LE DUE FACCE DELLA QUESTIONE MUSULMANA

Premessa

Questo articolo di Farouk Mardam Bey, Yassin Al-Haj Saleh, Ziad Majed pubblicato il 27 ottobre è un contributo alla riflessione molto utile per cercare di comprendere a fondo le radici degli attacchi terroristici che in questi giorni stanno sconvolgendo la Francia. Per motivi evidenti i tre autori citano solo l’assassinio di Samuel Paty e non anche gli attentati di Nizza, Avignone e Gedda. 

Malgrado sia stato scritto prima di questi ultimi eventi l’analisi che fanno i tre autori spiega in maniera chiara e pacata anche questi, sfuggendo all’isteria dei più che vogliono per cecità politica e culturale, talvolta per semplice e rozza ignoranza, trasformare – per l’ennesima volta – un problema politico, culturale, economico e sociale in un presunto «scontro tra civiltà» che altro non fa che rafforzare ogni genere di estremismo e ogni genere di brama di potenza e prepotenza.

[Cinzia Nachira]

Il nichilismo jihadista prospera quando i sistemi politici dei Paesi a maggioranza musulmana si chiudono

di Farouk Mardam Bey, Yassin Al-Haj Saleh, Ziad Majed

L’assassinio di Samuel Paty si è aggiunto a una lunga serie di crimini terroristici commessi da giovani musulmani francesi o residenti in Francia. A causa dell’orrore che ha provocato e per il suo sinistro simbolismo, questo omicidio ha esacerbato le passioni come mai prima e reso pressoché impossibile discutere serenamente di qualunque cosa riguardi l’islam e i musulmani.

Questo è ciò che ci spinge, sia come intellettuali democratici e laici sia come eredi di una cultura plurale segnata dall’islam, ad affermare innanzitutto che il dibattito è quanto mai necessario per sfuggire alla trappola che ci tendono gli Abdullah Anzorov. Ciò che vogliono costoro e i loro istigatori insieme a tutti coloro che giustificano la loro follia omicida è esattamente di allargare ogni giorno di più il fossato tra i musulmani e il resto dell’umanità. E purtroppo in Occidente non mancano persone che si divertono a giocare lo stesso gioco e che vorrebbero vivere in cittadelle fortificate, indifferenti a tutto ciò che avviene intorno.

L’odio del mondo, il mondo di tutti noi, l’odio dei valori di giustizia, di libertà e uguaglianza, non cessa di estendersi negli ambienti musulmani, ma anche altrove, in Europa e negli Stati Uniti come in Russia, in India, in Cina o in Brasile. Questo nel momento in cui solo la nascita di una società mondiale solidale sarebbe in grado di dare delle soluzioni efficaci ai grandi problemi della nostra epoca, che si tratti dell’ambiente, del riscaldamento climatico, delle epidemie, della fame o delle migrazioni internazionali.

Il mondo di oggi, nella sua diversità e nella sua unità, è in crisi. Nulla lega di più le diverse componenti le une alle altre. I musulmani e la loro religione ne fanno parte, che lo vogliano o meno, che lo voglia o no. Il presidente Macron non ha avuto torto nel dire che l’islam è in crisi. Molti intellettuali del mondo musulmano, credenti o meno, lo ripetono da molti anni, e con parole più dure delle sue. Egli non ha detto nulla, in compenso, dell’altra crisi che colpisce tutto il nostro mondo e che aggrava quella specifica dell’islam. Né che la crisi dell’islam, che si manifesta in particolare con la crescita al suo interno del jihadismo nichilista, si inasprisce man mano che si rafforzano, in Occidente e altrove, la xenofobia e il razzismo.

La professione stessa di Samuel Paty, che insegnava storia, dovrebbe far riflettere sulle origini di questo jihadismo. Questo ha fatto irruzione sulla scena mondiale agli inizi degli anni ’80, in Afghanistan, quando gli americani si sono impegnati a fare di questo Paese, invaso e occupato dall’Unione sovietica, una sorta di “Vietnam” islamico che vendicasse il loro [Vietnam, N.d.T.]. Con la complicità dei servizi di sicurezza pachistani e con l’apporto in dollari e in proselitismo wahhabita dell’Arabia Saudita, hanno mobilitato decine di migliaia di giovani musulmani, li hanno addestrati e lanciati sul terreno. Tutto questo nello stesso momento in cui la Repubblica islamica dell’Iran, nata dalla rivoluzione del 1979, iniziava ad esportare la sua ideologia verso i Paesi vicini, avendo come obiettivo soprattutto la minoranza sciita che si sentiva angariata. In guerra aperta o sotterranea con i suoi avversari regionali e internazionali, la Repubblica islamica dell’Iran ha così promosso, parallelamente al neo-salafismo sunnita, un islamismo sciita anch’esso radicale. Più tardi, nel 2003, l’invasione americana dell’Iraq con pretesti infondati ha offerto al jihadismo già diffuso un terreno particolarmente fertile, visto che questo Paese era già devastato, nelle sue infrastrutture materiale come nel tessuto sociale, dal dispotismo di Saddam Hussein e dalle sue interminabili guerre. A questo si è aggiunto, a partire dal 2011, la distruzione sistematica della società siriana da parte del regime di Bashar al-Assad e i suoi protettori iraniani e russi. Ed è sulle rovine di questi due Paesi, l’Iraq e la Siria, che Daesh ha fondato la sua Internazionale del crimine.

Il nichilismo jihadista prospera quando i sistemi politici dei Paesi a maggioranza musulmana si chiudono, quando le loro società sono vietate alla politica, quando i loro destini gli sfuggono di mano. Se la religione, secondo il giovane Marx, è l’anima di un mondo senz’anima, questa, in “Terra d’islam”, è la politica di un mondo senza politica. La privazione di politica va di pari passo con il nichilismo. In compenso, la partecipazione attiva dei cittadini al governo della cosa pubblica li immunizza contro questo.

Dagli inizi degli anni ’90, soprattutto dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, le più influenti forze nel mondo hanno designato il “terrorismo islamista” come il male assoluto. Cosa che non gli ha impedito ma anzi le ha spinte ad affrontare i problemi politici del mondo musulmano esclusivamente dal punto di vista securitario e a scendere a patti con regimi infami che sono soprattutto agenzie specializzate in omicidi e torture. Due decenni dopo lo scoppio di questa discutibile battaglia, il mondo è diventato meno sicuro, gli odi si sono ancora di più radicati e più grandi criminali continuano a godere di una comoda impunità. Nessun tribunale locale o internazionale ha reso giustizia alle numerosissime vittime musulmane del terrorismo e dell’anti-terrorismo in Paesi come l’Iraq o la Siria. Solo le vittime non-musulmane suscitano compassione in Occidente e meritano ai suoi occhi di essere vendicate.

A cosa è servita alla fine questa guerra contro il terrorismo se non a salvare coloro che vi si sono impegnati: lo Stato torturatore di Bashar al-Assad in Siria, quello di Sissi in Egitto, il regime genocidario contro i Rohingya in Myanmar…? Questa guerra ha rafforzato il governo di Nerandra Modi in India, anche se colpevole di una lampante discriminazione verso la popolazione musulmana. Questa guerra non preoccupa minimamente le autorità cinesi che hanno rinchiuso un milione di Uiguri in campi di “rieducazione”. Questa guerra è regolarmente invocata da Israele per legittimare la colonizzazione e l’apartheid. Vi sono tanti più criminali, più corrotti quanto più si nascondono sotto questa bandiera e vi è molto terrorismo che non è terrorismo islamista.

Non smetteremo di ripeterlo: la questione musulmana oggi ha due facce. Per un verso il nichilismo jihadista la cui crudeltà desta orrore nel mondo intero, per altro verso l’odio verso i musulmani e tutti i musulmani senza distinzione. Vedere solo l’una o l’altra faccia, qualunque sia il pretesto, ci assicura un avvenire oscuro.

L’islamofobia che prolunga una lunga storia di conquiste coloniali e di massacri, alimenta l’islamismo più radicale. Dall’altra parte, questo islamismo non fa che attizzare l’odio dei musulmani. Questo prospera solo in ambienti torbidi. L’atteggiamento di difensore e vendicatore dell’islam offeso gli si confà perfettamente perché non ha nulla da proporre ai musulmani oltre il risentimento.

Siamo ancora in tempo – ma questo tempo è contato – di porre la questione musulmana sia nella sua specificità che in relazione al nostro mondo disorientato, senza progetti, senza promesse, senza speranza. Non vogliamo essere come Cassandra, ma quello che vediamo e sentiamo ci fa temere il peggio. E il peggio non preannuncia mai l’ora del suo arrivo.

Traduzione di Cinzia Nachira

In Le Monde, 27 ottobre 2020

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