CUTRO: UNA SCELTA DI SISTEMA

Intervista a Fulvio Vassallo Paleologo*

Rproject. Il mancato soccorso nel caso del caicco che ha fatto naufragio di fronte alle coste calabresi, sembra essere una scelta deliberata…

FVP: È una scelta di sistema, che forse non sarà sanzionabile neppure sul piano penale e questo, dopo l’esito dei processi nei confronti dell’ex ministro Salvini sui casi Diciotti e Gregoretti, nei quali, pur trattandosi di navi militari, si violava il diritto internazionale vietando lo sbarco dei naufraghi a terra, rafforzerà  l’impunità di chi applica politiche in contrasto con le Convenzioni internazionali e con i Regolamenti europei. Le argomentazioni difensive utilizzate dal governo confermano un concatenarsi di responsabilità – come ho esposto nel mio ultimo articolo su ADIF – che dimostra come alla fine, anche se nessuno sarà dichiarato colpevole davanti ad un giudice penale,  le diverse autorità coinvolte nei centri di coordinamento interni ai ministeri sono responsabili di una vera e propria omissione di soccorso di sistema.

Quando dal governo si sottolinea la responsabilità di altri Paesi che sarebbero responsabili di tratti di mare percorsi dal barcone affondato a Steccato di Cutro, si ignora o  si vuole nascondere cosa significa per un migrante essere intercettato in mare dalla Grecia e come il governo greco tratti siriani, afghani e iracheni che vengono respinti in Turchia e da lì, con gli ultimi provvedimenti adottati da Erdogan, possono essere respinti ancora una volta verso il  Paese dal quale sono fuggiti. L’invocazione dell’intervento dell’Unione Europea è un alibi che ricorre ogni volta che queste stragi si verificano, perché si sa che non sono certo le richieste italiane a costringere Bruxelles a decidere, soprattutto dopo la crisi innescata dal governo con la Francia e la Germania, quando a novembre dello scorso anno si voleva impedire a Catania lo sbarco dei naufraghi soccorsi dalle navi umanitarie.

E’ inutile sperare che l’Unione Europea intervenga con una revisione sostanziale del Regolamento Dublino, con una riconversione di Frontex a finalità prevalenti di soccorso, quasi l’operazione Mare Nostrum europea che molti auspicano. Il contributo finanziario promesso dalla Presidente della Commissione Von der Layen servirà soltanto a rafforzare gli aspetti repressivi delle politiche migratorie europee e gli accordi con i paesi terzi. Purtroppo anche la nuova segretaria del PD Schlein chiede che intervenga l’Europa, ma non si possono certo attendere svolte in politiche che l’attuale governo italiano, in un momento nel quale l’attenzione principale dei governi europei è rivolta verso la guerra in Ucraina, non potrà che subire.

Terza cosa, non si può scambiare, o meglio confondere, a discrezione politica, un soccorso in mare in un intervento di law enforcement (contrasto dell’immigrazione irregolare), o viceversa.

Non si può puntare solo sulla capacità di coordinamento della Guardia Costiera, quando molte decisioni vengono prese dal coordinamento interforze NCC (Nucleo centrale di coordinamento) creato anni fa presso il ministero dell’Interno, e dal centro di coordinamento internazionale tra Frontex e la Guardia di finanza (ICC). Questi livelli burocratici impediscono alla Guardia Costiera di svolgere i suoi compiti istituzionali con la stessa tempestività che li caratterizzava fino al Decreto sicurezza bis n.53 del 2019 voluto da Salvini e mantenuto dal governo Draghi.

Rproject: Qual è la tua impressione su tutta questa vicenda? Ci puoi fare un quadro meno impressionistico di quello fatto dai mass media? Anche se, escludendo i giornali di destra ed estrema destra, su quella che potremmo definire la grande stampa le notizie ci sono tutte, pur essendo difficile per chi legge o ascolta metterle insieme.

FVP: Sui fatti ho poco da aggiungere perché purtroppo i documenti e le comunicazioni, i rapporti sono tutti atti riservati che in questo momento sono all’attenzione del magistrato e non si possono anticipare sentenze di condanna. Quindi, anche per me che ho seguito da vicino questa vicenda, pur non essendo sui luoghi, è difficile dare un giudizio sulle dinamiche dei soccorsi. Alcuni elementi certi, però, ci sono, e le dichiarazioni di Piantedosi in Parlamento confermano i dubbi che sono diffusi sulla tempestività degli interventi di soccorso. 

Lo spostamento delle decisioni sui tempi di intervento SAR dal massimo livello operativo della Guardia costiera (IMRCC) al coordinamento presso il Ministero dell’interno (NCC), voluto per contrastare i soccorsi delle Organizzazioni non governative, rivela tutta la sua disfunzionalità, e la sua disumanità su una rotta sulla quale le navi del soccorso civile non operano. Nella informativa del ministro dell’interno, tutta basata su quanto comunicato da Frontex, ci sono già gli elementi che avrebbero dovuto costringere a dichiarare immediatamente un evento SAR, coinvolgendo tutte le imbarcazioni che potevano intervenire, in quelle condizioni che costringevano i mezzi della Guardia di finanza a rientrare in porto. Nel comunicato con cui Frontex dava notizia del caicco, che proveniva dalla Turchia, sul punto di avvicinarsi alle acque territoriali italiane – a quaranta miglia da Crotone- era già nella zona SAR di competenza italiana, procedeva a sei nodi e avrebbe impiegato circa sei ore per raggiungere la costa calabrese. Il carico di persone e l’assenza di salvagente segnalati da Frontex subito dopo il primo avvistamento integrano  i dati richiesti dal Regolamento UE n.656 del 2014, per la dichiarazione di un caso di distress. Le condizioni del mare erano visibilmente in peggioramento – come è stato confermato dal rientro dei mezzi della Guardia di Finanza, che non doveva descrivere il natante proveniente dalla Turchia in condizioni normali di navigabilità, quando le condizioni del mare costringevano le motovedette della stessa Guardia di finanza a rientrare. Inoltre, è noto che la Guardia Costiera dispone di unità di soccorso più efficienti della GdF, che non sono altrettanto capaci di caricare a bordo un numero elevato di naufraghi. Bastano le fotografie e gli interventi nei soccorsi di questi ultimi anni per spazzare il campo dalla fungibilità negli interventi di law enforcement con gli interventi di soccorso. Le motovedette in uso alla Guardia di finanza sono unità concepite per attività di repressione dell’immigrazione irregolare, prive di quella capacità di carico e di trasbordo sicuro in ogni condizione di tempo, che sono invece caratteristiche dei mezzi della Guardia costiera o dei mezzi più grandi della Marina militare. Altra grande assente in questa vicenda, anche se le sue navi sono certamente presenti nello Ionio. Quindi, sommando questi elementi di fatto, viene fuori che dopo aver individuato il barcone e dopo che si erano persi i contatti, una volta che l’aereo di Frontex aveva fatto rientro alla base e la GdF era costretta a fare marcia indietro, nessuno ha preso qualsiasi iniziativa di ricerca e salvataggio dopo che si erano persi i contatti con il caicco. Questo elemento costituisce un punto di fatto incontrovertibile, che corrisponde ad una grave violazione di quanto imposto dal Regolamento europeo n.656 del 2014, che agli indici di distress aggiunge anche la perdita dei contatti con l’imbarcazione tracciata durante attività di contrasto dell’immigrazione irregolare in mare (law enforcement)..

Per cui, sommando gli elementi di fatto che provengono da fonti ufficiali e le fonti normative che conosciamo in questa materia, nel loro ordine gerarchico, ossia non anteponendo un decreto del ministro a un regolamento europeo, ma mettendo quest’ultimo come fonte più autorevole perché fornisce degli indici sulla situazione di pericolo grave che impone un intervento immediato – come peraltro impone anche il nostro piano SAR adottato dal ministro delle infrastrutture nel 2021 – emerge chiaramente che, a seguito del rientro in porto della Guardia di finanza, se non prima, con l’invio di mezzi più efficaci per il salvataggio in alto mare, si doveva pur intervenire quantomeno con attività di ricerca e monitoraggio, per non perdere i contatti, almeno per tracciare la rotta del caicco e per individuare il punto d’arrivo sulla costa.

Questa prassi è stata seguita in molte altre occasioni, in passato, con salvataggi operati in condizioni estreme da mezzi della Guardia costiera o della Marina (basti pensare all’Operazione Mare Nostrum nel 2014), ai quali ha concorso la Guardia di finanza. Ma la svolta politica di questi ultimi anni, con la moltiplicazione dei centri decisionali dislocati nei ministeri,  ha imposto il ritiro dei mezzi militari italiani all’interno delle nostre acque territoriali (12 miglia dalla costa) e dunque una maggior difficoltà a raggiungere imbarcazioni che si trovavano in pericolo (distress) in alto mare a diverse decine di miglia dalla costa.

Sarà comunque difficilissimo individuare responsabilità personali, che pure non si possono escludere, perché dalla legge Bossi-Fini in poi, già dal 2003 con un decreto interministeriale, poi con successivi decreti di natura amministrativa, fino al 2015 con l’istituzione di una unità di coordinamento tra il ministero dell’interno e quello delle infrastrutture (NCC), per quanto riguarda la Guardia Costiera e con il ministero della difesa per quanto riguarda le autorità militari, quindi anche con la GdF e Frontex (ICC)– per l’attuazione di un regolamento europeo (Eurosur) per la sicurezza delle frontiere esterne – si sono moltiplicati i centri di coordinamento ministeriale direttamente sottoposti ai poteri decisionali dei vertici politici. Questo incrocio di competenze tra un organo presso il ministero dell’interno preposto principalmente alla sicurezza delle frontiere e la competenza primaria nell’attività di soccorso della Guardia Costiera ha reso da anni decisiva la distinzione degli eventi che si verificavano tra quelli riferibili all’immigrazione irregolare e quelli che invece avevano immediatamente natura di soccorso.

Già con Salvini, nel 2018 con i decreti “ad navem” che vietavano alle Ong l’ingresso nelle acque territoriali prima e dopo il decreto sicurezza Bis n.53 del 2019, poi con la Lamorgese e la modifica parziale di quel decreto col secondo governo Conte, si era consolidato, in contrasto con le Convenzioni internazionali di diritto marittimo e con la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, un enorme potere di veto in capo al ministero dell’interno, in base al quale si attribuiva valore prevalente alla protezione dei confini e al contrasto dell’immigrazione irregolare, rispetto ai doveri di soccorso in mare.

C’è anche da dire che la rotta turca non è una novità, ma che quest’anno, con l’aggravarsi della crisi in Iran e da ultimo a causa del terremoto che ha dilaniato la Turchia e la Siria, di cui nessuno parla più, gli arrivi sono aumentati in misura esponenziale, ed ancora di più potranno aumentare nei prossimi mesi. Nel 2022 sono arrivate oltre diecimila persone dalla Turchia, quest’anno potrebbero essere molte di più.

La rotta turca è sempre stata ritenuta una rotta a basso rischio, perché rispetto alla rotta del Mediterraneo centrale c’è un rapporto, tra le persone arrivate e le vittime, molto basso. Mentre si verifica il contrario sulla rotta libica anche perché è  diversa la natura delle imbarcazioni. Nello Ionio, fino a pochi mesi fa, sono state soccorse migliaia di persone, con azioni sinergiche tra Marina militare, Guardia costiera, Guardia di finanza, navi commerciali. In questa ultima occasione è mancato qualsiasi coordinamento, un dato che nessun esponente di governo potrà smentire.

Se si fosse interventi anche solo poco prima del contatto della chiglia del caicco con la secca, molte persone si sarebbero salvate.  Come ha ricordato anche un esponente della guardia costiera di Crotone. Fino all’ultimo, o quasi, parliamo di pochi minuti prima del tragico schianto, si è trattata la navigazione di avvicinamento  del caicco alla costa calabrese come un tentativo di ingresso irregolare, da monitorare, ma senza intervenire, prima dello sbarco a terra. L’improvvisa virata riferita da Piantedosi, prima dell’urto con la secca, forse per evitare l’ostacolo imprevisto, e’ un elemento che non consente di ridurre le responsabilità di chi doveva intervenire per tempo.

La distinzione fra eventi di immigrazione irregolare e di soccorso, su cui si è molto giocato nel Mediterraneo centrale perché si dovevano delegittimare gli interventi delle ONG, per sostenere che favorivano l’immigrazione irregolare, anche quando erano evidenti eventi di pericolo, con imbarcazioni sovraccariche di persone, è all’origine di questa ultima strage, anche su una rotta sulla quale le ONG non sono presenti.

Anche ieri c’è stato un naufragio con decine di morti e dispersi, al largo di Tobruk in cui è anche morto un bambino, ma nessuno ne parla perché i corpi delle vittime sono invisibili E’ questo che vogliono le autorità italiane, che le vittime di frontiera scompaiano in mare, quello che questa volta non è successo sulla spiaggia di Cutro, sulla quale sono arrivati, e continueranno ad arrivare, cadaveri, che sono il più severo capo di accusa contro chi ha fondato la sua politica, ed il suo successo elettorale, sul ritiro dei mezzi di soccorso, sulla criminalizzazione della solidarietà, sul contrasto anche in mare dell’immigrazione irregolare e  sulla chiusura di tutti i canali legali di ingresso, a parte la misura simbolica dei cd. corridoi umanitari. Il punto è che la classificazione come evento di immigrazione irregolare disattiva l’intervento di soccorso immediato e si traduce in un monitoraggio, generalmente affidato a mezzi della GdF che poi può anche essere proseguito dai corpi della Guardia costiera in funzione di polizia di frontiera. Anche in passato proprio in questa fase, si sono verificati naufragi sotto bordo delle unità di soccorso, come ad esempio vicino le coste di Lampedusa nel giugno del 2021.

Ci saranno sicuramente delle denunce sul piano giudiziario, qualcuna di queste arriverà anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo, se si accerterà che in Italia non è possibile ottenere giustizia.

Penso che sia necessario fare qualcosa sul piano politico e organizzativo per impedire che queste stragi si ripetano, modificando le regole di ingaggio delle unità aereo-navali coinvolte nelle operazioni di monitoraggio e fare in modo che non appena ci sono tutti gli elementi per classificare in base agli indici di distress un caso come ricerca e salvataggio (SAR), si intervenga portando le persone su mezzi sicuri, sbarcandole in tempi rapidi e non in porti di destinazione vessatori come quelli assegnati dal ministro Piantedosi in base al nuovo decreto legge del 2023. Destinazioni vessatorie che svuotano il Mediterraneo da navi che potrebbero svolgere il salvataggio di un numero maggiore di persone, se non fossero continuamente stoppate, con ogni mezzo, anche con i fermi amministrativi, come per la Sea Watch ancora boccata da mesi a Reggio Calabria, dalle autorità italiane. Ci sia maggiore attenzione per quella salvaguardia della vita umana in mare che prevale sulla difesa dei confini, anche in base alle Convenzioni internazionali, come il Protocollo addizionale alla Convenzione di Palermo del 2000 sul crimine transnazionale,

Rproject. In questi giorni molti parenti delle vittime del naufragio di Cutro sono arrivate da diverse parti di Italia e d’Europa. Ma se ci fosse la possibilità del ricongiungimento familiare, non si eviterebbero all’origine questi viaggi? Questo, per rispondere alle odiose dichiarazioni di Piantedosi sul senso di responsabilità di chi mette a repentaglio la vita dei figli…

FVP: Piantedosi ignora  che esistono già regolamenti italiani ed europei che prevedono i ricongiungimenti familiari e i visti umanitari.

Il ricongiungimento familiare prevede un rapporto di parentela purtroppo molto stretto, per cui se i familiari sono cugini, fratelli, zii, nipoti, in base all’attuale normativa non ci sono le condizioni per farlo. Perché questo riguarda solo i coniugi, i figli, a volte i genitori e basta. Sicuramente c’è una carenza quantomeno in Italia sui ricongiungimenti familiari. Nei casi in cui è possibile farne richiesta presso l’ambasciata del Paese in cui si vuole entrare, gli ostacoli burocratici (e talora anche i livelli di corruzione) sono tanto elevati da bloccare anche persone che avrebbero perfettamente diritto di entrare nella categoria di parenti stretti e ottenere un documento di visto di ingresso; abbiamo avuto anche dei casi di fronte ai tribunali di dinieghi illegittimi da parte dei Consolati.

Altra cosa è il rilascio dei visti per motivi umanitari previsto dal codice delle frontiere Schengen e anche dal nostro ordinamento. Questa via è usata generalmente come modalità d’ingresso quando si fanno i cosiddetti corridoi umanitari.

Le persone entrano con “visti umanitari” dopo che i loro casi sono stati selezionati, analizzati fin nei minimi dettagli nei Paesi in cui si trovano e solo se alla fine di questo iter vengono considerate come “particolarmente vulnerabili”. Però, anche qui, è inutile che i ministri si affatichino a dire che l’Italia ha concesso un numero elevato di ingressi umanitari, perché parliamo di circa ottocento persone in un anno su centodiecimila costrette a entrare irregolarmente, per non parlare dei milioni di persone che potrebbero avere legittimamente avere i visti umanitari. La gran parte di queste persone non ha alcuna intenzione di venire in Italia o in Europa, perché per quanto i loro Paesi posano essere vittime da guerre, terremoti e milizie, si cerca di ricostruire un’esistenza nei luoghi dai quali si proviene. Sempre che ci siano le condizioni minime per la sopravvivenza.

Una parte di questi, anche per il radicamento in Europa di parenti e amici, hanno sicuramente diritto a entrare nel nostro Paese, anche perché la richiesta di asilo è un diritto fondamentale di qualunque persona: il problema è che questa richiesta si può fare solo alle frontiere, ma si impedisce alle persone di raggiungere quelle europee. Inoltre, si impedisce l’asilo cosiddetto extra territoriale, ossia poter farne richiesta in un’ambasciata per poter ottenere un visto umanitario per poi entrare nel Paese di destinazione. Ma nessun Paese vuole essere scelto, anzi i singoli Stati vogliono scegliere le persone che possono entrare sul loro territorio, in base al principio di sovranità che il diritto d’asilo, se vogliamo, in qualche modo lede.  Per cui anche se sono persone vulnerabili, come chi arriva dall’Afghanistan, dall’Iraq, dalla Siria o dall’Iran, sono costrette ad affidarsi agli scafisti ma non sono certo corresponsabili della morte dei loro figli.

Quando l’UNHCR parla della Grecia come Stato che avrebbe potuto intervenire prima che il caicco arrivasse il Calabria, voglio solo ricordare che in quel Paese si è aperto un procedimento penale contro dei genitori che hanno perso i figli in un naufragio ritenendoli responsabili della loro morte. Quello che in qualche modo ha vagheggiato Piantedosi, evidentemente ben informato a questo riguardo, in Grecia è già diventato processo penale. Questo è quello che le persone che vengono dalla Turchia vogliono evitare, evitando accuratamente di entrare in acque greche o di farsi intercettare dalle motovedette greche. C’è anche da dire che Grecia e Malta applicano la politica del “non vedere” perché se soccorrono devono comunque far sbarcare le persone sul loro territorio e non hanno alcuna intenzione di concedere l’accesso ad una procedura di asilo.

Rproject. A livello politico. Sembra che in Italia tutte le forze politiche di opposizione si comportino in modo speculare a quelle della maggioranza governativa. Quando ci sono invocazioni vaghe e generiche all’Europa, si ha l’impressione che si alzi l’asticella però sempre per cambiare discorso e spostare altrove l’attenzione, quindi farebbero meglio a impegnarsi per cambiare davvero la legislazione italiana e quella europea.

FVP: Sono tanto più responsabili quelli che sanno benissimo che la UE non finanzierà mai un’altra operazione Mare Nostrum. Il problema è questo: quando parliamo di scelte di sistema, dobbiamo sempre avere presente che gli autori se non sono perseguibili sul piano penale – salvo in casi eccezionali – rimangono ai loro posti soprattutto perché sono stati eletti, quindi le loro politiche di abbandono in mare, o di chiusura dei porti, godono di un largo consenso. Questo emerge anche dai commenti sui social di moltissime persone che rispetto ai loro problemi quotidiani accettano la morte degli ultimo come elemento quotidiano, soprattutto dopo l’emergenza Covid e la guerra in Ucraina.  Le conseguenze delle guerre permanenti che si combattono da anni, anche altrove, sono state assuefazione, indifferenza; quindi non si possono attendere rapidi sconvolgimenti degli assetti elettorali, occorre parlare di una svolta politica, da intendere piuttosto come una svolta culturale, con un lavoro di base quotidiano, e non come iniziative sporadiche da portare avanti con un gruppetto di parlamentari che fanno interrogazioni o proposte di legge. Ma pensare che oggi il parlamento italiano o il Consiglio europeo adottino delle decisioni che vadano incontro alla tutela del diritto alla vita rimane, per quanto auspicabile, utopia, ipocrisia o malafede.

Credo che ci sia da fare un lavoro molto faticoso, in profondità, che sarà una questione di anni, se non di generazioni; perché purtroppo solo quando le persone vedranno sul loro vissuto quotidiano le conseguenze di queste scelte disumane di rafforzamento dei muri e dei controlli di frontiera, e più in generale di esclusione – e ci arriveranno – allora forse solo a quel punto ci sarà una svolta tale nell’opinione pubblica che condizionerà i decisori politici. Fino a quel momento le decisioni politiche di morte potranno godere di vasto consenso ancora per molto tempo. Dobbiamo prenderne atto, perché altrimenti non sappiamo che cosa dobbiamo affrontare. Se pensiamo che un organismo politico rappresentativo, espressione di elezioni come quelle più recenti, possa modificare questa situazione, secondo me perdiamo il contatto con la realtà e quindi non siamo nelle condizioni di capire cosa fare. La vera opposizione a queste politiche di morte va costruita fuori dal Parlamento.

Siamo sicuramente in minoranza a sostenere il peso di questa sofferenza umana e a condividerla, e siamo ancora di meno ad avere gli strumenti per contrastare davvero la ventata sovranista, populista e di odio che sta devastando le società occidentali e in particolare quelle europee e ancora più in particolare l’Italia. Quindi se non capiamo i rapporti di forza e quelle che sono le nostre possibilità operative e le possibili alleanze, probabilmente non abbiamo capito nulla, o comunque quello che faremo rischia di restare un alibi per mettersi la coscienza a posto.

Rproject. Cosa intendi per alleanze?

FVP: Mi riferisco alle alleanze che possono partire dal basso, alle persone presenti fuori dal palazzetto dello sport di Crotone, a quelle impegnate all’arrivo nei porti delle navi con la solidarietà, agli operatori dell’accoglienza, al popolo di Riace, agli avvocati che comunque fanno i ricorsi contro i respingimenti, in difesa di chi può fare richiesta d’asilo e restare, a quei giornalisti che anche rischiando e vivendo precariamente continuano a fare giornalismo d’inchiesta.

Mi riferisco anche a quei gruppi politici diffusi, che comunque esistono, che continuano a fare una politica in cui al primo posto ci sono le esigenze delle persone e non quelle del mercato. L’offerta politica non è ancora chiara, anche le forme organizzative sono molto carenti. Occorrerebbe creare, con la consapevolezza di una lunga opposizione, un’aggregazione per il diritto alla vita, per i diritti sociali, che sia realmente alternativa a queste politiche di morte nel quotidiano, sul lavoro, per mancanza di cure negli ospedali, per emigrazione forzata a causa della disoccupazione nel nostro Paese.

Rproject. Cosa pensi del ruolo dei sindacati?

FVP: Il ruolo dei sindacati si lega alla possibilità di svolgere un lavoro nella legalità, sia in sicurezza e al diritto a una vecchiaia sicura. Sembra che i giovani non se ne occupino, ma stiamo andando incontro a un vero massacro sociale; perché se le cose continuano con questi regimi giuridici e di assistenza, tra quindici o venti anni non ci saranno più pensioni.

I sindacati hanno davanti un lavoro immenso. A partire dalla introduzione di meccanismi di regolarizzazione permanente: in modo da dare a chi ha mantenuto legami sociali (lavoro, abitazioni, ecc.) ma non ha il permesso di soggiorno o non ha le condizioni per rinnovarlo, comunque di far prevalere la residenza di fatto nel nostro Paese e l’inserimento sociale e lavorativo, per ottenerlo. Non come misura una tantum, ma come sistema. Alcuni Paesi europei hanno fatto e stanno facendo passi avanti.

L’altra cosa su cui i sindacati potrebbero spendersi è l’ingresso per lavoro che non può essere merce di ricatto tra le nostre autorità e i governi di Paesi come la Tunisia, Egitto, Marocco e Algeria: se voi bloccate tot subsahariani, noi vi diamo tremila ingressi per i cittadini tunisini all’anno. Tra l’altro, se ne parla poco in Italia, ora in Tunisia c’è una svolta autoritaria e il governo sta puntando sull’espulsione di subsahariani verso Paesi dove i loro diritti non vengono tutelati.

L’Italia sostiene queste politiche e il governo tunisino sostiene quelle italiane collaborando ai respingimenti. Spesso i blocchi in mare della Tunisia si traducono in morti invisibili, perché pur di sfuggire alle motovedette tunisine ferme a poca distanza dalla costa, chi parte si lancia verso rotte poco frequentate verso la Sardegna, oppure verso la Sicilia e le coste di Trapani e Pantelleria. Queste sono rotte pericolose e abbiamo avuto diversi naufragi di cui nessuno parla, perché quando non si vedono i cadaveri negli obitori o sulle spiagge il problema non esiste. Anche se sono migliaia e migliaia le persone che muoiono in mare o nei Paesi di transito vittime di abusi e violenze, che in Libia diventano raccapriccianti e documentate dalle Nazioni Unite con rapporti inconfutabili.

Intervista rilasciata il 7 marzo 2023

*Avvocato, già Docente di diritto di asilo presso l’Università di Palermo. Opera attivamente nella difesa dei migranti e dei richiedenti asilo, in collaborazione con diverse Organizzazioni non governative. Fa parte della rete europea di assistenza, ricerca ed informazione Migreurop ed è componente della Campagna LasciateCientrare.

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