LA POLITICA ESTERA DI TRUMP

di Gilbert Achcar

Che cosa significa la vittoria di Trump per il Medio Oriente?
Siriani e palestinesi saranno i maggiori a soffrire con la chiusura delle porte ai rifugiati, mentre le relazioni USA-Israele saranno modificate.

Per quanto riguarda la politica estera in generale e del Medio Oriente in particolare, Donald Trump, il nuovo Presidente degli Stati Uniti, potrebbe risultare come l’uomo più imprevedibile di quelli che  hanno occupato questa posizione da quando il suo paese ha iniziato ad esportare all’estero la politica imperialista, a partire dalla fine del 19esimo secolo.

Trump ha contraddetto se stesso e cambiato posizioni e/o tono su diverse questioni più volte durante la campagna elettorale. A giudicare, tuttavia, ciò che ha ribadito con insistenza dallo scorso anno su alcuni temi chiave, ecco cosa si può intuire su questo punto, sul modo con il quale la sua presidenza può interessare il Medio Oriente:

il popolo siriano sarà il primo a soffrire dalla sua elezione. Le porte degli Stati Uniti saranno chiuse ai potenziali rifugiati siriani, forse con un’eccezione fatta per i cristiani in quanto le esternazioni di Trump contro i profughi siriani sono sempre state incentrate sull’islamofobia.

Per interrompere del tutto il flusso di rifugiati provenienti dalla Siria, Trump ha sostenuto la creazione di una “zona sicura” all’interno dei confini del paese, dove i siriani sfollati verrebbero concentrati piuttosto che permettergli di muoversi come rifugiati. Si è vantato che avrebbe fatto pagare per questo gli Stati arabi del Golfo, così come avrebbe fatto pagare il Messico per la costruzione del muro sul confine tra i due Paesi.

In secondo luogo, Trump inaugurerà una nuova politica di amicizia e collaborazione con il presidente russo Vladimir Putin, sulla base di accogliere gli interessi della Russia. In Medio Oriente, questo significa accettare il ruolo della Russia in Siria come positivo e sostenere il regime di Bashar al-Assad, come il male minore.

Questo comporterà  logicamente la richiesta ai  tradizionali alleati degli Stati Uniti nella regione di cessare di sostenere l’opposizione armata siriana. Washington sarebbe poi alleata con Mosca per la creazione di un ‘governo di coalizione’ che includerebbe i membri dell’opposizione concilianti con il regime. Questo potrebbe aprire la strada alla collaborazione degli Stati Uniti con il regime di Assad in nome della ‘guerra al terrore’.

Perseguendo con la politica di favorire ‘uomini forti’ al potere, che condivide con Putin, Trump vorrà migliorare i rapporti di Washington sia con il presidente egiziano Abdel-Fattah el-Sisi sia con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

Lui può tentare di riavvicinare i due uomini e invitarli ad aderire ad uno sforzo congiunto contro il ‘terrorismo’ accettando la definizione che ogni presidente considera come terrorismo nel proprio paese.

Dal momento che Trump è pronto a opporsi all’Iran revocando l’accordo nucleare negoziato dall’amministrazione Obama, egli potrebbe anche cercare di coinvolgere l’Arabia Saudita a unirsi a quello che diventerebbe un triangolo sunnita con Ankara, Cairo e Riyadh sostenuto da Washington.

Qui sta l’incongruenza principale nella visione di Trump per il Medio Oriente (mentre il suo atteggiamento ostile nei confronti della Cina è l’inconsistenza principale della sua visione globale): questo progetto richiede di portare sia Mosca che il regime di Assad a rompere con Teheran.

Infine, un altro ‘uomo forte’ regionale i cui rapporti con Washington possono notevolmente migliorare sotto Trump è Benjamin Netanyahu. Così, un’altra vittima diretta dell’elezione di Trump sarà il popolo palestinese in quanto Netanyahu avrà maggiore mano libera nel trattare con loro, di più di qualsiasi altro primo ministro israeliano da quando Ariel Sharon ha avuto lo stessa possibilità a causa degli attacchi dell’11 settembre 2001.

Originale: www.aljazeera.com/indepth/features/2016/11/trump-victory-middle-east-161107105151822.html

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