IL SILENZIO SI E’ FATTO MURAGLIA

di Domenico Quirico

Credevamo nella solidarietà dei poveri verso i poveri, nella pietà di chi, scudisciato da delusioni e amarezze, ha vissuto la sventura verso gli altri che la attraversano. L’unico vero comunismo possibile, in fondo, negli abissi della Storia. Ora non più. Anche questo conforto ci è sottratto, sparisce, si asciuga. Perché tremila migranti vagano nella neve della Bosnia malmenata dall’inverno alla ricerca di un varco che li porti nell’Europa che sognano: tremila senza riparo, senza, rifugio; isolati, negati, respinti. Disavventure, le loro, non metafisiche ma scavate nella storia di oggi. Tremila di ogni genere, di tutte le età, di tutte le origini, sociali e religiose. Mi trovo a inventare le loro vite, i destini particolari. Non so nulla di loro, ma mi è chiara l’ostilità, il furore della popolazione che, anche lì, non li vuole, se non come vittime senza alcuna speranza di riscatto.

La Bosnia. Se passiamo le dita sulla carta geografica ancora ne palpiamo le ferite, gli squarci, le infinite suture, il dolore. eppure quei tremila non sono niente, spazzatura umana, numeri da cancellare rapidamente, da consegnare sveltamente ad altri. Ogni strada ogni città ogni bosco e montagna che percorrono laggiù evoca una strage, un agguato, un assedio, un sacrificio. La Bosnia è un memento, una biografia della possibilità di ricadere, sempre nell’orrore, esemplifica, aspetta al varco, ripropone. Ma anche lì la pietà è sparita, balbetta, tace. Sempre l’odio è di più facile assimilazione.

Le televisioni ci mostreranno le immagini, i giornali descriveranno i tremila migranti che avanzano verso il nulla dell’inverno, un giovane che piange di rabbia, una vecchia di disperazione, descriveranno le scarpe scalcagnate, i vestiti inadatti e ci diranno, precisi, i gradi del freddo delle notti balcaniche, assorbiremo i loro sguardi che sembrano supplicarci o rimproverarci. A forza di ascoltare ciò che tacciono, la miseria irrimediabile della loro condizione umana, noi non sentiamo più i rumori della vita.

Sì. E’ ancora una tragedia di migranti, dieci anni dopo l’inizio, solo le infinite variazioni geografiche, etniche, sociali, politiche si assommano, i luoghi si ripetono, le rotte della marcia si scambiano il proscenio. Il dramma resta uno: verrebbe da dire infinitamente eguale. Eppure quando pensiamo alla tragedia eravamo certi che al termine deve esserci un momento di riconciliazione. Il popolo dei fuggiaschi insiste: dammi una mano, racconta di me, metti a parte, indossami, cammina con me verso dove non sanno neppure di aspettarmi, trova il modo.

Tra noi e loro, invece, il silenzio si è fatto muraglia, separa ormai definitivamente i due campi.  Un silenzio che oltrepassa i suoi limiti per diventare onnipresente e farsi indifferenza. I migranti decantano, si sradicano, non hanno più origine né sfondo. Li abbiamo dimenticati, astutamente consegnati alle unghie di altri.

L’egoismo dei ricchi solleva indignazione, l’indifferenza dei poveri è peggio, ci sottrae il conforto nell’uomo, provoca in tutti noi un senso di smarrimento. Eppure abbiamo attraversato stagioni in questa storia infinita in cui i poveri saldamente davano l’esempio, a noi tentati dalla xenofobia ottusa o distratti dagli infiniti problemi che crea il timore di diventare meno ricchi. Neppure la pandemia ci ha reso universali nella pietà. Li abbiamo ammirati i tunisini, i libanesi, gli ugandesi allungare la mano a questo immenso popolo in marcia, dividere il poco che hanno da offrire un riparo, una voce di speranza. Erano il conforto della minoranza che da questa parte del mare si ostinava alla virtù del buonismo, al prossimo come dovere assoluto, e non voleva ritrovarsi al buio sotto la fitta coperta di un darwinismo sociale impenetrabile ai raggi della cultura e del diritto.

La gente non reagisce più come un tempo alle tragedie umane che non la coinvolgono direttamente. Un numero infinito di elementi interviene a modificare o nascondere queste reazioni di pietà, le ingiustizie non vengono più riconosciute in modo immediato anche quando siamo dei sopravvissuti. In altre parole le reazioni hanno perso la loro immediatezza perché si sono frapposti il calcolo o la bugia. La pietà umana, dispersa e smarrita, è diventata eccezione anacronistica.

 tratto da: www.lastampa.it

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