DALL’ECUADOR AI POPOLI, ALLE SINISTRA, ALLE DONNE DEL MONDO

Ecuador: al di là dei risultati a sorpresa delle elezioni…

I risultati delle elezioni in Ecuador, il 7 febbraio scorso, hanno riservato alcune sorprese. Chiamata alle urne per eleggere il parlamento, la popolazione doveva pure votare per il primo turno delle presidenziali, essendo il secondo fissato all’11 aprile.

Il contesto dell’elezione era particolare: dopo quattro anni di riforme neo-liberiste – licenziamento di 50.000 impiegati pubblici, privatizzazioni nel settore della salute e dell’educazione, flessibilizzazione del diritto del lavoro – il presidente uscente, Lenin Moreno, subentrato nel 2017 a Rafael Correa di cui era stato il vice-presidente, non godeva più, a fine dicembre, che di un indice di soddisfazione fra la popolazione del 7%.

L’accordo da lui negoziato con il FMI subito dopo la sua elezione non aveva solo avuto conseguenze notevoli nel settore pubblico, ma aveva pure provocato un incremento massiccio del debito pubblico, passato da 26,8 miliardi di dollari nel maggio del 2017 a 42,3 miliardi di US$ nel novembre del 2020.

E quando, nel 2019, in seguito all’accordo con il FMI aveva voluto imporre un rincaro dei prezzi della benzina, fu obbligato a ritirare la misura da un imponente mobilitazione popolare partita dalle zone rurali indigene e che aveva progressivamente coinvolto massicciamente la popolazione urbana.

In queste condizioni, Lenin Moreno ha preferito non ripresentarsi per evitare una sconfitta umiliante. Ed é così che la competizione elettorale ha conosciuto dei risultati in parte inaspettati la vigilia.

Determinato ad ottenere il 50% dei voti ed a essere eletto già al primo turno, il candidato di Rafael Correa, Andres Arauz, che si era impegnato a rinegoziare l’accordo con il FMI e a versare un assegno unico di 1000 US$ ad ogni famiglia, raccoglie solamente il 32,14% dei voti, ben lungi dall’agoniato 50%.

Da parte sua, il candidato delle destre unite, Guillermo Lasso ottiene il 19,74% dei suffragi, cioè circa la metà dei voti cumulati delle destre – che allora si presentavano divise – nel 2017 a prova della perdita di legittimità fra la popolazione.

La sorpresa più grande é venuta dal 19,4% registrato dal candidato indigeno Yaku Perez, del partito Pachakutik (letteralmente, “nuovo paese”) sostenuto dalla Coordinacion nacional indigena de Ecuador (CONAIE) che giocò un ruolo dirigente nella rivolta del 2019 contro la fine dei sussidi alla benzina e dunque contro l’aumento generale dei prezzi che tale misura induceva.

In quell’occasione la CONAIE fu capace di combinare il movimento di rivolta contro il rincaro con delle pratiche assembleari proprie alle comunità indigene – era sulla base delle assemblee popolari che le misure di lotta, compresa la marchia su Quito, erano decise. E riuscì pure, in un paese nel quale 83% dei lavoratori sono precari, disoccupati o impiegati nel settore informale, a stabilire un legame tra miseria sociale, difesa del quadro vitale, dei diritti delle nazioni indigene e diritti delle donne.

E’ probabilmente in questa capacità che é da cercare il successo di Pachakutik. Ed é questa volontà di sintesi, di intersezione tra diritti sociali, nazionali, territoriali, ambientali e di genere che vuole esprimere l’appello “ai popoli, alle sinistre ed alle donne del mondo” lanciato da rappresentanti di vari movimenti sociali ecuadoriani e latino-americani che Rproject pubblica oggi.

Quanto alla scadenza elettorale – il secondo turno dell’11 aprile – questa vedrà affrontarsi il correinao Andres Arauz ed il rappresentante delle destre Guillermo Lasso, il Consiglio nazionale elettorale avendo, malgrado il ricorso di Yaku Perez, confermato il suo secondo posto.

Nel contempo, durante la scorsa settimana, una serie di rivolte si son prodotte in quattro carceri sovraffollati del paese e sulle quali si é abbattuta una feroce repressione. I morti sono stati 78 e, malgrado il silenzio della televisione ufficiale, immagini di detenuti decapitati circolano sui cosiddetti social networks.

Da parte sua, Lenin Moreno, prima di cedere i comandi del paese, sta già determinando la sua architettura futura nella misura in cui à la Banca centrale dell’Ecuador che intende privatizzare prima di andarsene…

(Paolo Gilardi)


Dall’Ecuador ai popoli, alle sinistre e alle donne del mondo

La sinistra non é un soggetto, un partito, un movimento o un governo ma una mobilitazione umana permanente che reinventa e trasforma la società nella ricerca della difesa della vita affermando e ampliando la dignità e la libertà umane senza aggredire le altre specie e danneggiare il pianeta. La sinistra non é ne’ formula ideologica, ne’ modello di governo, non é teoria politica, non é un pensatore e ancor meno un uomo provvidenziale.

La sinistra é la capacità umana d’inventare e reinventare in modo permanente la vita sociale; é il desiderio dei popoli di tessere il loro proprio destino in modo autonomo senza imposizioni di ordine coloniale, patriarcale e capitalista; la sinistra sta nel cuore delle comunità che prendono cura dei loro propri territori fisici e soggettivi e degli esseri che li abitano e dove non esiste la separazione tra esseri umani e natura quale l’assume l’Occidente, ma nei quali gli umani sono parte di un continuum che li vede tanto importanti quanto lo sono le montagne, la terra, l’acqua, i boschi.

E perdippiù, la sinistra é plurale perché, diversa e mutevole, é l’umanità così come i contesti nei quali si esprime questa mobilitazione umana sono molteplici.

Il progressismo equatoriano fu sinistra quando, attorno al 2006, si esprimeva una mobilitazione sociale che mirava a costruire un destino differente da quello, intriso di un capitalismo patriarcale e coloniale, imperante in Ecuador e nell’America latina. Non c’é dubbio che quando si incominciò a sabotare, ad asfissiare, a perseguitare, a ridurre al silenzio questa mobilitazione sociale, il progressismo equatoriano finì di essere di sinistra.

Quando la sinistra diventa conservatrice, smette di essere mobilitazione e desiderio sociale per convertirsi in un partito (Allianza Païs), in una formula ideologica (Revolucion Ciudadania) e in un uomo provvidenziale, un caudillo (Rafael Correa) che contiene e distrugge la mobilitazione sociale e intralcia la Storia nel suo processo di reinvenzione di contesti umani più piacevoli da vivere.

Alla differenza di altri paesi dell’America latina dove il progressismo conservatore é apparso come un’opzione di sinistra di fronte al liberismo conservatore, in Ecuador, la mobilitazione sociale delle nazioni e dei popoli originari, delle organizzazioni popolari e dei quartieri, delle donne femministe, dei giovani ecologisti e del popolo afroecuadoriano hanno aperto nel paese una nuova traiettoria di sinistra.

La falsa alternativa progressismo conservatore contro liberalismo conservatore presentata come sola scelta possibile é stata messa a male dalla fortissima mobilitazione sociale in difesa di tutte le specie animali, dei territori di vita, dell’acqua, della cultura ancestrale, del mondo contadino, delle comunità, della democrazia di queste comunità, quella mobilitazione sociale che si esprime nelle battaglie per la depenalizzazione dell’aborto, per la sovranità delle donne sul loro corpo e sulle loro soggettività, per il lavoro, in difesa della vita contro il capitalismo estrattivo patriarcale e coloniale che caratterizzò il governo progressista di Rafael Correa.

In questo processo elettorale non sono solo Yaku Perèz ed il movimento Pachakutik-CONAIE che difendiamo, ma la mobilitazione sociale in difesa della vita -degli esseri umani e degli altri esseri viventi-, della vita delle comunità, del vivere assieme, dei territori e sopratutto del diritto delle donne di decidere della loro vita.

Un’alternativa esiste al progressismo conservatore, patriarcale, coloniale, e estrattivista di Arauz, Ortega e Maduro ed al liberalismo conservatore di Lasso, Macrì, Guaidò e Añez. Non siamo Bianchi o Neri, siamo di tanti colori in uno spettro larghissimo quale quello della whipala. Siamo la traiettoria della mobilitazione dei popoli e delle nazioni indigene che sostengono ciò che Pachakutik esprime in questo momento tanto complesso della storia dell’Ecuador.

Quito, febbraio 2021

Natalia Sierra e Napoleon Saltos, per Comuna
Juan Cuvi e Alberto Acosta, per Montecristi Vive
Arika Arteaga e Xavier Maldonado, per ALAMES
Kati Alvarez e Marisol Rodriguez, per Colectiva de Antropologas del Ecuador

Traduzione dallo spagnolo, Paolo Gilardi

Tratto da: www.ecuadortoday.media

Potrebbe piacerti anche Altri di autore