LIBANO: LA RIVOLUZIONE DEVE CONTINUARE!

di Rima Majed

Le “strade” del Libano sono esplose in enormi proteste dal 17 ottobre. Dopo mesi di austerità e condizioni economiche disastrose, una carenza di dollari statunitensi che ha causato una grave minaccia di svalutazione della valuta libanese con conseguente potenziale crisi di approvvigionamento di benzina e pane, il persistere di interruzioni di corrente elettrica e acqua e una settimana catastrofica con incendi che hanno devastato il paese, smascherando la classe dominante, il governo si è riunito giovedì e ha accettato di imporre nuove tasse al popolo, inclusa una tassa sulle chiamate con WhatsApp!

 Mentre la rivolta non è in particolare causata solo dalla tassa WhatsApp, il nuovo accordo sulle tasse (successivamente modificato a seguito della pressione della piazza) sono stati percepiti dalla maggior parte dei libanesi come un ‘volgare’ riflesso della totale negligenza del governo rispetto le difficoltà della gente e la sua priorità per proteggere gli interessi della classe di governo a scapito della maggioranza della popolazione.

Non del tutto inaspettate, le proteste di massa hanno sconvolto il Paese. Mentre il Libano ha visto nella sua storia recente simili “esplosioni di strada” contro la classe dominante (come nel 2015), la “Rivoluzione d’ottobre” libanese del 2019 segna un importante punto di svolta nella storia della controversa politica nell’era post guerra civile. Dopo quasi tre decenni di politiche neoliberiste che hanno portato all’approfondimento delle divisioni di classe, questa volta le persone sono scese in piazza per denunciare chiaramente la classe dominante che si pone come custode del neoliberalismo (e dei suoi interessi di classe), al di là delle divisioni settarie che sono di solito una tattica efficacemente utilizzata dai leader per dividere le piazze. Questa volta, migliaia di “motociclisti” si sono mobilitati giovedì sera, a seguito della decisione del governo di imporre nuove tasse, per bloccare le strade con pneumatici incendiati e paralizzando il traffico nella capitale Beirut. I blocchi stradali si sono diffusi rapidamente in altre regioni e le persone hanno iniziato a radunarsi in piazze e strade in tutto il Paese in uno spettacolo di rabbia che colpiva chiaramente tutti i governanti, per la prima volta, senza alcuna eccezione. Le mobilitazioni iniziali che si sono trasformate in una rivolta – forse sorprendentemente per alcuni – hanno coinvolto centinaia di migliaia di persone. Mentre le proteste del 2015 furono guidate da un gruppo di organizzazioni della società civile che rappresentavano principalmente le classi medie e che respinsero la maggior parte delle forme di sommossa o disobbedienza civile sotto la bandiera della protezione delle proteste dagli “infiltrati”, le recenti proteste sono iniziate specificamente da quelli che solitamente (ed erroneamente, nella maggior parte dei casi) venivano considerati come infiltrati.

Non solo la tattica della protesta è diversa dai precedenti movimenti in termini di blocchi stradali e disobbedienza civile, ma anche la portata della protesta è molto più ampia con regioni come Beqaa, Tripoli, Nabatiyeh, Tiro e Zouk che si mobilitano con una partecipazione enorme e il linguaggio dei canti è chiaramente diverso, con offese ed imprecazioni contro i politici che formano la maggior parte degli slogan! La risonanza di questi cori “osé” con la stragrande maggioranza dei manifestanti nelle piazze, molti dei quali avrebbero rifiutato e denunciato tali slogan alcuni anni fa, descrive un livello estremo di rabbia che può sfidare autorità e moralità allo stesso tempo (anche tra le classi medie!). Queste differenze nel movimento attuale rispetto a quelli precedenti non sono dettagli, riflettono trasformazioni sociali più profonde che hanno raggiunto l’estremo e che si sono riflesse nella radicalizzazione del movimento. Le mobilitazioni degli ultimi giorni hanno mostrato l’inizio dell’emergere di una nuova alleanza di classe basata su disoccupati, sottoccupati, classi lavoratrici e classi medie contro l’oligarchia dominante. Questa è una svolta.

Nonostante i tentativi del regime di giocare la solita carta parlando di “infiltrati” e della presenza di “quinte colonne” (che nella maggior parte dei casi non è altro che il regime stesso), è impressionante quanto poca risonanza abbia avuto finora questo discorso sui manifestanti.  Questo non vuol dire che tale discorso sia stato completamente eliminato e che tali scenari siano stati esclusi, ma piuttosto evidenzia l’importanza della nuova consapevolezza di classe emersa che si concentra sul prendere di mira le élite al potere piuttosto che dividere se stessa. Se questo può essere sostenuto e organizzato nelle prossime settimane, questo segnerà probabilmente il punto di svolta più importante nella storia della contesa politica del dopoguerra in Libano. 

Mentre le speranze sono alte e le scene delle strade sono commoventi, tre punti principali sono importanti che il movimento tenga in considerazione per spingere in avanti questa svolta:

1. È fondamentale organizzare. Questo processo è già iniziato e sta prendendo varie forme e caratteristiche, tuttavia il movimento deve ancora sviluppare la sua organizzazione senza rifuggire dall’avere una leadership. I movimenti senza guida sono insostenibili e raramente possono proporre alternative chiare. Inoltre, non sono esattamente “senza leader”. Di solito, in questi casi, una leadership non dichiarata rimane dietro le quinte e coordina il movimento, ma rimane priva di responsabilità. Di solito, questa “leadership nascosta” è il gruppo più organizzato in precedenza e quello che ha più mezzi finanziari per coprire i costi relativi ai sistemi audio, di trasporto, di distribuzione di cibo e acqua, ecc. Tuttavia, una leadership di movimento non ha bisogno di essere estremamente gerarchica e tradizionale o completamente orizzontale e invisibile. 

L’organizzazione è anche importante al di là dell’immediatezza delle proteste. È tempo che l’opposizione in Libano si percepisca come tale e che diversi gruppi si organizzino in base ai loro interessi sociali ed economici e si coordinino tra loro (cosa in cui l’oligarchia dominante eccelle!). È in tempi di tali esplosioni di strada che lamentiamo la mancanza di una preesistente organizzazione e sentiamo il bisogno di avere le nostre reti meglio attivate e più ampie. Riattivare e costruire nuovi sindacati, organizzarsi nei nostri luoghi di lavoro, organizzarsi come disoccupati, organizzarsi come donne, organizzarsi nei nostri quartieri, organizzarsi come studenti, ecc. Sono tutte forme importanti di organizzazione che possono costituire l’impalcatura del prossimo periodo. Alcune forme di una simile organizzazione, come gruppi femministi e gruppi di studenti, esistono già e sono tra gli aspetti più belli di questa rivolta. Un maggiore coordinamento tra i vari gruppi e tra le diverse regioni del Paese è cruciale.

2. Sollevare richieste chiare che siano abbastanza rivoluzionarie ma anche abbastanza specifiche. Ci sono molte richieste provenienti dalla piazza, soprattutto di natura socio-economica ovviamente, ma il movimento non ha ancora sviluppato una serie di rivendicazioni chiara che possono modellare un’alternativa desiderabile e convincente. Questo non è un appello al “pragmatismo”, ma piuttosto una richiesta di rivendicazioni progressiste rivolte all’assumere il controllo di alcune di quelle populiste che si sono diffuse nelle strade. La richiesta da parte di molti manifestanti di una presa del potere da parte dell’esercito è tra le richieste più pericolose in circolazione. È un peccato che abbiamo ancora bisogno di scrivere queste righe nel 2019 dopo tutto quello che abbiamo visto nella regione araba come conseguenza dell’intervento dell’esercito nelle rivolte.

Per non parlare del fatto che è stato proprio l’esercito libanese (non solo le forze di sicurezza) a scatenare la repressione più violenta contro i manifestanti venerdì sera.

Come possiamo fidarci di un esercito che sta difendendo la classe dominante e che usa la violenza barbarica contro i manifestanti? Un diverso, ma correlato, tipo di populismo diffuso nelle strade è la prevalenza del nazionalismo libanese evidente nelle bandiere, la ripetizione dell’inno nazionale (spesso accompagnato dal “saluto nazista”) e delle canzoni nazionaliste del 2005 che vengono suonate quasi tutto il giorno dagli altoparlanti di alcuni gruppi, rendendo meno udibili le voci più radicali e progressiste. Certo, è bello per il popolo libanese superare le divisioni settarie, ma il nazionalismo libanese non è necessariamente l’opposto del settarismo, né generalmente è un segno progressivo. È esattamente questo stesso discorso nazionalista che giustifica il razzismo contro i rifugiati siriani o palestinesi – un discorso modellato e distribuito dalle stesse élite al potere contro cui le persone stanno protestando (il campione di questo discorso razzista e nazionalista è il nome più citato nel canto dei manifestanti: il Ministro Gebran Bassil). Questa è una tendenza scivolosa in cui non dovremmo cadere. Ciò che ha mobilitato milioni di persone non è la mancanza di unità o patriottismo, è piuttosto la mancanza di giustizia e diritti socio-economici. 

Rimaniamo concentrati su quest’ultimo dato che è l’unico denominatore comune tra gli 1,2 milioni che si sono mobilitati finora. Tali richieste socio-economiche possono includere: 

1) il taglio immediato degli stipendi degli attuali e passati presidenti, dei parlamentari, dei ministri e degli ufficiali di primo grado;

2) la richiesta alle banche libanesi di rendere pubblico il debito nazionale che ha consumato la maggior parte del bilancio del Paese negli ultimi tre decenni;

3) imporre una tassazione progressiva;

4) risolvere immediatamente il problema del taglio dell’elettricità e dell’acqua (a spese dei cartelli delle società private di generatori e fornitori di acqua), (4) la richiesta di un soluzione ecologica per la gestione dei rifiuti, ecc.

Altre esigenze a livello regionale possono emergere in relazione alla specificità di ciascuna regione del Paese. A livello politico, alcuni manifestanti chiedono le dimissioni del governo e altri chiedono le dimissioni del presidente, mentre molti chiedono entrambe le cose contemporaneamente. Mentre personalmente non sono convinta che le dimissioni porteranno a cambiamenti reali (è un atto cosmetico che può dare l’impressione di una vittoria nelle strade mentre il regime si riproduce), è importante che le richieste di dimissioni siano accompagnate da richieste di processi e procedimenti giudiziari.

Non vogliamo che la classe dominante si dimetta e sia in grado di cavarsela per i suoi crimini, vogliamo giustizia! I giudici del Libano (molti dei quali hanno storicamente svolto un ruolo cruciale nella protezione della classe dirigente) devono essere ritenuti responsabili e costretti a svolgere il proprio ruolo. Una dichiarazione importante è stata rilasciata venerdì dall’Associazione dei giudici libanesi schierandosi con il popolo contro la classe dirigente. Questo dovrebbe essere preso sul serio e su questo agire.

3. Il rischio di contenimento e cooptazione non è ancora svanito. Mentre è vero che questa rivolta è spettacolare nel modo in cui i collegi elettorali dei partiti politici si sono rivoltati contro i loro stessi leader, i rischi di contenimento e cooptazione sono ancora lì (anche se meno probabili di prima). Finora la classe dirigente ha adottato lo stesso discorso rivolgendosi ai manifestanti: “hai ragione”, “ti capiamo”, “ti sentiamo”, ma “attenzione”! Perfino la mossa dei ministri delle Forze libanesi di consegnare le loro dimissioni al Primo Ministro non parla davvero un’altra lingua. Tutti hanno riconosciuto di avere torto e ognuno sta cercando di controllare la propria parte a modo suo.

L’ultimatum di 72 ore che il Primo Ministro si è dato (ironicamente!) iniziato con una pesante repressione nelle strade e centinaia di arresti. Ciò è stato seguito il giorno successivo da un violento attacco nella città meridionale di Tiro contro pacifici manifestanti da parte dei miliziani dei seguaci del partito Amal. Tale è il volto dei cambiamenti promessi che verranno dopo l’ultimatum di 72 ore. La speranza della classe dirigente di uccidere il movimento con la violenza è una vecchia tattica. Questa violenza può prendere la forma di forze di sicurezza dirette o di violenza e arresti dell’esercito, oppure può essere la violenza di Stato indiretto attraverso i suoi “criminali” e “miliziani” (come si vede anche con la “baltagia” (1) in Egitto o in Siria). Anche se questa volta potrebbe non funzionare completamente, il regime di solito usa la violenza insieme al suo altro strumento di contenimento: le reti di clientela. I leader confessionali non minacciano solo le persone nel loro lavoro e nella loro posizione sociale, ma minacciano anche di rimuovere la loro protezione e di perseguitare quelli che si oppongono a loro (soprattutto se rimangono al potere, come nel 2015!). Lo smantellamento delle reti clientelari può avvenire pienamente solo con lo smantellamento dell’intero regime del consociativismo confessionale unito al neoliberismo.

La rivoluzione ha già pagato un prezzo elevato con almeno 6 morti e centinaia di feriti negli ultimi tre giorni. Il Libano ha un’opportunità d’oro per creare un’alternativa, non dovremmo lasciare che la classe dominante si riproduca di nuovo. La rivoluzione libanese di ottobre deve continuare!

 NOTA

1) dal termine  baltaguia: un scagnozzo, pagato dal potere per combattere l’opposizione politica in ogni modo.

Tratto da: www.opendemocracy.net

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