PALESTINESI E SHOAH

Dopo l’intervento di Netanyahu che cerca di scaricare su Amin al Husseini (Gran Muftì di Gerusalemme negli anni 20/30) la responsabilità diretta dell’Olocausto, scagionando parzialmente il nazismo, pubblichiamo una intervista del 2014 dove Gilbert Achcar  risponde a delle domande sul rapporto tra palestinesi e Shoah immediatamente dopo che Abu Mazen riconobbe nella Shoah il crimine “più” atroce dell’era moderna. Segue una intervista precedentemente rilasciata al quotidiano israeliano “Yedioth Ahronoth” nel 2010.

PALESTINESI E SHOAH

Ce cosa c’entra Hitler con il conflitto in Medio Oriente? È vero che tra il mondo arabo e il terzo Reich fu luna di miele in virtù del nemico comune ebraico-sionista? Perché ancora oggi Israele e i suoi nemici si accusano a vicenda di essere “come i nazisti”?

All’indomani della storica dichiarazione di Abu Mazen, il primo leader palestinese a riconoscere la Shoah come “il più atroce dei crimini”, ho incontrato Gilbert Achcar, autore di “Gli Arabi e la Shoah, la Guerra Arabo-israeliana delle Narrazioni”.

Il sessantatreenne intellettuale libanese è nel suo ufficio della “School of Oriental and African Studies” di Londra, dove è approdato dopo aver insegnato a Parigi e Berlino, con le pareti tappezzate da foto della primavera araba.

Professore, la dichiarazione di Abu Mazen è rivoluzionaria per il mondo arabo?

Rivoluzionaria mi sembra eccessivo, nel mondo arabo esiste una frazione di popolazione istruita che non metterebbe in dubbio una virgola di ciò che ha detto Abu Mazen. Tuttavia è molto importante perché arriva da un leader palestinese, che fra l’altro in passato aveva negato o perlomeno sminuito l’Olocausto, e in particolar modo perché in essa viene utilizzato il superlativo. La Shoah viene definita il crimine “più” atroce che sia stato commesso nell’era moderna, il che implica un riconoscimento della sua maggiore efferatezza rispetto alla Nakba (la “Nakba” è la “tragedia” palestinese del 1948, quando in 700.000 furono ridotti a rifugiati in seguito alla guerra d’indipendenza israeliana, ndr). La “guerra delle narrazioni” è anche una competizione per chi è più vittima, per stabilire quale parte rappresenti Davide e quale Golia. Non è facile per un Rais palestinese ammettere che la Shoah appartiene, come tragedia storica, a un ordine di grandezza superiore rispetto alla Nakba.

Quale fu il rapporto fra mondo arabo e Germania nazista?

La narrativa che descrive gli anni Trenta e i primi anni Quaranta come anni di luna di miele tra Hitler e i principali movimenti politici nel mondo arabo compie l’errore di generalizzare quello che fu effettivamente un rapporto di collaborazione tra Amin al Husseini (Gran Muftì di Gerusalemme tra il 1921 e il 1937, ndr) e il Fuhrer estendendolo a tutto il mondo arabo. Furono in molti a rapportarsi con la Germania nazista, ma bisogna distinguere fra i soggetti politici che lo fecero per opportunismo, cioè semplicemente seguendo il principio secondo cui “il nemico del mio nemico è mio amico”, e quelli che invece ne condividevano in una qualche misura l’ideologia come Amin al-Husseini. Lui era proprio antisemita, e compì viaggi sia a Berlino che a Roma. Ebbe un rapporto profondo col nazismo, ne sposò l’ideologia e si impegnò a diffondere la propaganda antisemita in lingua araba. Lungi dal limitarsi a lottare contro l’immigrazione ebraica in Palestina, era a conoscenza della “soluzione finale” e si dava da fare per promuoverla. In alcune lettere a un ministro ungherese lo invitava a spedire gli ebrei in Polonia, dove sarebbero stati “sotto controllo”.

Anche le falangi libanesi, colpevoli del massacro di Sabra e Chatila nell’82, ebbero legami con Hitler.

E’ indubbio che Pierre Gemayel, il leader delle falangi, trovò la sua ispirazione per la fondazione del suo movimento durante i trentaseiesimi giochi olimpici di Berlino ai quali assistette nel 1936. Le falangi però non possono essere additate in alcun modo come partito nazista: il movimento era più vicino al “fascismo clericale” di modello Franchista. E’ dalla Spagna, infatti, che trae origine il nome, non dalla Germania. I falangisti erano certamente di estrema destra, ma né nazisti né antisemiti, e in seguito diventarono duramente anti-palestinesi. L’unico gruppo che era davvero un clone del movimento nazista nel mondo arabo è stato il partito social-nazionalista siriano, una vera copia carbone del partito del Fuhrer. In tutto, compreso il simbolo che è una chiara imitazione della svastica.

L’altra questione affrontata dal libro è quella della strumentalizzazione politica della Shoah.

Lo scopo della “nazificazione degli arabi”, cioè l’esaltazione dei rapporti che ebbero con Hitler, è quello di giustificare la Nakba. Se i Palestinesi hanno avuto un ruolo di complici nella Shoah, allora non è più vero che con la Nakba hanno pagato colpe che erano solo degli Europei. Un esempio di questa tendenza è lo storico israeliano Benny Morris. Dopo aver portato a termine preziose ricerche storiche che hanno provato inoppugnabilmente i fatti della Nakba, all’inizio del terzo millennio Benny Morris è scivolato su posizioni di estrema destra e, seppur non rinnegando le sue precedenti ricerche sulla pulizia etnica, dai primi anni duemila ha cominciato a sostenere che l’espulsione di massa fosse giustificata perché i palestinesi erano come i nazisti e perché l’alternativa per gli israeliani era un secondo genocidio. Accusare l’avversario di essere “come i nazisti” è pratica comune nella retorica politica israeliana: più Israele si trova a dover fare i conti con il crescente deterioramento della sua immagine nell’opinione pubblica occidentale, più ricorre alla Shoah come anacronistico mezzo di difesa.

Anche la dichiarazione di Abu Mazen arriva in una fase in cui l’accordo con Hamas rende la sua posizione difficile.

Netanyahu in questo ha ragione, il fatto che le parole di Abu Mazen arrivino in questo momento ne diminuisce il valore perché sembra una mossa politica. Però lui è campione nell’utilizzare l’Olocausto per difendersi dalle critiche che gli vengono avanzate, ed è ben lungi dall’incarnare le lezioni che vanno tratte dall’esperienza della Shoah. Netanyahu presiede un processo di espropriazione coloniale, occupazione, discriminazione etnica. Pretendere di parlare nel nome delle vittime dell’Olocausto mentre si compie questo tipo di crimini equivale ad insultarle. La Shoah è nata proprio dalla caratterizzazione su base etnico-razziale di uno stato che si definiva “ariano”, e il suo governo insiste per definire Israele come “stato ebraico”, escludendo buona parte dei suoi stessi cittadini. La memoria dell’Olocausto non è appannaggio o proprietà di un singolo popolo, e gli insegnamenti universali che bisogna trarne invocano democrazia, umanesimo, vera uguaglianza. Se comprendi l’essenza dell’Olocausto, con le sue lezioni contro discriminazione e oppressione, allora capisci che chi deve invocarle sono le vittime, cioè i palestinesi.

Perché allora il negazionismo va per la maggiore nel mondo arabo?

C’è un impressionante livello d’ignoranza riguardo l’Olocausto perché i governi impediscono ogni tipo di insegnamento della Shoah nelle scuole. Questa scelta è figlia dell’idea infondata che se tu riconosci che l’Olocausto è avvenuto, allora riconosci la legittimità dell’esistenza dello stato d’Israele. Esiste inoltre una forma di “negazionismo di reazione” nel mondo arabo. Persone piene di risentimento per Israele e per quello che Israele fa ai palestinesi sfogano la loro rabbia negando l’Olocausto come se questo in qualche modo possa danneggiare il nemico. E’ un atteggiamento che io chiamo “l’antisionismo degli scemi”.

In apertura del libro lei cita il Vangelo di Matteo: “perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”.

Penso che sia un precetto fondamentale, prima di criticare gli altri devi essere consapevole delle tue colpe. Chi accusa gli arabi per i loro rapporti con la Germania nazista, e ancora oggi li paragona ad essa, dovrebbe prima farsi un esame di coscienza. Non va dimenticato che mentre Israele ha avuto un ruolo diretto nella Nakba, insieme agli inglesi, e si ostina a negarla, i palestinesi come popolo non hanno avuto alcun ruolo nella Shoah. La dichiarazione di Abu Mazen è positiva nonostante le riserve legate alle circostanze politiche: riconoscendo le reciproche tragedie è possibile avviare un dialogo. Solo dopo aver fatto i conti con la trave del proprio occhio si può discutere della pagliuzza nell’occhio del vicino.

L’intrervista di Davide Lerner è stata pubblicato sull’Espresso n.19 del 16 maggio 2014, pag. 90 e 91

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Questa intervista  è stata pubblicata dal quotidiano israeliano “Yedioth Ahronoth”, il principale quotidiano israeliano il 27 aprile 2010.

«Il fenomeno della negazione della Shoah nel mondo arabo è sbagliato, inquietante e danneggia la causa palestinese». 

Nel suo nuovo libro, l’accademico franco-libanese Gilbert Achcar affronta per la prima volta gli atteggiamenti arabi nei riguardi della Shoah.
Gilbert Achcar ha lasciato il Libano nel 1983, durante la prima guerra di grande portata fatta da Israele nel suo Paese. Circa trenta anni più tardi, Achcar, professore di relazioni internazionali presso la School of Oriental and African Studies (SOAS) di Londra, militante di sinistra e per la pace, afferma che la guerra brutale tra Israele e i palestinesi in Libano ha segnato una svolta nello sguardo che il mondo arabo aveva verso la Shoah. Sostiene che i paragoni che il primo ministro israeliano Menahem Begin fece all’epoca traYasser Arafat e Hitler e tra i nemici di Israele e i nazisti hanno svalorizzato la Shoah e spinto molti in campo arabo a paragonare a loro  volta Israele ai nazisti e anche a pretendere che Israele abbia inventato la Shoah per giustificare la propria politica in Medio Oriente.
Il ricercatore francese di 59 anni ha pubblicato un nuovo libro in Francia, il cui titolo rivela il suo contenuto inconsueto: “Les Arabes et la Shoah”. In quest’opera, Achcar – che ha già pubblicato dei libri con il militante di sinistra statunitense Noam Chomsky e con l’israeliano Michel Warschawski – affronta per la prima volta un soggetto molto intenso: l’atteggiamento degli arabi nei riguardi della Shoah dall’arrivo dei nazisti al potere fino ad oggi. Il libro, che non evita gli aspetti più problematici della questione, è appena uscito in due edizioni arabe, a Il Cairo e a Beirut.
Achcar è nato in Senegal da una famiglia di emigrati libanesi, ma è cresciuto e ha studiato in Libano. «Ho frequentato un liceo francese in Libano e ho sentito parlare della Shoah molto presto. Sono un umanista. La Shoah è stata sempre molto importante per me». Qualche anno fa, gli hanno chiesto di scrivere un articolo per una pubblicazione accademica [Storia della Shoah, UTET] sul rapporto tra gli arabi e la Shoah. La ricerca che ha intrapreso per l’articolo l’ha portato a scrivere questa voluminosa opera sulla questione.
G. Achcar, che ha insegnato a Parigi e Berlino, inizia il suo libro con una citazione del vangelo di Matteo:«Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?». In questa intervista con Yedioth Ahronoth, la prima che egli abbia mai rilasciato a un giornale israeliano, Achcar spiega:

«La lezione di questa parabola è che prima di criticare gli altri, ci si dovrebbe chiedere cosa non va in se stessi». Egli prosegue chiedendo cosa non va in noi: «In campo israeliano, una serie di accuse sono state mosse contro il mondo arabo riguardo alla Shoah senza alcuna autocritica. Vi sono alcuni scrittori  israeliani talmente egocentrici che non riescono a capire che le loro accuse contro  il mondo arabo potrebbero essere ugualmente rivolte a Israele – talvolta a più forte ragione. Nondimeno la parabola si applica anche agli arabi, ben inteso. Nel mio libro, ho cercato di affrontare alcune vicende attuali che ritengo inaccettabili. Non difendo alcuno in modo acritico. Penso sia auspicabile avere uno sguardo critico verso il gruppo cui si appartiene prima di criticare gli altri».

Può essere più specifico?

G.ACHCAR: Riguardo al campo arabo, non ho alcuna simpatia per ciò che il Mufti di GerusalemmeHajj Amin al-Husseini, ha fatto durante la Seconda Guerra mondiale. Penso anche che la negazione della Shoah nel mondo arabo sia sbagliato, inquietante, e che danneggia la causa palestinese. Ma dal lato israeliano, come potete criticare la negazione della Shoah nel mondo arabo mentre anche Israele nega laNakba palestinese?
Non sto paragonando l’espulsione del 1948 con la Shoah. La Shoah è stata un genocidio e una tragedia ben più grande della sofferenza palestinese dal 1948. Ma non sono gli arabi e i palestinesi che hanno commesso la Shoah, mentre Israele è responsabile della Nakba. Degli storici israeliani lo hanno dimostrato. Tuttavia, Israele continua a negare la sua responsabilità storica in questo dramma. L’ex ministro degli Esteri Tzpi Livni ha protestato presso il segretario generale delle Nazioni Unite per l’uso del termine Nakba, che in arabo significa «catastrofe». Come se si protestasse contro l’uso fatto da Israele del termine Shoah.
Nel mio libro, denuncio vigorosamente i negazionisti palestinesi e arabi, che oggi sono più numerosi che trenta o quaranta anni fa. Si tratta principalmente di una reazione provocata dalla rabbia piuttosto che negazionismo deliberato. Il palestinese o l’arabo che pretende che la Shoah sia stata inventata dai sionisti per giustificare le loro azioni reagisce all’uso della Shoah da parte di Israele per le proprie necessità
È una reazione stupida. Credo che la negazione della Shoah sia l’antisionismo degli imbecilli. Ma queste sono persone che negano un evento storico nel quale il loro popolo non ha svolto alcun ruolo. Invece, la negazione della Nakba da parte di Israele è molto più importante, perché è Israele che ne è stato responsabile. Quello è stato un momento decisivo nella fondazione di Israele. Anche altri Paesi si sono costituiti in circostanze simili, ma bisogna riconoscere la realtà e la responsabilità storica. L’oppressione attuale dei palestinesi aggrava la situazione.

Anche chi non è d’accordo con tutto ciò che scrive Achcar dovrà riconoscere che ha coraggiosamente affrontato una questione divenuta tabù nel mondo arabo in questi ultimi anni.

Suppongo che se l’argomento non mi fosse interessato non mi avrebbero chiesto di affrontarlo. Le persone che me lo hanno chiesto sapevano che capivo l’importanza storica della Shoah e che avevo la sensibilità necessaria per affrontare questa vicenda. Sapevo dall’inizio che era un argomento delicato e che tutte le parti in conflitto avevano un racconto diverso, soprattutto riguardo l’atteggiamento del mondo arabo verso la Shoah. C’è molta propaganda su questa questione. Avevo la sensazione che ci fossero descrizioni molto caricaturali delle posizioni storiche. Nel corso della ricerca, ho scoperto che è ancora peggio di ciò che pensavo, e che c’erano deformazioni sostanziali.

Lei afferma al di là di ogni equivoco nel suo libro che non vi è paragone tra la Shoah e la Nakba, contemporaneamente esiste un rapporto tra questi due eventi.

Il rapporto è evidente. Senza la Shoah e senza l’ascesa del Nazismo, non penso che il progetto sionista si sarebbe realizzato. Se osservate l’immigrazione in Palestina prima del 1933 e la flessione del numero di immigranti dopo lo scoppio degli moti del 1929, appare chiaro che senza il terribile fenomeno chiamato Nazismo e l’imperversare dell’antisemitismo in Europa, non vi sarebbe stata quella massiccia migrazione ebraica verso la Palestina che ha permesso la costituzione di Israele. L’ascesa di Hitler al potere e tutto ciò che è avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale hanno dato legittimità all’idea sionista. Dopotutto, il Sionismo era un’ideologia minoritaria tra le comunità ebraiche prima dell’ascesa del Nazismo. La gran parte degli ebrei europei non erano sionisti. Per di più, vi è stata l’ipocrisia del mondo occidentale che ha chiuso le porte ai rifugiati ebrei.
Vi sono degli accademici israeliani che sostengono che i palestinesi  abbiano una responsabilità  nella Shoah perché si sono rivoltati e hanno preteso che i britannici limitassero l’immigrazione ebraica in Palestina. Avrebbero così impedito a centinaia di migliaia di ebrei di immigrare in Palestina e causato il loro sterminio nella Shoah. Si tratta di un argomento molto tendenzioso. Perché rimproverare ai palestinesi di essersi rivoltati contro un progetto il cui scopo esplicito era di impiantare uno Stato straniero nel loro territorio e dimenticare che mentre i britannici restringevano l’immigrazione ebraica in Palestina, essi stessi avrebbero potuto permettere agli ebrei di immigrare nel loro Paese e in tante parti del vasto impero che controllavano?
Si potrebbe dire altrettanto degli Stati Uniti e di altri Paesi del mondo intero che presero parte allaConferenza di Evian nel 1938 convocati dal presidente Roosevelt e che rifiutarono di accogliere dei rifugiati ebrei sul loro territorio. Sono questi che sono responsabili della Shoah e non i palestinesi. La Shoah ha creato le condizioni che hanno permesso la realizzazione del progetto sionista, progetto che non era possibile realizzare con metodi non violentiÈ la realizzazione violenta del progetto sionista che ha creato la Nakba: questi sono i risultati di questi sviluppi.

La cooperazione di alcuni partiti arabi con i nazisti derivava da un’ideologia comune, o si trattava di una tattica politica nello spirito del detto secondo il quale: «il nemico del mio nemico è mio amico»?

Mi sembra evidente che per quel che riguarda il Mufti al-Husseini c’era una combinazione di opportunismo politico e affinità ideologica antisemita. Il Mufti non condivideva la visione del mondo a livello politico, sociale ed economico dei nazisti. Questi aspetti dell’ideologia nazista non lo interessavano. Invece, l’odio per gli ebrei e i britannici costituiva una base comune tra questi e i nazisti. Non era organicamente nazista, ma piuttosto collaboratore dei nazisti. Egli ha sviluppato un odio per gli ebrei che convergeva con l’antisemitismo nazista. Egli, d’altronde, non lo ha nascosto. Nelle sue Memorie, recentemente pubblicate, esprime una visione del mondo chiaramente antisemita.

Come spiega l’accoglienza calorosa che ha ricevuto nel mondo arabo dopo la Seconda Guerra mondiale?

L’idea che il Mufti avrebbe ricevuto un’accoglienza trionfale nel mondo arabo è un mito. Il fatto che i palestinesi l’abbiano trattato come un dirigente nazionale perseguitato dai loro nemici – i britannici e il movimento sionista – è una cosa. Ma se lei considera la sua influenza reale nel mondo arabo, anche durante la guerra, vedrà che questa era molto limitata. Il Mufti ha trascorso il suo tempo a Berlino e a Roma esortando i palestinesi e gli arabi a unirsi all’Asse italo-tedesco contro gli Alleati e sicuramente contro il movimento sionista. Si stima che solo 6.000 arabi si sono uniti alle diverse organizzazioni armate della Germania nazista.
Nello stesso periodo, 9.000 palestinesi arabi hanno combattuto al fianco dei britannici. Un numero ancora più elevato di arabi hanno prestato servizio nelle Forze alleate, compreso un quarto di milione di nordafricani che hanno combattuto nei ranghi gollisti. L’influenza reale del Mufti è stata quindi trascurabile. Oggi il Mufti è poco considerato nel mondo arabo. È stato associato alla sconfitta anche prima che lo lasciasse per l’Europa: la sconfitta della rivolta in Palestina, quella della rivoluzione mancata contro i britannici in Iraq.
Il fatto che egli abbia scelto il campo dei tedeschi ha contribuito al rifiuto nei suoi riguardi, anche tra i nazionalisti arabi.

Allora perché, si chiede Achcar, il Mufti riceve una simile attenzione in Israele?

Israele e il movimento sionista non avevano una risposta all’affermazione dei palestinesi che se la Shoah era stata qualcosa di terribile, essi non ne erano responsabili e non vi era, quindi, alcuna ragione perché pagassero per gli atti commessi dagli europei. Allora i sionisti hanno presentato il Mufti come fosse la prova che i palestinesi erano complici della Shoah. Così si è costruito il racconto che presenta gli arabi come complici dei nazisti, che permette di dire che la guerra del 1948 era l’ultima battaglia della Seconda Guerra mondiale contro i nazisti. Ma questa narrazione non regge alla prova dei fatti storici. È propaganda.

Ma la collaborazione non è limitata al Mufti. Molti criminali nazisti hanno trovato rifugio nei Paesi arabi e diversi partiti arabi, come il Baas, si sono ispirati all’ideologia nazista.

Non esistono prove che il Baas sia stato influenzato ai sui inizi dall’ideologia nazista. Anche il tentativo di presentare il Baas e il suo fondatore, Michel Aflak, come nazisti è propaganda. Aflak è stato influenzato dalla sinistra ed era in contatto con comunisti e marxisti che si opponevano al Nazismo. L’unico elemento probatorio contro di lui è che nella sua biblioteca aveva una copia della traduzione francese di un’opera diAlfred Rosenberg [il principale ideologo del movimento nazista e autore del suo programma razzista – E. B.]. Ciò equivale a dire che chiunque avesse una copia del Mein Kampf a casa era un nazista. Coloro che leggono dei libri non sono per forza d’accordo con il loro contenuto. Se lei parla del Baas degli anni ’60 e ’70, il Nazismo non esisteva più. Se il partito Baas iracheno di Saddam Hussein ha potuto usare degli argomenti antisemitici, ciò non aveva rapporto con il Nazismo.
Vi è effettivamente un certo numero di ex nazisti che hanno trovato rifugio nel mondo arabo, in Egitto e in Siria. Contemporaneamente, con l’eccezione di Alois Brunner [braccio destro di Eichmann], che si è rifugiato in Siria, tra questi non vi era alcun dirigente nazista che fosse stato parte della macchina di sterminio. Ma perché questo argomento è usato contro gli arabi, mentre degli amici di Israele, iniziando dagli Stati Uniti, hanno dato rifugio a dei nazisti e sostenuto l’emigrazione di criminali molto più importanti di coloro che hanno trovato rifugio nel mondo arabo?

L’assenza di dibattito sul collaborazionismo con i nazisti nel mondo arabo ha un impatto sulla negazione della Shoah nei diversi settori della società araba e musulmana?

L’accresciuta tensione fra Israele, gli arabi e i palestinesi nel corso degli ultimi  anni ha radicalizzato le posizioni di entrambi i campi. Ma neanche Hamas ha mai creato delle brigate in nome del Mufti al-Husseini. Non vi sono neanche missili o strade che portano il suo nome. Non interessa alcuno. L’eroe di Hamas è Izz el-Din al-Qassam. Bisogna capire questo per non lasciarsi ingannare dalla propaganda.
D’altronde, se la gente si interessasse veramente al Mufti, non vi sarebbe negazione della Shoah.
Al-Husseini non era un negazionista. Nelle sue Memorie racconta che Himmler gli disse, nel 1943, che la Germania stava sterminando gli ebrei  e ne aveva già ucciso tre milioni. Il Mufti scrive con soddisfazione che gli ebrei hanno pagato un prezzo più alto di quello che dovettero pagare i tedeschi e che un terzo del giudaismo mondiale aveva trovato la morte. Egli, così, conferma il numero conosciuto delle vittime della Shoah.
Il negazionismo odierno nel mondo arabo deriva prima di tutto dall’ignoranza. Bisogna contemporaneamente distinguerlo dal negazionismo in Occidente, dove costituisce un fenomeno patologico. In Occidente, queste persone sono dei malati mentali, sostanzialmente antisemiti. Nel mondo arabo, il negazionismo che esiste fra alcune correnti dell’opinione pubblica, ancora minoritarie, deriva dalla rabbia e dalla frustrazione provocate dall’aumento della violenza israeliana, che si accompagna ad un accresciuto uso della Shoah. Ciò è iniziato con l’invasione del Libano del 1982.
Menahem Begin ha abusato della memoria della Shoah, compreso in politica interna. È questo che ha spinto delle persone nel mondo arabo a reagire nella maniera più stupida che esistesse, dicendo: se Israele cerca di giustificare le sue azioni riferendosi alla Shoah, allora questa deve essere una esagerazione o un’invenzione della propaganda. Più c’è violenza, più troverà questo genere di reazione, perché si tratta di una sfida simbolica e non di qualcosa di più profondo.

Lei afferma anche che gli arabi che paragonano Israele ai nazisti reagiscono al paragone fatto da Israele tra i dirigenti arabi e Hitler.

La tendenza a vedere nazisti dappertutto porta alla banalizzazione di questi ultimi. Hitler è una figura storica talmente negativa che è assurdo paragonargli il Presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad. Si può pensare ciò che si vuole del Presidente dell’Iran, ma il suo Paese non ha campi di concentramento, come non è in procinto di perpetrare un genocidio. L’Iran è una società in conflitto politico; non è una società totalitaria come la Germania nazista. Il paragone con i nazisti e Hitler è molto frequente anche in Israele.Ben Gurion ha paragonato Begin a Hitler. L’estrema destra ha distribuito delle immagini di Rabin nell’uniforme da SS. Gli israeliani vedono Hitler dappertutto: Nasser, Saddam Hussein, Arafat, Nasrallah.Allora perché sorprendersi che gli arabi facciano lo stesso? Si tratta evidentemente di oltranzismi politici inutili.

Come si potranno superare i numerosi ostacoli se in campo arabo non si riconosce la sensibilità di Israele verso la Shoah?

Questa sensibilità è compresa in campo arabo. Non bisogna vedere gli arabi come un blocco monolitico. Sicuramente, esistono delle correnti che non lo comprendono, ma questa non è la posizione della maggioranza. Prenda per esempio Arafat, che è stato demonizzato completamente. Dopotutto, negli anni ’70, l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) ha iniziato un serio sforzo per comprendere questa vicenda. Quando il negazionista francese Roger Garaudy è stato accolto con tutti gli onori nel mondo arabo, Arafat comprese il danno che ciò avrebbe recato alla causa palestinese. Allora chiese di visitare ilMuseo dell’Olocausto a Washington. Dato che l’amministrazione del museo rifiutò di accoglierlo con i riguardi dovuti al suo rango, lui si sentì insultato e annullò la visita. Egli ha visitato nello stesso periodo la casa di Anna Frank a Amsterdam. Ora, salvo che in Israele, la stampa non ne ha quasi parlato.
Persone come Edward Said e Mahmud Darwish comprendevano in pieno la sensibilità israeliana verso la Shoah. Bisogna smetterla di fare la caricatura dell’immagine del nemico, ciò avvelena l’atmosfera. Le garantisco che se Israele avesse un altro atteggiamento verso il mondo arabo e i palestinesi, un atteggiamento di pace, questi fenomeni, che si sono rafforzati negli ultimi anni, sparirebbero molto rapidamente.

09/11/10

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