TRA NETANYAHU E IL GRAN MUFTI’ (1)

Cinzia Nachira

L’ondata di polemiche scatenata dal discorso di Benjamin Netanyahu al congresso mondiale sionista a Gerusalemme il 20 ottobre si è concentrata sull’affermazione con cui il primo ministro israeliano ha addossato al nazionalismo arabo la responsabilità di essere stato complice attivo dello sterminio degli ebrei europei che fu pensato, pianificato e messo in atto dai nazisti negli anni quaranta del secolo scorso.

Ora che questa polemica è sparita dalle prime pagine dei giornali, è possibile cercare di ragionare intorno alla boutade di Benjamin Netanyahu e riguardo alle reazioni che ha provocato.

Nella storia dell’umanità sono numerosissimi i casi in cui questo mezzo è stato utilizzato per giustificare l’ingiustificabile: dall’antichità  ai nostri giorni. È indispensabile, pur rischiando di essere accusati di sottovalutare questo episodio, dire in modo chiaro che Benjamin Netanyahu nell’uso politico della storia è in ottima compagnia, soprattutto in Occidente.

Leggendo i commenti sdegnati di molti commentatori, anche autorevoli, si può tirare un triste bilancio da questa diatriba. Lo scandalo non è rappresentato tanto dalle conseguenze concrete che quell’affermazione avrà sul destino del popolo palestinese, quanto sul fatto che “il cattivo per eccellenza”, Adolf Hitler, viene graziato dalle sue responsabilità storiche. L’identificazione del male assoluto con Hitler (solo con lui e non con il sistema che creò) è per gli europei una comoda scorciatoia per continuare a non fare i conti con le proprie responsabilità storiche, che, inoltre, li sottrae all’imbarazzante compito di fare un bilancio serio. A settant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale molti pensano sia sufficiente ribadire che l’affermazione delle democrazie sul continente europeo è la dimostrazione che quella tremenda parentesi è definitivamente chiusa e non potrà più ripetersi, perché non sarà più possibile che in Europa emergano figure anche solo lontanamente paragonabili a Adolf Hitler. Non è un caso se il governo tedesco ha detto immediatamente e seccamente che la storia non si riscrive e che le responsabilità tedesche nel genocidio degli ebrei europei sono ormai riconosciute, quindi l’argomento è chiuso; deve essere chiuso. Nessuno è autorizzato a riaprirlo, né per dire falsità come nel caso di Benjamin Netanyahu, né per cogliere, forse, l’occasione di riflettere più attentamente su quel periodo. Questo può, eventualmente, essere un “gioco” riservato agli intellettuali e  agli accademici, purché lo facciano in circoli ristretti, in libri costosissimi che leggeranno pochissime persone. D’altronde in molti Paesi europei, Italia in primis, ormai lo studio nelle scuole e nelle università della storia, della filosofia come della letteratura è stato ridotto al rango di serie B. È ritenuto per i nostri giovani uno spreco inutile di tempo: basta la propaganda. A nessuno viene più in mente che prima di giudicare è necessario ed indispensabile capire e conoscere.

Viviamo in un mondo in cui tutto è ridotto alla distorsione della realtà, quindi, assai probabilmente, pur sapendo di mentire spudoratamente, Benjamin Netanyahu e chi gli ha scritto quel discorso pensavano di uscirne indenni. D’altronde fin dall’autoproclamazione dello Stato di Israele nel 1948, le molte mistificazioni storiche, geografiche, politiche e culturali sostenute da Israele e dai gruppi dirigenti israeliani, di qualunque origine politica, per giustificare il progetto coloniale da cui nasceva lo Stato, sono sempre state coperte e giustificate. Adesso con la rivolta palestinese in atto dagli inizi di ottobre, il governo israeliano vuol cogliere l’occasione per ribadire una teoria strutturale del sionismo: i palestinesi, come gli arabi più in generale, meritano ciò che subiscono da Israele (occupazione, colonizzazione, spoliazione ed espulsione) perché sono responsabili della Shoah. In un’intervista del 2010 rilasciata al giornale israeliano Yedioth Ahronoth, Gilbert Achcar spiegava bene il nodo cruciale della questione:

L’ex ministro degli Esteri Tzpi Livni ha protestato presso il segretario generale delle Nazioni Unite per l’uso del termine Nakba, che in arabo significa «catastrofe». Come se si protestasse contro l’uso fatto da Israele del termine Shoah.
Nel mio libro (1), denuncio vigorosamente i negazionisti palestinesi e arabi, che oggi sono più numerosi che trenta o quaranta anni fa. Si tratta principalmente di una reazione provocata dalla rabbia piuttosto che negazionismo deliberato. Il palestinese o l’arabo che pretende che la Shoah sia stata inventata dai sionisti per giustificare le loro azioni reagisce all’uso della Shoah da parte di Israele per le proprie necessità
È una reazione stupida. Credo che la negazione della Shoah sia l’antisionismo degli imbecilli. Ma queste sono persone che negano un evento storico nel quale il loro popolo non ha svolto alcun ruolo. Invece, la negazione della Nakba da parte di Israele è molto più importante, perché è Israele che ne è stato responsabile. Quello è stato un momento decisivo nella fondazione di Israele. Anche altri Paesi si sono costituiti in circostanze simili, ma bisogna riconoscere la realtà e la responsabilità storica. (2)

Non è esiziale, né tantomeno un artificio moralistico l’invito al riconoscimento delle responsabilità storiche; al contrario partendo da queste si può cogliere ancora più evidentemente e chiaramente la gravità delle affermazioni di Benjamin Netanyahu. È fin troppo facile indignarsi e scandalizzarsi per l’ “assoluzione” di Adolf Hitler da parte di colui che pretende di essere il rappresentante delle vittime del genocidio degli ebrei europei. Ma, probabilmente, non è un caso se il resto del discorso del 20 ottobre non ha ricevuto la stessa attenzione e la stessa risonanza di quell’unica frase. Invece, leggendo il testo integrale di quel discorso (3) emerge in modo chiarissimo l’obiettivo di Benjamin Netanyahu: cancellare con un colpo di spugna le responsabilità storiche dello Stato di Israele con le sue pretese colonialistiche nella destabilizzazione generale della regione del Vicino Oriente.

Il primo ministro israeliano lo ha detto in modo esplicito in un altro passaggio del suo discorso:

Ora, quattro anni dopo la primavera araba e le convulsioni che vi sono, la disintegrazione della Siria, la disintegrazione dell’Iraq, la disintegrazione della Libia, le guerre in Yemen, il caos nel Sinai e tutto ciò che scuote il Nord Africa e il Medio Oriente (…) c’è grande sconvolgimento. Che cosa c’entra con il conflitto israelo-palestinese? E la risposta è: nulla. Eppure, questo è stato ripetuto più e più e più volte. C’erano due verità – questa era una. Il cuore del conflitto è stato il conflitto israelo-palestinese; e il cuore del conflitto israelo-palestinese sono stati gli insediamenti. Nessuno dei due argomenti è vero. (4)

Benjamin Netanyahu ha tentato di risolvere due problemi cruciali per Israele: il rapporto con la diaspora ebraica in Occidente e con i suoi alleati occidentali. Per questo motivo il passaggio appena citato del discorso assume un’importanza particolare. Il messaggio è, dal punto di vista israeliano, del tutto lineare: molte volte è stato chiesto a Israele di raggiungere un accordo con i palestinesi, di rinunciare almeno a una parte dei propri progetti coloniali per arrivare ad una stabilizzazione generale della regione. La deflagrazione di una parte significativa di quell’area dopo il 2011 per motivi non collegati direttamente all’esistenza dello Stato di Israele, secondo Benjamin Netanyahu, dimostrerebbe l’infondatezza di quelle richieste. Riguardo alla diaspora ebraica, chiaramente è un invito a non credere che la “normalizzazione” dello Stato si dovrebbe basare sulla rinuncia  alle colonie o alla sua specificità ebraica.

Probabilmente, l’ “assoluzione” di Adolf Hitler da parte del primo ministro israeliano avrà, sul medio e lungo periodo, ricadute negative nel rapporto con la diaspora. I tentativi che diversi governi israeliani hanno fatto negli ultimi anni di spingere gli ebrei europei verso “nuove Aliyah”, ossia il trasferimento in Israele, non hanno raggiunto i risultati sperati. Ormai da molto tempo un numero crescente di ebrei israeliani, soprattutto di origine europea, anche tra coloro che sono nati in Israele, avendo la doppia cittadinanza, hanno la tendenza ed emigrare.

Dopo le stragi di Parigi del 2015, Benjamin Netanyahu rivolgendosi alla comunità ebraica francese (una tra le più conservatrici d’Europa) tentò di convincere gli ebrei francesi che quelle stragi rappresentavano il ritorno del più aggressivo antisemitismo di stampo nazista e che l’unico modo per avere salva la vita era di andare in Israele. L’accoglienza da parte della grande maggioranza degli ebrei francesi di questo invito è stata negativa e la risposta più diffusa era: la Francia è il nostro Paese e non ci sentiamo abbandonati né dalle istituzioni, né dal popolo francese. Ovviamente, anche le istituzioni francesi a partire dal Presidente della Repubblica François Hollande, hanno reagito in modo stizzito sottolineando che in Francia gli ebrei non erano in pericolo e che quelle stragi avevano colpito tutta la nazione e non solo un suo un segmento. Il clima che si era creato intorno a Netanyahu sembrava riecheggiare le frasi pronunciate dal re del Marocco Muhammad V nel 1940, quando il governo di Vichy tentò di trasferire in Francia gli ebrei marocchini, per consegnarli ai nazisti: “Cercate degli ebrei? Ecco ne avete davanti uno, sono io!” per poi aggiungere: “i miei ebrei non si toccano!”. (5)

Se si vuole, oggi per motivi diametralmente opposti a quelli del gennaio 2015 ancora una volta gli ebrei europei, anche quelli più fedeli sostenitori dello Stato di Israele, sono stati costretti a prendere le distanze in modo chiaro da Benjamin Netanyahu.

Non solo Israele, ma tutto il mondo ebraico della diaspora, è oggi costernato e non potrà facilmente dimenticare l’intervento di Netanyahu che parlando al XXXVI Congresso sionista di Gerusalemme ha di fatto ridotto e sminuito le responsabilità di Adolf Hitler, fin quasi alla negazione. (6)

Con queste parole severe Donatella Di Cesare ha stigmatizzato, dalle pagine del Corriere della Sera, la sortita di Benjamin Netanyahu e più avanti, nello stesso articolo è stata assai esplicita riguardo a ciò che la diaspora si aspetterebbe dal primo ministro israeliano:

Con le sue parole Netanyahu mostra di non aver compreso, o di non voler comprendere, che cosa ha significato Auschwitz. E non basterà chiedere scusa ai sopravvissuti, ai parenti delle vittime, e a tutti gli ebrei costernati oggi dopo questa patetica, importuna e deplorevole boutade del premier. (…) l’abuso della Shoah in un discorso pubblico per acquisire consensi. È forse proprio questo che offende e irrita di più. Perché ci si poteva attendere da altri un disinvolto e bieco cinismo, che pure ogni giorno si tenta di contrastare. Non certo dal primo ministro dello Stato di Israele. (7)

Per un altro verso, è obbligatorio ricordare a Donatella Di Cesare, come a tutti gli intellettuali – ebrei e non – che oggi si dicono sdegnati per quest’ultima sortita di Benjamin Netanyahu che l’abuso della Shoah non può essere denunciato con forza solo in questo caso. È eticamente necessario, forse l’unica vera di uscita, ribadire che assumersi le proprie responsabilità storiche e politiche è un atto di onestà necessario perché non è possibile restituire la dignità dovuta ad alcune vittime e ignorarne delle altre, abbandonandole all’oblio e all’umiliazione. Inoltre, la stessa Donatella di Cesare, in un altro articolo pubblicato il 25 ottobre sempre sul Corriere della Sera (8), dal titolo inequivocabile: Il sionista Spinoza Il filosofo ebreo, mai «scomunicato» dai rabbini, vedeva nella Bibbia le origini della democrazia e ipotizzava la nascita di un nuovo Stato d’Israele, fa marcia indietro commettendo vari anacronismi e varie omissioni. Non è possibile qui entrare nel merito dell’analisi dell’opera di Baruch Spinoza, ma dopo aver accusato Benjamin Netanyahu di “non aver capito la lezione di Auschwitz”, due giorni dopo sente la necessità di arruolare al sionismo il filosofo olandese e questo non è certamente casuale. Infatti, la Di Cesare sostiene:

Per Spinoza l’«elezione» degli ebrei, legata alla storia, è politica, motivata dalla loro forma di governo. E scrive: «Potrei assolutamente credere che, se si presentasse la possibilità, gli ebrei ricostruiranno un giorno il loro Stato e Dio li eleggerà di nuovo». Spinoza è stato il primo sionista? L’aveva già riconosciuto con chiarezza Moses Hess nel suo scritto del 1862 Roma e Gerusalemme. (9)

Moses Hess nel 1862 può anche essersi ispirato a quelle parole di Baruch Spinoza o alla sua opera intera, tuttavia ciò non fa per nulla del filosofo il primo sionista. Per il buon motivo che all’epoca in cui Baruch Spinoza scriveva, viveva e pensava non esisteva, neanche in nuce, il sionismo politico che aveva il progetto dello Stato di Israele per come poi è stato realizzato. Ma, evidentemente, l’intento di Donatella Di Cesare è un altro, ossia quello di dimostrare che Israele è una democrazia piena. Lo fa, in modo abbastanza imbarazzante, raccontando le alterne vicende che hanno riguardato proprio l’opera di Baruch Spinoza a lungo non tradotte in ebraico perché il filosofo era ritenuto “reietto” per le sue posizioni razionalistiche, solo nel 1927, dopo tre secoli fu tolto il bando e poi nel 1953 David Ben Gurion disse che era venuto il momento di riparare al torto traducendo le opere di Baruch Spinoza in ebraico. In definitiva, la vicenda del filosofo olandese ricorda da vicino quella di Galileo Galilei e sarebbe bene prendere atto che le gerarchie cattoliche come quelle rabbiniche e politiche israeliane hanno impiegato dei secoli ad ammettere l’errore. Invece, l’autrice insistendo, dice:

Dove c’è schiavitù, però, non ci può essere democrazia. Per Spinoza è stato il popolo ebraico a introdurre per la prima volta la democrazia nella storia del mondo. In una pagina magistrale situa quell’istante all’uscita dall’Egitto. Liberati dall’oppressione, gli ebrei seguirono il richiamo del Dio sovversivo che fece uscire il popolo «con braccio teso». (10)

Ma perché è necessario questo per Donatella Di Cesare? Perché l’attacco a Benjamin Netanyahu, fatto probabilmente sull’onda dell’emozione, non potesse essere in alcun modo scambiato per un “tradimento” da parte sua. Peccato che la studiosa in questo modo faccia un’operazione simile a quella di Benjamin Netanyahu, forse, in questo caso inconsapevolmente.

Questo ragionamento è valido anche per quegli intellettuali israeliani che si sono scagliati con anatemi contro il loro primo ministro, ma che si guardano bene dal riconoscere gli eccidi, le espulsioni e le spoliazioni subite dai palestinesi. Molti degli intellettuali israeliani che hanno alzato la voce contro il discorso di Netanyahu si rifiutano di riconoscere la Nakba palestinese perché non esisterebbero documenti scritti che provino che l’espulsione dei palestinesi tra il 1947 e il 1949 fu un atto pianificato e non un “incidente” di percorso della guerra con gli Stati arabi, iniziata il 15 maggio 1948. Questa è un’altra falsità conclamata, un argomento della propaganda israeliana, smentito con prove documentali da alcuni storici israeliani che dagli anni ottanta del secolo scorso hanno avuto la possibilità di accedere agli archivi dello Stato e hanno dimostrato il contrario. Peraltro, questi intellettuali che ancora si ostinano a non riconoscere la Nakba usano un argomento caro ai negazionisti del genocidio degli ebrei europei. Una svista assai pericolosa perché è una legittimazione di un fenomeno che è lungi dall’essere ininfluente in Europa e negli Stati Uniti. (continua)

 Cinzia Nachira

 

1 Gilbert Achcar, Les arabes et la Shoah – la guerre israélo-arabe des récits, Edizioni Sindbad, Parigi, 2009

2 Eldad Beck, The League Against Denial, “Yedioth Aronoth”, 27 aprile 2010. Versione italiana in:  HYPERLINK “http://www.rproject.it/?p=4752” http://www.rproject.it/?p=4752

3 Prime Minister Benjamin Netanyahu’s Speech at the 37th Zionist Congress: http://www.pmo.gov.il/English/MediaCenter/Speeches/Pages/speechcongress201015.aspx

4 Ibidem

5 Cfr. Vera Pegna Ricordi di vita felice in Egitto, prima di Israele, in Ella Shohat, Le vittime ebree del sionismo, Edizioni Q, Roma, 2015, pp. 13-47

6 Donatella Di Cesare, Netanyahu non ha capito il significato di Auschwitz, in «Corriere della Sera», 23 ottobre 2015 

7 Ibidem

8 Donatella Di Cesare, Il sionista Spinoza Il filosofo ebreo, mai «scomunicato» dai rabbini, vedeva nella Bibbia le origini della democrazia e ipotizzava la nascita di un nuovo Stato d’Israele, in «Corriere della Sera», 25 ottobre 2015

9 Ibidem

10 Ibidem

 

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