosi alla vigilia della rivoluzione: i sostenitori dell Illuminismo (cultura classica) con Anatoly Lounatcharsky, i “populisti” con Bogdanov e i “futuristi”, molto numerosi, ma divisi.
Questo congresso ha esaminato per esempio un progetto di una dichiarazione dei diritti dei bambini: “Ogni bambino ha il diritto di eleggere i propri futuri educatori, di negare i propri genitori e lasciarli se risultano essere cattivi educatori. [… ] nessun bambino può essere costretto con la forza alla frequenza presso un istituto di istruzione o di formazione, etc.”.
Questo progetto fu rinviato non tanto per il contenuto delle sue proposte, ma perché trasmetteva un discorso di diritti naturali. Lounatcharsky, nominato primo commissario del popolo alla Pubblica Istruzione, aveva l’ambizione di “democratizzare” la grande cultura dell’Illuminismo.
Ma è la linea di Bogdanov che si impose all’interno del movimento.
Al Congresso della cultura proletaria nel 1918, i delegati degli impianti metallurgici sostennero la tesi di una rottura con la cultura borghese. Il Bogdanovismo, ma soprattutto il Bukharinismo avevano fiducia nella creatività popolare e non si stancavano di citare come esempi le espressioni artistiche spontanee dei soldati al fronte e nelle fabbriche occupate.
L educazione popolare, pertanto, non dovrebbe essere quello di sensibilizzare “il popolo dall’esterno” (ruolo d’avanguardia), ma di risvegliare il suo potenziale diffuso. Ecco perché Strebilsky, che nell’aprile del 1920 ha sostenuto la completa dissoluzione della scuola (la maggior parte dei libri di testo, programmi, lezioni, esami, diplomi), fu sostenuto dalla sinistra del partito bolscevico (Pozner, Lebedev).
Il Commissario Lounatcharsky infastidito dallo “sciopero passivo” dei docenti ostili alla rivoluzione (mentre questi condividevano le sue stesse visioni pedagogiche) e il rifiuto della Krupskaya (moglie di Lenin) di qualsiasi interferenza diretta dello Stato negli affari educativi, promuoverà la creazione di Soviet speciali responsabili per il reclutamento degli insegnanti e della gestione scolastica.
Di conseguenza, mentre i “principi educativi del programma del 1917” includono solo quattro punti (laicità, gratuità, insegnamento della lingua nella lingua nazionale e sviluppo della formazione professionale nazionale), la Russia sovietica ha introdotto, con decreto del 16 Ottobre 1918, la Scuola unica del lavoro in cui tutto il lavoro scolastico è basato sul principio della Comune scolastica, quello di una scuola autogestita dagli insegnanti, genitori e studenti con più di dodici anni.
Questa scuola è stata basata sulla soppressione di programmi, degli esami (di ingresso, di transito e di uscita) e osserva il divieto di punizioni, e il diritto ad una mensa calda gratuita, poiché l’obiettivo era di creare un “spazio vitale “, nel quale le attività ricreative, attraverso la “Comune”, mostravano le condizioni della società comunista, per insegnare ai bambini a vivere lì.
Una scuola senza note sarebbe una scuola senza l’individualismo e spirito competitivo, un programma senza scuola sarebbe una scuola aperta alla vita, senza limiti.
La stessa riflessione ha animato il decreto del 6 agosto 1918, che ha stabilito il principio di inclusività dell’Università, senza esame preventivo e la creazione dei “rabfaki ” (facoltà dei lavoratori con altri programmi e un’altra pedagogia). Questa riforma fu immediatamente contestata dagli universitari rimasti in carica e, nel dicembre 1918, la selezione è stata ripristinata con la motivazione che l’industria aveva bisogno di personale competente al fine di sviluppare un’economia moderna.
Inizia così l’avvelenamento dell Università Russa, attraverso il produttivismo: la convivenza con il “culto del lavoro manuale”, era un modo di rifiutare qualsiasi cambiamento della divisione sociale (ma anche tecnica) del lavoro. L’applicazione della “NEP nella scuola” ha anche segnato la fine delle esperienze antiautoritarie.
Questo cambiamento si ha con la “scuola del primo piano quinquennale”.
L’idea di una “stabilizzazione” del sistema scolastico a vantaggio dell’economia, avanzata dagli “industriali” nel 1920, fu ripresa da Lounatcharsky l’anno successivo. Ha poi spiegato che il lavoro della scuola doveva essere quella del capitalismo di Stato.

Dal lato antiproduttivista: V.N. Choulguine ha sostenuto nel 1928 che “nella futura società comunista, non ci sarà scuola” e Vaganyan ha aggiunto nel 1930 che “la scuola sovietica produce gli uomini per una gerarchia basata sulla divisione sociale del lavoro. […] Lo spirito borghese della nostra scuola provoca un senso di classe esplicitamente antiproletario. ”
Dal produttivista , Ryappo nel 1925 : “Dobbiamo sviluppare la scuola come parte organica del processo di produzione. E là che , lo Stato comunista, si realizza convertendo tutta la società in una gigantesca fabbrica, dove la scuola ha il ruolo di fornire la forza lavoro qualificata, nello stesso modo in cui una fabbrica rimpiazza le proprie macchine utensili usate”.
Bubnov (che è appena stato nominato nel 1929 commissario del popolo della Pubblica Istruzione al posto di Lounatcharsky) nel 1931 accusa:

“L’Istituto per insegnamento marxista-leninista è responsabile della teoria della “morte della scuola”, che è legata ad una serie di altre posizioni teoriche false dell’Istituto. […] La questione del deperimento della scuola sarebbe parallela al declino dello stato. Ora, già il fatto di porre il problema in termini di “estinzione dello Stato” come una teoria sbagliata. La scuola sta disegnando una leva per il rafforzamento dello Stato proletario. “ (25)

Di fronte ai sostenitori di una “arte di sinistra” concepito come uno strumento di liberazione, e che ha voluto non solo democratizzare la cultura, ma procedere con la proprietà collettiva, a immagine della rivoluzione, dei mezzi di produzione e della scienza, Stalin ha posto una censura e ha parlato di arte “di sinistra” e “piccolo borghese” (sic).
I dibattiti non erano però chiusi prima della vittoria totale degli stalinisti.
Prendiamo ad esempio il caso della polemica sulla “politecnicizazione della scuola.” Abbiamo due concezioni opposte ancora nel 1930-1931: da una parte, quelli che ritenevano che il lavoro minorile dovrebbe essere soprattutto il giardinaggio e che rifiutano la mescolanza tra adulti e bambini, tesi dominante presso i congressi delle scuole Kolkoziane del 1930.
D’altra parte, coloro che hanno sostenuto la tesi, diventata ufficiale dopo il Comitato centrale del 1931, che “è solo lavorando con gli operai e i contadini che i bambini possano crescere come veri lavoratori consapevoli del futuro .
Krupskaya mentre approvava questa tesi, sostiene che “questo non significa che noi non proteggiamo il lavoro minorile”, in particolare con il ritorno del programma ufficiale. D’altra parte tutto va molto in fretta, come mostra il Lindenberg: 1931, ripristino delle classi tradizionali; 1932, ripristino delle materie; 1936 ripristino delle note; 1941 rimessa in discussione la gratuità, con l’introduzione dei libri di testo a pagamento; 1945, nuovo regolamento di istruzione (“busto dritto, senza gomiti sul tavolo …”); 1950, distribuzione di medaglie e premi per studenti meritevoli …

Sul fronte della “estinzione dello Stato”

Produttivisti ed antiproduttivisti si scontrano naturalmente sulla questione del potere, da un lato con una corrente antiautoritaria importante, ma divisa, e dall’altro la corrente bolscevica che assume completamente l’idea della dittatura. La rivoluzione è ancora “popolare” alla fine della guerra civile nel 1920-1921ed è nel campo economico che parte il confronto. Già perché la “grande paura” del regime è l’isolamento, sia a livello internazionale (da qui l’importanza della questione tedesca), che nazionale, che obbliga per lunghi periodi i bolscevichi a cercare alleanze con il partito socialista rivoluzionario e con gli stessi gli anarchici (Lenin riceve tre volte Kropotkin, con il quale intrattiene una corrispondenza, e gli offre di unirsi al governo. Riceve anche Makhno nel giugno 1918) (27).
La pressione degli eventi è ovviamente notevole, ma la chiave è altrove. Sono ancora presenti gli effetti della tradizione collegata alle esigenze della clandestinità. E soprattutto la scelta fatta dai dirigenti di imporre la dittatura, mentre un altro modo sarebbe stato possibile, come dimostra la proposta, durante l’VIII Congresso del PCUS (1919), di Evgeny Preobrazenskij, allora membro del Politburo, di sciogliere il partito bolscevico reso inutile a causa della democrazia proletaria nei soviet, in breve, la possibilità di un potere alla base.
Bisogna ricordare anche l’estrema importanza del movimento cooperativo, che mira a “socializzare l’economia senza il peso del bastone” in modo che le masse comprendano che c’è nella vita qualcosa di più che il proprio Essere (28). Di fronte a chi sostiene che il problema non è più la conquista del potere, né la sua ripartizione, ma imparare a come disfarsene, come ad esempio la corrente consiliarista ispirata alle teorie dell olandese Anton Pannekoek (1873-1960), prevalgono i sostenitori della “tirannide illuminata”, attingendo sia dalle vecchie idee economiche (Saint Simon ) con uno sfondo politico blanquista, oppure dalle idee religiose dell ex seminarista Stalin (il suo uso delle parole “fratelli” e “sorelle” piuttosto che “compagni” è, da questo punto di vista, sintomatico).
La militarizzazione che era la preoccupazione dell’Armata Rossa, la vittoria nei sindacati e, infine, nell’industria e nella società. A coloro che rivendicavano la democrazia nel lavoro e la fine della disuguaglianza, Lenin rispose che l’importanza dei dirigenti e dei loro alti stipendi non sono un passo indietro. Egli giustifica i poteri “dittatoriali” concessi ai dirigenti (ad esempio quelli delle ferrovie) perché la  dittatura personale, spesso incarnata nella storia, rappresenta la dittatura delle classi rivoluzionarie. […] Non esiste alcun principio di contraddizione tra la democrazia socialista sovietica e il potere dittatoriale di alcuni individui (29). Lenin riprende questa teoria in  “Dei compiti attuali della Russia sovietica”: “La gestione di qualsiasi grande industria vuole una sola volontà, la subordinazione di mille volontà ad una sola … Non abbiamo bisogno di sfoghi isterici. Non dobbiamo misurare i battaglioni di ferro del proletariato.” Più in generale, a coloro che temono una evoluzione verso il capitalismo di Stato, Lenin risponde nel  “L’infantilismo di sinistra e lo spirito piccolo-borghese”, che la creazione di un capitalismo di stato sarebbe già un passo in avanti, una vera e propria pietra miliare nella marcia verso il socialismo, per questo nel contesto russo il capitalismo di stato russo sarà un alleato del socialismo (30).
Così, prima ancora che Stalin parli di raggiungere (e superare) lo stile di vita del Nord America, Lenin dà come consiglio di imitare la Germania, il più grande paese del capitalismo di Stato, perché “il socialismo non è inconcepibile senza una grande tecnologia capitalistica all’altezza degli ultimi ritrovati della scienza moderna e senza una razionale organizzazione sottoponendo rigorosamente decine di milioni di persone ad un unico standard di produzione e di consumo”. Questa tesi, che oggi sembrano iconoclaste, spiega tutta la strategia produttivista: “Il socialismo è solo un passo in avanti, dopo il monopolio del capitalismo di stato.”
Come capire gli avvisi di Lenin sul ruolo del proletariato? Il leader bolscevico spiega che, nel contesto della rivoluzione borghese, il proletariato ha una missione distruttiva e che appartiene alla minoranza borghese adempiere al lavoro costruttivo. Si agisce, sì o no, per costruire un primo capitalismo di Stato? La “borghesia rossa” afferma all’inizio questo ruolo pionieristico nella costruzione delle infrastrutture del capitalismo di Stato, un preludio al comunismo. Il funerale di Peter Kropotkin, 13 febbraio 1921, da luogo all’ultima grande manifestazione antibolscevica con oltre 100.000 dimostranti. Tuttavia, nulla è ancora completamente perso dal momento che gli anarco-comunisti sfidando la Ceka, la gioventù comunista e gli anarchici sfilarono insieme. Il museo Kropotkin, gestito dalla sua vedova, aperto su richiesta di Lenin, sarà chiuso da Stalin nel 1930.

Sul fronte del puritanesimo

L’opposizione operaia, sconfitta sul fronte economico e politico, rafforza le sue iniziative nel campo più aperto della moralità (il matrimonio e la sessualità) (31) .
Potrebbe sembrare audace concentrarsi su questi temi in un testo che a che fare con la produttività. Il collegamento non è una novità: le varie correnti rivoluzionarie stabilirono ben prima del 1917, un collegamento diretto tra lo sviluppo del capitalismo (e quindi del produttivismo) e la sessualità. Marcuse sostiene più tardi, nel 1923, che la nuova morale è quella di una comunità di lavoratori più che di una comunità di individui liberi. Wilhelm Reich spiega, nel 1935, lo stalinismo tramite la mancanza di libertà sessuale, dal momento che questa potrebbe promuovere, di per sé, il principio di autorità.
Alexandra Kollontai (1872-1952), commissaria del popolo alla sicurezza sociale, animatrice della corrente Opposizione Operaia (Rabocaja opposicija), è l’anima della liberazione sessuale (sarà in seguito “estradata” come ambasciatrice in Messico ed in Norvegia). Essa prende posizione nel 1923 contro la pseudomorale dominante, con la pubblicazione di tre novelle sotto il titolo “L’amore delle api operaie” (32). Kollontai crede, come Marx ed Engels, alla sopravvivenza di una famiglia monogamica, ma auspica un regime di monogamie successive (33). Intende inoltre rimettere in discussione la dipendenza dei bambini dai genitori, così come la dipendenza delle donne nei confronti degli uomini. Dopo aver analizzato il passaggio dalla morale sessuale feudale alla morale sessuale borghese come passaggio della transizione dalla cooperazione alla concorrenza (e dunque di conseguenza alla proprietà privata), Kollontai mostra che “tra i tanti compiti che incombono sulla classe lavoratrice nel suo sforzo di costruire il futuro c’è il compito di costruire sani e più felici rapporti tra i sessi” (34). Parla anche di una indifferenza imperdonabile dei dirigenti bolscevichi verso uno dei compiti fondamentali della classe operaia. La rivoluzione morale sarebbe, infatti, la possibilità di contestare il fondamento psicologico della proprietà privata, che inizia con il senso di proprietà di uno dei coniugi sopra l’altro, di rimettere in discussione anche la disuguaglianza dei sessi che serve come garanzia per quella di classe. Questo processo di emancipazione non può avvenire solo all’interno delle classi lavoratrici, ma deve arricchire tutta l’umanità. Kollontai sostiene una sorta di scuola d’amore con quello che lei chiama l’amore-gioioso e l’amicizia erotica: “La nostra epoca è caratterizzata dall’assenza de “l’arte di amare”. Uomini assolutamente ignoranti nell’arte di mantenere relazioni chiare, luminoso e alate. L’amore è sia una tragedia che strappa l’anima, sia una vaudeville banale. Bisogna far uscire l’umanità da questo impasse. Solo dopo essere passati attraverso la scuola di amicizia amorosa che la psicologia d’amore sarà in grado di ospitare il grande amore, purificato dei suoi lati oscuri (35). L’amore è, dice, una forza che aumenta gradualmente come una spesa … La sfida è quella di sviluppare il potenziale di amore per l’umanità (preludio al comunismo). Kollontai spiega che l’Eros senza ali, mera attrazione fisica, dovrà cedere il posto all’Eros con le ali (in cui la nozione di dovere ancora prima verso la comunità, il che significa ammettere temporaneamente una vita un po’ austera), ma con la vittoria del comunismo, un Eros trasfigurato succederà all’Eros alato allo scopo di raggiungere una sana attrazione dei sessi, libera e naturale.
Queste tesi della Kollontai si basano sulla lettura dei classici del marxismo, tra cui Engels, ma anche di August Bebel (La donna e il socialismo, 1879). Lei ritiene che sia possibile liberarsi dal matrimonio come istituzione opprimente. Essa rileva che la famiglia, che non è già più una unità produttiva, non sarà più una unità consumatrice per mezzo dei servizi pubblici. Raccomanda pertanto di dare la priorità a tutto ciò che può emancipare le donne dalle le faccende domestiche: ristoranti sociali, servizi per l’infanzia, infermieri di quartiere, personale domestico (pulizia, assistenza). “La separazione tra la cucina e il matrimonio, questa è una grande riforma, non meno importante di quello della separazione tra Chiesa e Stato ” (36).
Il percorso è tracciato: avanzare attraverso la rivoluzione verso l’unione libera di liberi individui. Kollontai, che si era dimessa dal governo nel marzo 1918 in segno di protesta contro il Trattato di Brest-Litovsk, mantenne comunque la leadership della sezione femminile del Comitato Centrale del PCUS, insieme con Inessa Armand. Ha subito nel 1923, una campagna di diffamazione a causa dei temi trattati. La leadership bolscevica a convinta che il moralismo può avvicinare alla causa della rivoluzione sia i piccoli borghesi che i religiosi. Il primo attacco fu guidato da Paulina Vinogradskaja che la accusava, nella rivista Kommunistka, nel mese di ottobre 1923, di proposte sessuali antimarxiste. Questo processo a carico si basa sul famoso dibattito tra Lenin e Clara Zetkin in cui Lenin afferma che se il comunismo è quello di portare “non l ascetismo, ma l’euforia e il conforto dell uguaglianza alla pienezza dell’amore” egli sostiene anche che “lo sport, ginnastica, escursioni, tutti i tipi di esercizi fisici, interessi morali vari, studi, analisi, ricerche, il tutto applicato allo stesso tempo, tutto questo dù ai giovani molto più di rapporti e discussioni infinite sui problemi sessuali e sul modo di “godere” la vita, secondo la moda comune (37) “. In nome del rifiuto delle sperimentazioni, Pyotr Smidovitch (1874-1935), dirigente del partito Bolscevico, fa di Marx un esempio di virtù (la povera Jenny Marx avrebbe apprezzato!) e chiama, in sua memoria, i proletari alla fedeltà, elevando anzi la fedeltà all’interno della coppia come virtù rivoluzionaria.
Nel 1927 Kollontai pubblica un nuovo romanzo, “Il grande amore”, ispirato alla relazione (clandestina) tra Lenin e Inessa Armand … che gli è valso un silenzio assoluto.
La risposta, però, non si fa attendere, infatti la Kollontai diventa una nemica del partito. Il fondatore dell’Istituto Marx Engels, David Rjazanov, replica nel 1929 che, poichè “il comunismo è l’applicazione di tutte le forze della produzione” l’amore libero non è possibile, il che significa il non riconoscimento delle coppie di fatto (38).
Aron Borisovich Zalkind (1888-1936), lo psicologo ufficiale dice che l’uomo ha una certa quantità di energia vitale e che ogni particella di questo prezioso impulso dedicato alle vita sessuale verrebbe perso per la costruzione socialista. Si fa dell’astinenza una caratteristica dell uomo e della donna socialista. Anche Nikolai Semashko, commissario del popolo alla Sanità, che firmò i primi testi sull emancipazione sessuale, si interroga sulle conseguenze delle nuove libertà individuali nel campo sanitario. Semachko finisce lui per appellarsi all’astinenza sessuale: “Sei venuto alla “rabfaki “per lavorare, quindi astieniti ! […] Ci sono prove che l’astinenza non è dannosa, anzi è buona” (40 ). Le ragioni di questa scelta tuttavia, non sono (ancora) morali, in modo definitivo, ma economiche, quindi potenzialmente congiunturali: lo stato socialista sarebbe semplicemente troppo povero per non essere malthusiano. Abbiamo anche il rifiuto di estendere alle “coppie di fatto i “benefici accordati alle coppie ufficiali. Alexandra Kollontai, ricordando il successo del romanzo Che fare?, scrive un romanzo per difendere il nuovo stile di vita, attraverso la storia personale dell operaia Vassia, raccontando l’inevitabile fallimento di qualsiasi rivoluzione se questa non ci fosse anche nel campo della famiglia e della sessualità. La resistenza è tuttavia sufficiente perché nel secondo codice della famiglia del 1926 venga legalizzata la coppia di fatto, ma non le madri nubili, che non hanno gli stessi diritti delle donne sposate o conviventi. Il nuovo Codice della famiglia del 1936 si passa apertamente a favore della natalità: questo serve per fornire la mano d’opera necessaria allo sviluppo industriale dell’URSS. » opportuno dirigere tutta l’energia per la sola produzione. Il potere vieta la libertà di aborto, già libero e gratuito (tornerà ad essere libero nel 1955). L’editoriale della Pravda, al momento del divieto di aborto è indicativo di questo stato d’animo: “Una donna senza figli merita il nostro peccato, perché lei non conosce la vera gioia. Le nostre donne sovietiche fiorenti, i cittadini del paese più libero del mondo, conoscono le benedizioni della maternità.”
I vecchi sostenitori di Kollontai, per salvare la loro vita, sono costretti a fare autocritica. S. Wolffson qualifica le idee di A.Kollontai come quelle di una “bassezza animale ” e conclude che l’aborto egoista non deve più essere tollerato, in quanto priva l’URSS delle forze produttive. Lo stesso divorzio viene limitato: è necessario registrarlo sui documenti ufficiali e diventa a pagamento. Si potrebbe andare avanti per dimostrare che in un tempo molto breve, lo stalinismo vieta la sperimentazione a causa del produttivismo. Alcuni leader bolscevichi cercano di resistere alle minacce, ma spesso troppo tardi. Trotsky pubblica nel 1923 una serie di articoli sulla necessità di difendere e promuovere i “nuovi stili di vita”; Krupskaja, moglie di Lenin, tuttavia, molto timida in questo settore, dedica diversi testi, tra il 1922 e il 1930, spiegando che “il socialismo non è un sistema economico.” Anatole Kopp osserva che Stalin fa scomparire dalle biblioteche e dall’archivio centrale tutto ciò che riguarda queste esperienze, certamente “libertarie”. Inoltre, mentre l’URSS pre-staliniana era il centro delle ricerca pionieristiche sull’ecologia, come dimostra l’invenzione del 1925 del concetto di biosfera di Vladimir Vernadsky (1863-1945), il padre della scienza sovietica, lo stalinismo raffredda ogni pensiero in questo settore, permettendo a John B. Foster di parlare di un “buco nero ” con/dopo lo stalinismo: “lo stalinismo epurerà letteralmente il comando e la comunità scientifica sovietica dei loro elementi più ecologici, e non ci sarà niente di arbitrario poiché è in questi circoli che si trovava la maggior parte della resistenza all’accumulazione primitiva socialista ” (41).
Bucharin e Vavilov sono, secondo Foster, i due grandi simboli della sconfitta del pensiero ambientalista/antiproduttivista sovietico. Foster osserva che il marxismo occidentale non ha resistito meglio diventando positivista e scegliendo di progettare una storia umana isolata dalla natura.
L’unica eccezione importante è il marxista britannico Christopher Caudwell.
La vittoria del produttivismo, non spiega la situazione catastrofica dell’URSS, dal momento che le alternative avevano difficoltà maggiori. Il fallimento della sperimentazione è legata infatti ad altri fattori, come la tesi di Stalin nel 1924, sulla possibilità di costruire il “socialismo in un solo paese”, o la presa del potere da parte della burocrazia, che ha fatto dello Stato e del partito una proprietà privata, al prezzo della liquidazione sistematica degli avversari. Il Comitato Centrale del PCUS dichiara, nel corso di una riunione speciale il 29 maggio 1930, che tutte queste sperimentazioni sono ormai inutili, dal momento che il modo di vivere “socialista” era già raggiunto, che “il socialismo” è stato già realizzato: “Attualmente, alcuni coniugano in tutti i tempi la formula “dobbiamo costruire la città socialista”. Quelli che dicono questo dimenticano un “dettaglio” che è il punto di vista sociale e politico, le città dell’URSS sono già città socialiste”. Lo stalinismo liquida le avanguardie in tutti i settori: economico, politico, artistico (costruttivismo, futurismo).
Nikolai Milyutin (18991942) spiega che gli “urbanisti” come i “disurbanisti” non hanno niente di comune con la politica del partito:

Gli urbanisti ” rifiutano i ” disurbanisti ” che deformano a sinistra la teoria della distribuzione territoriale di Marx-Engels-Lenin-Stalin della popolazione sulla base dell insediamento pianificato delle forze produttive in URSS. […] La linea bolscevica è la teoria marxista-leninista di popolamento socialista, questa è la linea che segue il plenum di giugno (1931) del Comitato Centrale sulla relazione del compagno Kaganovich, la linea di adempimento e superamento del secondo piano quinquennale i cui obiettivi sono stati formulati con precisione nelle risoluzioni del XVII Congresso del partito presenti nella relazione del compagno Molotov. Il percorso per la soluzione di questo grande compito, è la politica stalinista di lotta per il comunismo “.

Il dirigente stalinista Vyshinsky ha trattato questa “sinistra” come dei “clown”, come dei “pigmei”, degli “avventurieri che hanno cercato di calpestare con i loro piedi infangati i fiori più profumati del nostro giardino socialista”, prima di concludere: “Si deve sparare a questi cani pazzi ” (42).
Questa lotta tra le diverse linee politiche dura dieci anni, per completarsi con i processi di Mosca (1937-1938).(43). Una serie di congressi aveva già approvato questa rottura (Congresso degli Scrittori, il Congresso degli Architetti, etc.). Alle sperimentazioni libere sarebbe subentrato il “comunista di base” e il suicidio di Majakovskij. Gli stalinisti erano anche capaci di citare il famoso testo di Engels sul socialismo utopico, ma poi sentito Engels semplicemente si rifiutano di immaginare con la testa tra le stelle la struttura della società futura, preferendo un “già lì” (il comunismo come movimento reale che abolisce lo stato di cose), la riedizione costante del socialismo utopistico e socialismo scientifico è stato più un sintomo della volontà di pensare il socialismo scientifico contro il socialismo utopico, dimenticando che Engels stesso aveva pubblicato un testo poco conosciuto sulla famiglia comunista futura.
Come, di fronte a questa tragedia, non condividere l’interrogazione di Anatole Kopp? Certamente, tutti questi esperimenti stavano attraversando un certo ascetismo nella vita quotidiana, ma questo ascetismo sarebbe stato più restrittivo rispetto a quello imposto per decenni alle affollate famiglie sovietiche, come richiesto dalla burocrazia, in appartamenti non progettati per questo uso ?
Questa ascesi antiproduttivista passava, per una semplificazione del modo di vivere l’habitat, trasformando sia gli oggetti di uso quotidiano che l’abbigliamento. Le costruzioni leggere pensate dai “disurbanisti” sarebbero state più indicate per la crisi diffusa degli alloggi. Considerate anche i progetti degli architetti sovietici come Nathan Osterman, Andrew Meyerson e molti altri che hanno cercato di inventare i “palazzi del nuovo stile di vita” … Anatole Kopp anticipa il vero motivo per il rifiuto dei nuovi modi di vita, questa scelta di produttivismo di stato: “il disurbanismo” poteva essere messo in pratica a poco a poco per rappresentare, prima di essere una soluzione architettonica, una strategia di sviluppo non centralizzato, non burocratico, a misura d’uomo .”
Questo potrebbe effettivamente essere il contrario, un socialismo democratico, un socialismo lontano da tutti i percorsi di economia classica, dal produttivismo. Sappiamo il prezzo di questa rinuncia: “Che fine hanno fatto i Leonid Sabsovich, Okhitovitch Larin, tutti gli economisti, tutti i sociologi del primo piano quinquennale? Quanti di loro scesero le scale della Lioubianka e hanno ricevuto una pallottola in testa per aver cercato di cambiare la strada? ” (44).
Un filo rosso attraversa tutta la storia della antiprododuttivismo, dal socialismo utopico del XVIII secolo fino ai tentativi attuali di inventare un” socialismo del buen vivir “. Questo filo rosso è il rifiuto di qualsiasi soluzione sacrificale. Ogni sacrificio presuppone innanzi tutto una ideologia, da imporre con la repressione. La Chiesa ha promesso il paradiso celeste a chi ha subito l’inquisizione, il fondamentalismo, l’integralismo. Lo Stalinismo prometteva il paradiso in terra dopo domani mattina e abbiamo avuto i Gulag, il terrore in tutti i settori. Il suicidio di Majakovskij rimane il simbolo eterno di questo fallimento. Le rivolte popolari nei paesi dello stalinismo, i protagonisti della primavera di Praga, sono inni alla “grande speranza”  della giovane Russia.

Paul Aries
politologo, direttore del mensile La Zindignè (s)!

Note
1 Paul Aries, Il socialismo gourmet, Paris, La Decouverte, 2013.
2 Joan Martinez Alier, l’ecologismo dei poveri, Parigi, Les Petits Matins 2014.
3 Anatole Kopp, Cambiare vita, cambiare la città, Parigi, UGE 1968 rist. 10/18 collezione, Parigi, 1975 e Città e la rivoluzione. Architettura sovietica e urbanistica degli anni Venti, Parigi, Anthropos 1967.
4 Chernyshevsky, Nikolay Gavrilovich (18281889) Encyclopaedia Britannica online , accessibile 28 maggio 2015. URL: <http://www.universalis.fr/encyclopedie/nikolaigavrilovitchtchernychevski/>.
5 Lenin, Che fare, Parigi, Le Seuil, 1966 [1902].
6 tra decine di titoli, si segnala: VS Chkotov, Gioventù Stili di vita, Mosca, 1925; C. Houlguine, Sulla formazione di una morale comunista, Mosca, 1928; A. Kado, Aspetti dello stile di vita dei lavoratori, Mosca, 1928.
7 Guy Besse, Lenin e la rivoluzione culturale, conferenza tenuta presso l’Istituto Maurice Thorez 19 marzo 1970, a Parigi, IMT 1970.
8 M. Iankovski, per un uomo nuovo, Leningrado, 1928; da non confondere con il lavoro di Mr. Iakolev pubblicato lo stesso anno con lo stesso titolo a Mosca.
9 Charles Bettelheim, La transizione verso un’economia socialista , Parigi, Maspero, 1968; Pierre Brouè, il partito bolscevico. Storia del PCUS , Paris, Editions de Minuit, 1963 e I comunisti contro Stalin. Massacro di una generazione , Paris, Fayard, 2003.
10 Lettera di Kropotkin a Lenin in data 4 marzo 1920.
11 Su questi punti, Victor Serge, Anno 1 della rivoluzione russa , i volumi 13, Parigi, Maspero,
1971; Alfred Rosmer, di Mosca di Lenin, i volumi 1 e 2, Parigi, Maspero 1970.
12 L’ABC del comunismo, Mosca, 1919, Parigi, Maspero, 1965. Abbiamo anche letto Bucharin ‘Il beniamino del partito “. Divisione generale o produzione comunista, Mosca, 1918.
13 Jovan Pavlevski, il tenore di vita in URSS dalla Rivoluzione d’Ottobre al 1980, Parigi, Economica, 1975.
14 citato da Anatole Kopp, Cambiare vita, cambiare la città …, op. cit.
15 Giuseppe Stalin, Questioni del leninismo, Paris, Editions Sociales Internationales 1931.
16 Bruno Trentin, La città del lavoro, fordismo, e sinistra , Paris, Fayard 2012.
17 Si fa riferimento, in particolare, a Peter Kropotkin, Opere , Parigi, Maspero 1976.
18 Citato da Jovan Pavlevski, il tenore di vita in URSS … , op. cit.
19 Paul Ariete, Il socialismo gourmet, Paris, La Decouverte, 2013.
20 citato da Anatole Kopp, Cambiare vita, cambiare la città …, op. cit . Si fa inoltre riferimento a Manuel Castells, Lotte urbane e potere politico, Parigi, Maspero 1975.
21 Yuri Larin, La città e lo stile di vita , Mosca 1928 Housing e stile di vita, Mosca 1931.
22 Si fa riferimento ad una visione sintetica di Daniel Lindenberg, L’Internazionale comunista e la scuola di classe comunista, Parigi, Maspero, 1972. Leggiamo anche Ludovic Zoretti, Il movimento operaio e la scuola, 1919, ampliato nel 1923 in L’educazione nazionale e il movimento operaio in Francia, Parigi, Librairie Populaire; Joseph Boyer, Scuole laiche contro la classe operaia, Parigi, Editions Sociales Internationales 1931 Maurice Dommanget, I grandi socialisti e l’educazione, Paris, Armand Colin, 1970, in particolare il capitolo su Francisco Ferrer.
23 Avraham Yassour, “Bogdanov e il suo lavoro ,” libri del mondo russo e sovietico del 1966 n. 10, p. 546584.
24 Claude Frioux, “Lenin, Majakovskij, il Proletkult e la rivoluzione culturale ” Letteratura 1976, vol. 24, p. 99109.
25 Citato da Daniel Lindenberg, Il comunista internazionale …, op. cit. , p. 387.
26 Ernest Mandel, il controllo operaio, consigli dei lavoratori, autogestione , Parigi, Maspero 1973.
27 Yves Ternon, Makhno, la rivolta anarchica, Bruxelles, Complexe, 1981.
28 Peter Kropotkin, Lettera alla cooperativa di Dmitrov , 14 novembre 1920.
29 Citato da Victor Serge, op. cit, t. 2, p. 21.
30 <https://www.marxists.org/francais/lenin/works/1918/05/vil19180505.htm>.
31 Kollontai, “L’ Opposizione operaia”, testo pubblicato in Socialisme ou barbarie, No. 35, febbraio 1964.
32 Grandi estratti sono stati riprodotti in francese in Kollontai, Marxismo e rivoluzione sessuale, Parigi, Maspero, 1977.
33 Ho su che essere in disaccordo con Judith Stora Sandor nella sua presentazione di Marxismo e rivoluzione sessuale. Kollontai non è una “liberatrice del sesso ” nel senso di Wilhelm Reich.
34 Nel marxismo e rivoluzione sessuale, Parigi, Maspero, 1977.
35 Kollontai, “Luogo alato Eros, lettera ai giovani lavoratori “, La giovane guardia, maggio 1923.
36 Kollontai, “La dittatura del proletariato rivoluzionario cambiamento della vita quotidiana”, conferenza presso l’Università Sverdlov sulla liberazione delle donne, nel 1921.
37 Citato in Dumont Yvonne, I comunisti e la condizione delle donne, Paris, Editions sociales 1970.
38 <http://www.pcint.org/04_PC/99/99_riazanov.htm>.
39 Decreti del 19 dicembre 1917 e del 17 mese di ottobre 1918 che abroga tutte le prerogative maschili nel dominio della famiglia, dando diritti identici per entrambi i sessi per quanto riguarda la scelta del domicilio e il nome, dal momento che l’uomo può prendere il nome di famiglia sua moglie.
40 Nikolai A. Semashko, i nuovi stili di vita e problema sessuale, Mosca 1926.
41 John B. Foster, Marx ambientalista , Parigi, … condizioni Amsterdam, 2011.
42 In Arkhitektoura CCCP , 1937, n ∞ 78.
43 Pierre Brouè, I processi di Mosca , Parigi, Julliard, collezione “Archives” del 1964.
44 Anatole Kopp, Cambiare vita, cambiare la città …, op. cit. , p. 365366.

Per citare questo articolo documento di riferimento Paul Aries , ” La produzione di sinistra è stalinismo ” Quaderni storici. Critical History Review , 130 | 2016, 4161. pubblicato 1 gennaio 2016, accessibile 18 ottobre 2016.

URL: http://chrhc.revues.org/4926

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