I PROGRESSISTI IN DIFFICOLTA’ IN EGITTO

di Gilbert Achcar

Il pericoloso e continuo altalenare dei progressisti tra il vecchio ordine ed i Fratelli

In Egitto, si dibatte sugli avvenimenti del 30 giugno scorso. Era una rivoluzione o un colpo di Stato? Qual è la sua analisi?

Chiedersi se fosse una rivoluzione o un colpo di Stato mi pare rappresenti  un falso dibattito perché implicherebbe l’esistenza di una contraddizione radicale tra i due termini. A quel momento tale contraddizione non esisteva. Vi è stata una convergenza circostanziale di diversi elementi.

Penso innanzitutto che il 30 giugno sia esplosa una collera radicale di massa contro le azioni dei Fratelli durante la presidenza di Morsi, che si è manifestata nella forma di  un movimento democratico radicale sull’onda delle grandi rivolte regionali iniziate nei primi mesi del  2011. Le firme raccolte dai giovani di Tamarrod, l’invito a manifestare il 30 giugno per chiedere nuove elezioni presidenziali, tutto ciò rivela una democrazia che non ha nulla a che vedere con la democrazia formale assai diffusa e fondata sull’idea che la volontà popolare si eserciti solo attraverso il voto, un giorno solo ogni quattro o cinque anni, a seconda dei paesi. Una democrazia reale, invece, deve obbligatoriamente prevedere la revoca degli/delle eletti/e ed il  loro avvicendamento. Altrimenti l’eletto – ed ora è così in tutti i paesi del mondo – è libero di agire come gli pare, anche se tradisce tutte le promesse fatte al momento della sua elezione. Da questo punto di vista, il 30 giugno rappresenta una nuova tappa della rivoluzione egiziana ed anche un suo approfondimento.

La contestazione non tocca solo questo principio, poiché  in piazza e nelle strade sono confluite persone di ogni tipo: quelli che hanno manifestato per gridare la loro collera contro le condizioni di vita, contro la situazione economica e sociale, ma anche coloro che hanno manifestato per un ritorno al vecchio regime e che sono stati chiamati i “foulouls” [sostenitori del vecchio regime] pur riconoscendo che questa affermazione non è del tutto precisa poiché “lo Stato profondo” non è mai stato allontanato dal potere.

Si illudono coloro che hanno creduto che l’allontanamento di Tantaoui [presidente del Consiglio supremo delle Forze armate CSFA, dal febbraio 2011 all’agosto 2012] e di Sami Hafez Annan [vice presidente del CSFA],  e la  nomina di Sissi [attuale primo ministro della Difesa e “padrone” del governo], rappresenti un elemento di continuità con la fase della rivoluzione che ha preceduto l’avvento al potere di Morsi e che avrebbe portato al dominio di un  potere civile sulle istituzioni militari. L’ho d’altronde  spiegato nel mio libro [Le Peuple veut, Acte Sud].

Ciò detto, nel gennaio-febbraio 2011 abbiamo visto le illusioni popolari sull’esercito, con il profilarsi di ciò che in pratica è stato percepito come un colpo di Stato. Così come l’11 febbraio 2011, un colpo di Stato militare  ha condotto il CSFA alla confisca del  potere, allo stesso modo anche questa volta l’esercito ha effettuato un colpo di Stato, ma, avendo tratto insegnamento dell’esperienza precedente, ha preferito mettere dei civili in prima linea ben sapendo che l’uomo forte del regime egiziano attuale non è Hazem El Beblawi [primo ministro dal 9 luglio 2013], né Adly Monsour [presidente ad interim], ma Abdel Fattah Al-Sissi.

Come valuta la situazione attuale, quattro mesi dopo il 30 giugno?

La situazione attuale è quella di una transizione caratterizzata da un’enorme  instabilità, piena di contraddizioni. Apparentemente siamo in presenza di due schieramenti: quello del 30 giugno e quello dei Fratelli. In realtà quello del 30 giugno è assai variegato, esattamente come il movimento del gennaio-febbraio 2011 che ha raggruppato Fratelli musulmani, nasseriani, liberali, la sinistra ed anche numerosi indipendenti. L’opposizione a Mubarak e la volontà di cacciarlo era il solo punto di accordo. Al di là di questo, nulla accomunava queste forze  e lo si è potuto vedere in seguito quando i Fratelli e i salafiti si sono alleati con l’esercito per il referendum del marzo 2011 [modifiche della Costituzione] contro l’opposizione di sinistra e l’opposizione liberale.

I metodi di azione dei Fratelli, la loro volontà di esercitare il potere da soli , nonché di “fratellizzare” il paese, hanno portato ad una modifica della configurazione delle alleanze. Dopo il febbraio 2011 avevamo tre forze principali che erano l’esercito, i Fratelli e le opposizioni di sinistra e liberali in tutte le loro varianti. La terza forza ha intensificato la sua lotta contro i Fratelli, ma, non avendo  forza organizzativa autonoma per liberarsi di Morsi, ha dovuto contare sull’aiuto all’esercito per raggiungere il suo obiettivo.

Oggi, all’interno di questo schieramento le contraddizioni si  approfondiscono. Vediamo per esempio che aumentano le contraddizioni tra i giovani delle correnti popolari con il  progetto politico di candidare Hamdeen Sabbahi alle presidenziali e coloro che sostengono i vertici delle Forze armate e la loro propaganda sfrenata a favore di una candidatura Sissi.

Il problema è che una gran parte di liberali, di nasseriani, di gente di sinistra continua a credere ingenuamente che l’esercito abbia agito solo per sostenere la volontà del popolo e che i militari non hanno assolutamente alcuna voglia di esercitare il potere. Vedono l’esercito come vorrebbero che fosse e non come è realmente.

Si sta sviluppando un’enorme propaganda attorno al ruolo del generale Sissi: viene paragonato a Nasser, gli si chiede di candidarsi alle presidenziali. Pensa che possa rappresentare una via d’uscita alla situazione attuale?

Ad oggi non sappiamo se il ministro della Difesa si presenterà alle elezioni presidenziali o se preferirà esporsi meno, restando alla testa dell’istituzione militare; diventerebbe così l’uomo più potente del potere senza doversi immischiare nelle questioni  economiche e sociali. Se il generale Sissi si impadronisse della presidenza della Repubblica, sparirebbe il culto della sua persona: non siamo né nel 1952, né nel 1954. Nasser aveva conquistato un’enorme popolarità grazie ai grandi progressi economici, sociali e nazionali che aveva realizzato attraverso le nazionalizzazioni, i grandi progetti, l’educazione, la salute, ecc. È pur vero che tutto ciò è avvenuto nel quadro di una dittatura militare, ma non vi è alcun dubbio che   in molti ambiti, quella dittatura aveva assunto aspetti progressisti che spiegano la popolarità di Nasser.

Al giorno d’oggi tutto ciò non può assolutamente ripetersi perché da una decina d’anni l’apparato militare è il garante delle politiche economiche neoliberali, con l’appoggio dell’Arabia Saudita e degli Emirati per finanziare il paese. Di conseguenza, porta avanti politiche che non possono regolare la crisi sociale ed economica che attraversa oggi l’Egitto. Tutto ciò non gli  può portare una popolarità a lungo termine; quel che oggi noi osserviamo è un sentimento assai superficiale e artificiale che sparirà rapidamente alla prova del potere.

Come valuta il progetto dei militari? In altri termini, potranno realizzare un regime diverso da quello di Moubarak?

Impossibile, e per una ragione molto semplice: la grande differenza tra la rivoluzione del 1952 e la situazione attuale; qualsiasi paragone tra le due situazione ci pare stupido. Coloro che hanno diretto la rivoluzione del 1952 erano giovani ufficiali subalterni che hanno affiancato il generale Naguib, rappresentante degli ufficiali di grado più elevato. Nonostante i loro diversi orientamenti politici – nel movimento degli Ufficiali liberi vi erano i più diversi oppositori alla monarchia, dagli islamisti ai comunisti – i loro obiettivi, espressi da Nasser, poggiavano su un progetto di cambiamento radicale, un progetto prima di tutto nazionalista, che ha permesso di contrapporsi agli interessi delle grandi potenze come la Gran Bretagna, la Francia, gli Stati Uniti e in particolare Israele. Tutto questo in un mondo bipolare con la presenza dell’Unione sovietica alla quale Nasser si è appoggiato e che ha imitato in molti ambiti. Eravamo quindi confrontati con ufficiali di secondo grado che volevano servire la loro patria e il loro popolo, senza che si potesse dubitare della loro sincerità. Questa esperienza si è radicata negli anni ’50 fino all’adozione della  Carta dell’inizio degli anni 60, nella quale si è concretizzato il progetto di Nasser.

Oggi, a che punto siamo? Non siamo confrontati con un movimento di ufficiali subalterni che prendono le redini delle istituzioni, ma con un generale come Sissi e con i vertici attuali di quello stesso esercito che era uno dei pilastri essenziali del regime Moubarak. Sissi non è un ufficiale di secondo grado dell’era Moubarak, bensì il capo dei Servizi di informazione dell’esercito. Di fatto si tratta di uno Stato nello Stato, con attività economiche in settori che non hanno nulla a che fare con le questioni militari. Di conseguenza il paragone Nasser-Sissi non ha alcun senso, non hanno nulla in comune se non la loro comune appartenenza all’esercito. Coloro che si illudono su questo punto  rischiano di perdere le proprie  illusioni molto presto, allo stesso modo di tutti coloro che hanno creduto in Morsi. Infatti, val la pena ricordare che una gran parte della popolazione si faceva molte illusioni su Morsi; ebbene, sono svanite con una velocità stupefacente, in particolare poiché è stato incapace di rispondere ai bisogni delle masse: bisogni economici e sociali, nazionali e politici.

Sembra che il movimento popolare si stia indebolendo, ad eccezione delle manifestazioni dei Fratelli, e che la repressione statale stia ritornando in forze. Anche lei ha questa impressione?

Penso di poter affermare che la situazione non si stabilizzerà poiché in Egitto la crisi economica e sociale è importante e profonda, il che ci riconduce alla questione di fondo: perché abbiamo assistito ad una serie di esplosioni sociali nella regione? Il fatto è che il  dilagare della miseria è indescrivibile e il detonatore della rivolta araba, o piuttosto quella che io definisco un’ondata rivoluzionaria di lunga durata, ha le proprie radici in queste situazioni economiche e sociali. Non esiste possibilità di sviluppo economico, da cui deriva lo sviluppo continuo della disoccupazione su larga scala e in particolare di quella giovanile. Questa situazione non solo non ha trovato alcuna soluzione, ma, al contrario, tende ad aggravarsi di giorno in giorno. La ragione principale di questa stagnazione della crescita è il cedimento dei governi – a causa dei loro orientamenti neoliberali – al settore privato che non è assolutamente disposto a sostenere lo sviluppo economico. Negli anni ’50, dato che il settore privato non voleva svolgere questo compito, Nasser ha fatto in modo che se ne occupasse lo Stato. Come si può immaginare che le autorità militari di oggi abbiano un programma di questo tipo? Coloro che lo pensano sono degli illusi.

Se ritorniamo all’altro schieramento, quello dei Fratelli musulmani, in un primo tempo avevamo  pensato di assistere all’inizio della fine dell’islam politico; ora pare che siano riusciti ad assumere ancora una volta il loro ruolo di vittime. Cosa ne pensa?

Il comportamento dei militari contro la rivoluzione popolare ha permesso ai Fratelli di apparire come i rappresentanti della rivoluzione di gennaio. Si sono impossessati della bandiera della democrazia, le violenze subite in passato ha permesso loro di giocare questa carta.

Di fatto è chiaro che i Fratelli sono stati di una cecità politica sorprendente. Durante l’era Morsi, non hanno nemmeno tentato di costruire una coalizione nazionale ampia, coscienti che Morsi era stato eletto solo al secondo turno da elettori che hanno votato per lui solamente perché non volevano un ritorno al vecchio regime.

I Fratelli hanno agito in modo totalmente isolato, senza tener conto di nessuno, credendo che fosse giunto il loro momento e che Dio avrebbe vegliato su di loro: questo fatto li ha allontanati da tutti, compresi i salafiti. L’attuale direzione dei Fratelli, che rappresentano la corrente integralista della Confraternita, ha fornito un’illustrazione esemplare della propria stupidità politica. In particolare ha dimostrato di non possedere una  dose sufficiente di lucidità politica per valutare l’ampiezza delle manifestazioni del 30 giugno. Quando in Francia sono scoppiate le manifestazioni del maggio ’68 contro de Gaulle – personaggio storico di una levatura non paragonabile a Morsi – il Presidente ha indetto elezioni legislative anticipate, poi un referendum sul suo progetto politico. Ha perso e si è dimesso.

Questo tipo di proposte avrebbe permesso alla Confraternita di uscire dal vicolo cieco, ma Morsi si è aggrappato alla presidenza ribadendone la legittimità. Una volta destituito è apparso chiaro che la congiunzione delle forze armate con un potente movimento popolare era certamente molto più forte dei Fratelli. Nonostante questo i Fratelli si sono ostinati nel loro errore e nella loro cecità politica, invitando a continuare manifestazioni ridicole – il cui solo risultato è stato quello di aumentare il numero delle vittime  –  e chiedendo il ritorno di Morsi invece di far proprie le proposte di mediazione americane ed europee.

Qual è a breve termine il futuro dei Fratelli?

In Egitto qualsiasi tipo di potere che non sia fondato su un programma di cambiamento sociale ed economico, che riproduca la politica  svolta a suo tempo da Moubarak e portata avanti da Morsi, puntellandosi sulla monarchia saudita e sugli Stati Uniti, presto o tardi fallirà e dovrà affrontare la collera delle masse. A quel momento i Fratelli cercheranno di trarne profitto e  penso che sia quel che stanno aspettando.

La piazza crederà loro nuovamente?

Naturalmente è possibile, nella misura in cui i discorsi dei Fratelli verteranno sul fatto che non è stato dato loro un lasso di tempo sufficiente per applicare il loro progetto di rifondazione, che le loro politiche sono state oggetto di sabotaggi sotterranei e che il loro presidente sia stato destituito dopo un solo anno, ecc. Si tratta di un discorso che potrebbe apparire convincente in un contesto caratterizzato dallo scoppio di collera popolare contro il potere attuale e se non dovesse emergere sulla scena politica una forza d’opposizione diversa in grado di rappresentare le aspirazioni progressiste delle masse. Questa è la sola spiegazione logica che vedo alla base del loro atteggiamento attuale, altrimenti essa non avrebbe alcun senso.

Crede nella possibilità di un ricorso dei Fratelli ad una lotta armata e che lo scenario siriano possa riprodursi anche in Egitto?

Non lo credo. Quello scenario è troppo lontano dall’Egitto, in particolare poiché la struttura dello Stato siriano è completamente diversa. Per riproporre quello scenario, occorrerebbe immaginare che il presidente della Repubblica egiziana fosse cristiano, così come i possidenti ed i grandi capitalisti, che i tre quarti degli ufficiali fossero cristiani, che le forze speciali militari più importanti dell’esercito fossero interamente cristiane (graduati e ufficiali): questa è la situazione in Siria, con la sola differenza che coloro che occupano questi posti sono alauiti e non cristiani, tenendo conto che la proporzione di alauiti in Siria è più o meno corrispondente a quella dei cristiani in Egitto.

D’altronde non credo che i Fratelli sceglieranno un progetto di questo tipo, che sarebbe suicida  sotto ogni punto di vista. Si può prevedere che certi ambienti takfiristi [che considerano apostata ogni musulmano contrario al loro punto di vista] aderiranno come hanno fatto, per esempio, nel Sinai, ma non i Fratelli in quanto organizzazione. Fino ad oggi, i Fratelli hanno agito nei limiti degli accordi presi con l’esercito.

I Fratelli non ricorreranno alla lotta armata e l’esercito non liquiderà la Confraternita. I Fratelli attenderanno la prossima esplosione popolare suscitata dalla crisi economica e sociale non regolata, coscienti che coloro che in quel momento saranno all’opposizione conquisteranno una grande popolarità. Sarà allora che si potrà intravedere un pericolo immediato, a causa di questo continuo altalenare dei progressisti tra i due campi: quello  del vecchio ordinamento e quello dei Fratelli.

Per uscire da questa situazione sarebbe necessario che emergesse  un terzo schieramento  che riprendesse la parola d’ordine apparsa alla fine del regno del CSFA: “Né foulouls, né Fratelli…la rivoluzione è sempre in piazza”

 

Articolo apparso il 10 novembre 2013 sulla rivista Akhbar El Adab del Cairo. La traduzione in italiano, condotta su una versione francese di Hoda Ahmed (apparsa sul sito www.alencontre.org), è stata curata dalla redazione di Solidarietà del Cantone Ticino.

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