(III) SIRIA, CURDI E INTERVENTI ESTERNI

Terza parte dell’intervista di Yusef Khalil per Jacobin con Yasser Munif.

 

Sembra che i curdi abbiano il programma più progressista tra la pletora di attori sulla scena siriana. Come possiamo comprendere ciò che hanno ottenuto in Rojava e qual è la loro relazione con la rivoluzione, il regime, la Turchia, gli Stati Uniti, e anche tra loro stessi?

L’esperimento del Rojava ha ovviamente alcuni aspetti progressisti e sta attuando alcune forme di politiche orizzontali nella regione curda nel nord della Siria, cercando di creare delle reti basate su politiche locali. Lo donne hanno un ruolo importante in quelle regioni. Stanno sperimentando l’autonomia e l’autodeterminazione  con nuove idee e sicuramente ci sono degli aspetti positivi.

Tuttavia, il problema principale con quell’esperimento è che il PYD ha l’egemonia nella regione ed ha soffocato ogni forma di opposizione. Nel 2011 e 2012, si oppose al movimento di base curdo che sosteneva la rivoluzione. Corre persino voce che il PYD fosse coinvolto nell’assassinio di Mashal Tammo, uno dei più importanti leader intellettuali nella regione e oltre. Ha inoltre emarginato tutti i partiti curdi che non approvavano completamente le sue politiche. Più recentemente, hanno dato fuoco alla sede centrale di un partito politico ed hanno esiliato molti degli esponenti di Hasek, Qamishlo e di altri luoghi.

Questo è il problema più grosso. Il PYD ha troppa egemonia nella regione. Monopolizza il processo decisionale senza consentire alcuna forma di opposizione o negoziazione. Ma è importante distinguere, per evitare confusione tra il PYD come partito politico e la popolazione curda, che ha rivendicazioni legittime e che combatte da tempo per la propria autonomia e autodeterminazione e si oppone allo sciovinismo arabo. Queste sono naturalmente richieste legittime, che gli arabi siriani ed altri dovrebbero sostenere.

Il problema principale è col PYD e con il tipo di alleanze che ha stabilito con il regime russo e siriano. Non sono sempre alleanze esplicite. Spesso si tratta di accordi impliciti con il regime siriano, di un’astensione da qualsiasi tipo di conflitto tra il regime e il PYD. L’accordo principale è che quelle regioni siano tenute fuori dalla zona di guerra. Il regime siriano non li bombarda. Non esiste violenza di Stato e i curdi non si oppongono al regime siriano in maniera diretta.

È questo il motivo per cui il PYD si è opposto alla rivolta siriana e alla rivoluzione, e perché lo denigra, spesso descrivendolo in termini molto negativi. Parlano spesso della rivolta siriana in termini sciovinisti e orientalisti, specialmente quando sono in Occidente. Tendono a rappresentare la rivoluzione come violenta, capeggiata da jihadisti; raccontano che le donne siriane sono oppresse, che non hanno nessun ruolo nell’insurrezione. Utilizzano in pratica cliché della propaganda orientalista contro la rivoluzione siriana per evitare di sostenerla e incorrere in scontri con il regime siriano.

Il regime siriano è disposto a concedere loro una certa autonomia grazie a questo tipo di posizione. Questo è il problema principale con i curdi, ma naturalmente hanno rivendicazioni legittime e bisogna opporsi alla guerra del governo turco contro i civili nella regione curda in Siria e in Turchia.

Come si può comprendere la genesi dell’ISIS e chi è responsabile dalla sua comparsa e della sua crescita? Il governo siriano, la Russia, l’Iran, Hezbollah e la coalizione guidata dagli Stati Uniti stanno tutti apparentemente combattendo l’ISIS. Come fa quindi a sopravvivere?

È ovvio che l’Isis ha diverse origini genealogiche. La sua comparsa risale allo scontro tra Russia e Stati Uniti e il flusso di mujaheddin, gli afgani arabi, come erano chiamati al tempo, dal Golfo e da altre regioni dell’Afghanistan.

A quel tempo erano sostenuti dagli Stati Uniti, e questa è una storia accertata. C’è un’ ampia documentazione su come gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita hanno finanziato la lotta dei mujaheddin. Li chiamavano “freedom fighters.” Furono molto efficienti nel minare la presenza Russa in Afghanistan. Naturalmente erano strumentali per indebolire i sovietici e quindi strumentali anche alla caduta dell’Unione Sovietica.

Questa è la prima origine dell’ISIS, che è precedente ad Al-Qaeda. L’altra dimensione sono le dittature arabe nella regione. I dittatori arabi avevano eliminato ogni tipo di opposizione politica, prevenuto la comparsa di partiti politici ed avevano esiliato ogni tipo di figura politica oppure le aveva incarcerate, torturate e spesso uccise. Gli unici spazi rimasti disponibili dove avere qualche tipo di discussione politica significativa erano le moschee e altri ambiti simili.

Il regime siriano e altri regimi arabi avevano aperto alcuni spazi ai salafiti e ai sufi purché non interferissero in questioni politiche. Potevano avere le loro scuole e le loro cliniche. Erano attivi in Siria ed erano abbastanza egemonici. Il regime siriano usò i salafiti per indebolire il potere dei Fratelli Musulmani. La dimensione della dittatura araba è essenziale per comprendere l’ISIS, che è composto dai diversi gruppi salafiti nella regione araba.

C’è anche la questione dell’ideologia wahhabita dei sauditi. I sauditi hanno esportato, e continuano a farlo, l’ideologia wahhabita nell’intera regione e altrove e lo possono fare grazie alla loro ricchezza e al petrolio presente nel loro Paese. Hanno anche indebolito la sinistra nella regione araba, che era percepita come una seria minaccia per gli interessi sauditi e statunitensi. Per questo l’Occidente non si oppose al progetto saudita. I sauditi hanno acquisito sempre più egemonia. Hanno contrastato Abdel Nasser e il nazionalismo arabo, i partiti progressisti e il comunismo arabo finanziando scuole e università e studiosi e anche usando l’ideologia wahhabita.

Quindi è stata l’unione di tutti questi fattori, oltre alla marginalizzazione e alla povertà di grandi fasce della popolazione in Siria e in Iraq. Infine, c’è la guerra in Iraq e l’invasione statunitense, che è stata la causa più diretta della comparsa di Al-Qaeda in Iraq, e dopo dell’ISIS. Bisogna collocare l’ISIS in questa cornice e intenderlo come il risultato di molteplici origini.

Per quanto riguarda la seconda parte della domanda: sì, la Russia, l’Iran, Hezbollah, gli Stati Uniti e altri stanno combattendo l’ISIS, ma per molti aspetti c’è anche tanta astensione da questa battaglia. La Russia, l’Iran, Hezbollah e il regime siriano hanno cercato di evitare uno scontro diretto con l’ISIS almeno fino al 2015. Dal punto di vista del regime siriano, l’ISIS era molto utile per combattere la rivoluzione siriana, per fermare l’onda dell’insurrezione e per trasformare la rivoluzione in una guerra jihadista tra il regime laico e quel gruppo fondamentalista islamico, l’ISIS. Il regime dette queste due opzioni all’Occidente e ha presentato il conflitto come una guerra tra terroristi e il regime siriano. L’Occidente ha dovuto scegliere il male minore, cioè il regime siriano.

La Russia e l’Iran hanno usato strategie simili, evitando ogni tipo di conflitto con l’ISIS fino a che non è stato necessario o fino a che l’ISIS non li ha attaccati direttamente. Solo recentemente si sono messi a combattere l’ISIS per motivi propagandistici, per mostrare al mondo che sono in guerra contro l’ISIS, ma non ci vi è stato nessun vero scontro con l’ISIS fino al 2015.

La maggior parte dei combattimenti contro l’ISIS sono stati condotti in realtà dall’Esercito Siriano Libero, dall’opposizione siriana e più recentemente dai curdi.

Di cosa c’è bisogno per sconfiggere definitivamente l’ISIS e la sua ideologia reazionaria? Assad è davvero il male minore rispetto all’ISIS?

Non penso che ci sia modo di sconfiggere l’ISIS e altri gruppi jihadisti simili senza prima sconfiggere Assad. Ciò vale per l’intera regione e per il tipo di relazione intrinseca tra dittatura araba e quei gruppi jihadisti. Sono complementari, hanno bisogno l’uno dell’altro, traggono energia l’uno dall’altro. Questi gruppi fondamentalisti non possono essere sconfitti fino a che abbiamo dittatori arabi al potere.

Come ho indicato prima, i dittatori arabi usano l’Islam politico e il salafismo per consolidare il loro dominio e per assicurarsi che questa potenziale minaccia islamista sia sempre presente, in modo da far arrivare il messaggio alle minoranze, ma anche a chi si oppone ai salafiti o ad Al-Qaeda, che l’unico modo per impedire a quei gruppi di prendere il potere sono i dittatori arabi.

Penso che la chiave per sconfiggere l’ISIS e Al-Qaeda nella regione sia far cadere i dittatori arabi, ma anche opporsi a qualsiasi tipo di intervento straniero, sia occidentale che russo, perché spesso i gruppi jihadisti giustificano le loro guerre sostenendo che ci sono interventi stranieri, che l’Occidente sta combattendo i musulmani, che c’è una minaccia occidentale e così via. Se non ci fosse intervento straniero o le dittature arabe, quei gruppi non potrebbero operare. Hanno bisogno del caos. Hanno bisogno della marginalizzazione, della povertà, della dittatura, della mancanza di spazi politici, per operare e funzionare. Senza questo non riceverebbero impulso né potere.

Quali tipi di movimenti locali, regionali  e internazionali sono necessari per sconfiggere queste forze controrivoluzionarie, dall’ISIS alle dittature, per realizzare la democrazia a cui le mobilitazioni arabe del 2011 aspiravano?

Abbiamo naturalmente bisogno di movimenti sociali progressisti, movimenti di base che comprendano la natura delle insurrezioni arabe e capaci di comprendere la natura dei regimi arabi, il modo in cui sono costruiti e il tipo di alleanze che sono stati capaci di creare, e costruire una strategia per contrastarli. Devono operare su diversi fronti. Da una parte, devono produrre un tipo di politica che sia più o meno orizzontale, democratica, che prenda in considerazione le diverse fasce di popolazione, che non emargini nessun gruppo, etnico o religioso e che contrasti gli interessi degli Stati Uniti e di altre potenze nella regione.

Prima ha parlato dell’intervento straniero. Passiamo a vedere chi sono gli attori regionali e internazionali in Siria. Sappiamo che l’Esercito Siriano non è stato capace di reclutare abbastanza truppe e che quindi sta usando l’aeronautica militare russa, le forze militari iraniane, unità di Hezbollah e milizie sciite provenienti dall’Iraq e da altri Paesi. Quanto sono fondamentali queste forze per la sopravvivenza del regime?

Ci sono due ragioni principali per cui il regime siriano si serve di combattenti stranieri. La prima, come ho detto, è che il regime siriano sta spingendo per un’internazionalizzazione del conflitto, per incoraggiare l’intervento straniero. Invitando Hezbollah, le milizie sciite irachene, l’Iran e la Russia a partecipare nel conflitto siriano, ha anche incitato altri stati e regioni a giocare un ruolo importante, e ci è riuscito.

Inoltre, il regime siriano, specialmente dal 2012 o 2013, ha avuto bisogno di quelle truppe straniere. Combattendo su diversi fronti, l’esercito siriano era esausto e oberato. Inizialmente il regime ha invitato le milizie irachene e Hezbollah a intervenire in Siria per proteggere i luoghi sacri sciiti, ma quello è stato solo un pretesto. Successivamente, quelle forze ebbero un ruolo, orchestrato dall’Iran, molto più importante.

Non è chiaro quanti membri delle milizie stiano combattendo, ma secondo diverse stime, ci sono tra i venti e i trentamila combattenti iracheni, afgani e di Hezbollah, oltre alla Guardia Rivoluzionaria Iraniana, l’esercito siriano e i russi, che dal settembre 2015 sono coinvolti molto più direttamente.

Il regime è stato sul punto di cadere due volte negli ultimi cinque anni. Nel 2013, quando Hezbollah e Iran ebbero un ruolo principale specialmente nella battaglia di Qusayr, dove Hezbollah è stato esplicitamente coinvolto nel conflitto. La seconda volta quando Assad fece un discorso molto disfattista nell’estate del 2015 e i russi sentirono la necessità di intervenire, cominciando la campagna di bombardamento aereo.

Da allora, ad Aleppo e Idlib la situazione è estremamente violenta. Queste forze, quindi, sono assolutamente essenziali per il regime. Non sono importanti soltanto i membri delle milizie, ma anche i finanziamenti, l’equipaggiamento e le armi che l’Iran e la Russia forniscono al regime siriano. Senza questi non credo che il regime potrebbe durare a lungo.

Che interessi ha la Russia in Siria? I sostenitori di Assad nei Paesi occidentali insistono che l’intervento russo in Siria sia legittimo secondo lo statuto delle Nazioni Unite perché sono stati invitati dal governo siriano.

Il regime siriano è illegittimo. È una dittatura. È uno stato terrorista, non necessariamente nell’accezione occidentale di questo termine, ma nel senso che sta terrorizzando la popolazione siriana da ormai cinque anni, per cui si tratta di un governo illegittimo e come tale tutte le sue azioni sono illegittime, incluso l’invito all’Iran e alla Russia. Il ragionamento che si cerca di fare a sinistra non è convincente.

Gli interessi russi nella regione e specialmente in Siria sono molteplici. Bisogna considerare la questione a livello geopolitico, economico e politico. A livello geografico la Russia vorrebbe avere una presenza nella regione. Era già presente prima dell’insurrezione siriana, con una base navale a Tartus. La Russia considera la Siria una regione strategica perché le darebbe accesso al Mediterraneo e all’intera regione.

Inoltre, la Russia usa la Siria come strumento di contrattazione per consolidare la sua posizione in altre regioni come l’Ucraina e i Balcani, dove combatte da tempo contro l’Occidente e teme che alcuni Paesi balcanici diventino membri Nato. Per loro, la Siria ha una funzione simile ad altri Paesi come lo Yemen e l’Iran.

C’è poi il livello politico. La politica estera russa, almeno da quando Putin ha preso il potere, è fondata sull’anti-atlantismo ed è stata costantemente contrapposta alla presenza degli Stati Uniti non solo nella regione araba, ma anche in altre. La Siria è diventata uno di quei punti caldi in cui la Russia sente il bisogno di dimostrare la sua posizione all’Occidente e perciò non la vuole assolutamente lasciare all’Occidente. Inoltre, sta usando la Siria per contrastare alcuni gruppi jihadisti perché la Russia è convinta che, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, esista un complotto contro lo Stato russo e che ci siano diversi gruppi o regioni asiatiche dominate dai jihadisti che  potenzialmente potrebbero scindersi a causa del proseguimento delle rivolte arabe.

Fin dai primissimi tempi, la Russia si è opposta alla rivoluzione araba, ritenendo che fosse un complotto dell’Occidente contro la Russia e che fosse una continuazione della rivoluzione di velluto (del 1989, ndr). Si è opposta alla rivoluzione siriana per lo stesso motivo.

Infine, ci sono le ragioni economiche. Non sono così considerevoli come quelle politiche e geografiche, ma esistono. Prima della rivoluzione del 2011, la Russia aveva uno scambio commerciale con la Siria di almeno venti miliardi di dollari, che vorrebbe conservare ed espandere in futuro. È importante considerare tutte queste dimensioni.

Che ruolo hanno avuto invece gli Stati Uniti e le monarchie del Golfo nell’armare e finanziare alcuni gruppi e come questo ha influenzato la coerenza del movimento rivoluzionario contro la dittatura?

Gli Stati Uniti hanno una posizione molto ambigua riguardo alla ribellione siriana. Gli Stati Uniti sotto Obama erano restii ad essere troppo coinvolti in Siria perché non volevano impegnare nuove truppe o finanziare nuove guerre nella regione. Erano più interessati a una presenza in Asia orientale e in altre regioni. C’era ovviamente qualche tensione all’interno del governo. Per esempio l’ambasciatore Ford e Hillary Clinton avevano posizioni leggermente diverse.

Gli Stati Uniti erano inoltre interessati a fermare l’ondata delle rivolte arabe e la Siria era un buon luogo per farlo, incoraggiandone la militarizzazione e una guerra di logoramento, indebolendo la rivolta araba e facendo capire alle popolazioni che le rivoluzioni potevano un giorno finire in un bagno di sangue.

Inoltre gli Stati Uniti non erano necessariamente opposti ad un coinvolgimento dell’Iran e di Hezbollah in Siria, in modo da indebolire queste due importanti potenze nella regione e aiutare così Israele. I Paesi del Golfo avevano ragioni simili per ostacolare la rivolta siriana. Spesso i Paesi del Golfo vengono presentati come un sostenitori della rivolta e della rivoluzione ma è un’impressione sbagliata, a mio parere.

Fin dall’inizio i Paesi del Golfo hanno sostenuto il regime siriano e hanno continuato a sostenerlo per almeno sei mesi, fino a quando hanno visto che si trattava di una battaglia persa. Così hanno iniziato a sostenere i gruppi conservatori e reazionari dell’opposizione e sono entrati in gioco, finanziando quei gruppi e ostacolando invece i gruppi più progressisti e laici. Per il Qatar e l’Arabia Saudita era importante avere un ruolo politico, ed è questo che stanno facendo in Siria.

Vi è stato anche qualche conflitto tra il Qatar e l’Arabia Saudita. Il Qatar sosteneva i Fratelli Musulmani in Siria, in Egitto e in Tunisia, mentre l’Arabia Saudita era più interessata a finanziare gruppi salafiti e jihadisti. La Siria è stata anche usata dai Paesi del Golfo per mandare un segnale alle loro popolazioni che una rivoluzione può finire in guerra civile ed essere molto violenta. Era un avvertimento alle loro popolazioni: innescare una rivolta poteva portare ad una situazione simile a quella siriana. È  una combinazione di questi diversi elementi che ha portato i Paesi del Golfo ad avere un ruolo sempre più importante in Siria.

(3. Continua  Cosa deve fare la sinistra”)
(Torna alla prima parte  La Siria e la sinistra”)
(Torna alla seconda parte  Il regime di Assad e la rivoluzione”)

Intervista di Yusef Khalil per Jacobin con Yasser Munif, uno studioso siriano dei movimenti di base nel Paese.

Traduzione di Valentina Benivegna

Tratto da: https://www.jacobinmag.com/2017/01/syria-war-crisis-refugees-assad-dictatorship-arab-spring-intervention-russia/

 

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