OPPOSIZIONE IN CGIL E NEL PAESE

di Giorgio Cremaschi. È comprensibile il sentimento di quelle compagne e di quei compagni che si chiedono se abbia senso partecipare a questo congresso della CGIL. Tuttavia penso non abbiano ragione e cercherò di spiegare perché. Non c’è dubbio che tutta la crisi della CGIL sia ben rappresentata dal documento di maggioranza e dal patto sottoscritto tra tutti i gruppi dirigenti nel sostenerlo. Nel momento in cui il nostro sindacato registra il livello più basso della sua capacità di iniziativa e di incidere sulla realtà, con il mondo del lavoro che subisce il più duro attacco dal 45 ad oggi, sarebbe stato necessario  un congresso verità che partisse dalla  ammissione delle terribili sconfitte subite. Partendo da lì si sarebbero misurate differenze e convergenze nei gruppi dirigenti. Invece si son tutti messi d’accordo di non discutere, sostanzialmente di passare il congresso senza farlo.
Il documento che si proclama “unitario” è un testo che va bene a tutta la burocrazia perché approva tutto, a partire dagli accordi del 28 giugno 2011 e del 31 maggio 2013, non sceglie nulla, non si impegna in niente, esprime davvero un solo concetto: si va avanti così.
La maggioranza che ha diretto il più grande sindacato italiano subendo la controriforma delle pensioni, accettando quella dell’articolo 18, non contrastando mai davvero le politiche di austerità, non è chiamata a rispondere di nulla.
Bisogna dire che la responsabilità principale di un congresso così inutilmente concepito , non sta in chi ovviamente difende le scelte compiute, ma in chi pur non condividendole ha rinunciato ad opporsi. Parliamo del gruppo dirigente della FIOM e di quello della vecchia minoranza. Essi han scelto di cancellare i dissensi o almeno di non considerarli così rilevanti. I loro emendamenti sono privi di qualsiasi contenuto alternativo, in alcuni casi non si capisce se siano più a sinistra o più a destra, come quando si chiede la sanità integrativa regionale. Ma soprattutto non servono ad affermare contenuti, ma equilibri negli apparati.
In questi anni Camusso e Landini han pubblicamente rappresentato due modelli sindacali diversi. Sarebbe stato un segno di salute della CGIL se questi due modelli si fossero  misurati nel congresso. Invece le diversità  son finite nel retroscena, dove vengon rivendicate con ancora maggiore asprezza, mentre la scena principale celebra la ricomposta unità del gruppo dirigente. Tutte le grandi organizzazioni aggravano le loro crisi comportandosi così.
Si attenuano le differenze politiche, si accresce lo scontro di potere. Così una delle questioni principali che avrebbero dovuto essere affrontate, il rapporto con la politica ed in particolare con il partito democratico ed I suoi governi, si impadronisce del confronto di vertice. Lo SPI si è schierato con il perdente delle primarie del primo partito di governo. Ora Landini si schiera con Renzi, cioè con colui che tra i primi si schierò con Marchionne e che ha tra i suoi sostenitori tutta la classe politica torinese sostenitrice del capo della Fiat. E tutto questo avviene per una sola ragione, che si usano le scelte di collocazione politica per la lotta di potere interna alla CGIL.  Dalla lotta per l’indipendenza alla massima dipendenza.
In questo congresso delle unità di facciata e degli intrighi burocratici noi non eravamo e non siamo ancora previsti. Non era previsto che una piccola minoranza, cui fino all’ultimo si è cercato di impedire che raggiungesse il quorum per presentare un documento alternativo, si facesse carico dello scontento enorme verso un sindacato che non conta quasi nulla in proporzione alla sua dimensione, e che appare sempre  più  invischiato nei giochi di palazzo.
Il rifiuto verso le nostre posizioni e ciò che esse vorrebbero rappresentare si è innanzitutto manifestato nei rapporti di forza negli apparati. Degli oltre 12000 funzionari e impiegati della CGIL solo un a ventina ha scelto il documento alternativo. Che naturalmente ha trovato molto più consenso tra militanti di base, che han deciso di impegnarsi a sostenerlo. Questo fatto però non ha commosso l’organizzazione. Non c’è stata gioia negli apparati nello scoprire che semplici lavoratori e pensionati volevano impegnarsi volontariamente nel congresso. Anzi finora questo volontariato, che tutti i leader son pronti ad esaltare nei talk show, è stato osteggiato in tutti i modi. Siamo una piccola minoranza, cosa costerebbe alle grandi strutture metterci in condizione di usufruire di un po’ di par condicio nella campagna congressuale?
Evidentemente la parità di condizioni congressuali costa,  se viene così diffusamente negata. Costa perché in questi anni la vita interna della CGIL si è ancora più burocratizzata e sono dilagati conformismo e fedeltà personali. Costa perché affrontare almeno formalmente alla pari  un dissenso, non è nelle capacità di  tante strutture selezionate per anni sulla base dell’obbedienza. E costa perché non si vuole correre il rischio che emerga la crisi profonda dell’organizzazione, magari con dati realistici sulla effettiva partecipazione al voto da parte degli iscritti.
Così la burocrazia della CGIL fa di tutto per scoraggiare una partecipazione vera , frapponendo gli ostacoli più odiosi e sciocchi alla possibilità che i semplici militanti della minoranza possano far conoscere nei congressi le loro posizioni. Gli iscritti debbono solo far numero, non decidere davvero.
Perché allora partecipare ad un congresso così negativamente segnato nei suoi contenuti e nella sua gestione? Per tre ragioni di fondo.
La prima è che la nostra voce è piccola, ma non debole e dove arriva suscita speranze e rifiuto della rassegnazione. In poche settimane siamo riusciti ad organizzare una piccola forza diffusa ovunque, senza apparati, senza sostegni, senza null’altro che la convinzione nelle nostre idee. E questo vuol dire che stiamo rispondendo ad un bisogno che non è solo di pochi militanti che non si arrendono al conformismo.
La seconda è che abbiamo un obiettivo realizzabile ed apertamente dichiarato. Probabilmente non riusciremo a vincere il congresso, ma sicuramente riusciremo ad organizzare una diffusa forza di opposizione alla passività burocratica della CGIL, una forza composta di lavoratori e pensionati, donne e uomini organizzati e intenzionati a frasi sentire. Alla fine del congresso saremo molto più forti di come ci siamo entrati e non ci scioglieremo.
La terza ragione è che i contenuti della nostra piattaforma delineano non solo una opposizione, ma un’alternativa di fondo al sindacato della concertazione e della passività. Per la prima volta in CGIL vengono sollevate rivendicazioni sull’economia e sull’Europa, sul  salario e sull’orario, sui diritti e sulle condizioni sociali, che guardano al futuro e non solo alla difesa  del presente.
Il documento “Il sindacato è un’altra cosa” sta nelle lotte di oggi, ma guarda alla ricostruzione di un forte sindacalismo  di classe indipendente e democratico, ancor più necessario oggi  Per questo mentre la maggioranza è totalmente autoreferenziale e  guarda solo a CISL  UIL e al PD, noi ci rivolgiamo anche ai sindacati conflittuali e ai movimenti sociali ed ambientali. Anche qui il congresso rappresenta solo l’avvio di un percorso.
Certo, tutto questo si scontra oggi con il boicottaggio che subiamo nell’esercizio dei nostri diritti congressuali. Dobbiamo per questo abbandonare il campo come ci chiedono, giustamente indignati, alcuni compagni? No dobbiamo fare della denuncia  della sopraffazione che subiamo un elemento della nostra battaglia. Rivendicheremo le nostre scelte e cercheremo di diffonderne ovunque le ragioni, e dove questo ci sarà impedito ci faremo sentire e non solo dentro l’organizzazione.
I comportamenti autoritari e burocratici che ci troviamo contro sono un altro aspetto della crisi della CGIL che denunciamo e combattiamo. Per questo essi non devono fermarci e non ci fermeranno.
da www.rete28aprile.it

Potrebbe piacerti anche Altri di autore