LIBANO: TUTTI SIGNIFICA TUTTI!

di Gilbert Achcar

Il crimine commesso contro Beirut è veramente un “crimine contro l’umanità”, anzi lo è per eccellenza. Proprio come tutti gli esponenti del governo in Libano condividono la responsabilità per il collasso della sua economia e il drastico impoverimento che ha afflitto la maggioranza della sua gente, così questi sono il risultato di decenni di corruzione, saccheggi e indifferenza, che hanno favorito tutti coloro che hanno ricoperto posizioni di potere nel paese dall’entrata in vigore dell’accordo di Taif, (1) cioè trent’anni fa. Tutti loro, “e intendo tutti”, sono responsabili di quel crollo e dell’impoverimento: tutti coloro che hanno ricoperto posizioni di potere negli ultimi sei anni, periodo durante il quale il terribile carico di nitrato di ammonio è rimasto nel deposito nel reparto n. 12 del porto di Beirut. In particolare coloro che hanno ricoperto ruoli amministrativi e di sicurezza ufficiali e informali all’interno del porto e nella sua supervisione, per non parlare di coloro che si sono posti come protettori delle terre libanesi, concedendosi il diritto di estendere la propria rete internazionale nelle viscere dello Stato libanese e delle sue strutture pubbliche con il pretesto di difendere la patria, tutti, quindi, e “tutti, vuol dire tutti”, sono responsabili del crimine. A qualunque parte appartengano, che facciano parte dell’Alleanza “8 marzo” (2) o di quella del “14 marzo” (3) – maledizione per entrambe le parti! -, siano fedeli all’America, all’Arabia Saudita, all’Iran, al regime siriano o a chiunque paghi di più. 

Hassan Diab, il meno responsabile, è stato abbandonato e trasformato nel capro espiatorio che viene sacrificato. Non lo diciamo in difesa dell’uomo, che certamente non merita di essere difeso, ma piuttosto per correttezza verso la verità e merita correttezza. Diab non era primo ministro, meno di sette mesi fa, e non era un presidente con poteri effettivi, piuttosto era uno strumento di coloro che lo hanno nominato per difendere i propri interessi, nulla di più. Diab ha cercato di salvare la sua posizione e di incolpare gli altri con il suo primo intervento dopo che il crimine si è verificato, chiedendo, quindi, lo scioglimento del parlamento e lo svolgimento di elezioni anticipate. Sembra che questa sfacciataggine (agli occhi di una componente della coalizione che lo ha nominato primo ministro) abbia spinto chi lo ha installato a chiedergli le dimissioni. Egli ha fatto una discutibile affermazione con risentimento affermando di aver appena scoperto che “il sistema di corruzione è più grande dello Stato, e che lo Stato è vincolato da questo sistema e non può affrontarlo o sbarazzarsene”, come se non si fosse reso conto di questa verità evidente quando ha accettato di assumere il ruolo assegnatogli da una delle due ali di questo stesso sistema.

Eppure, dov’è la soluzione quando le vie d’uscita sembrano bloccate? Non è certo nel chiedere alla Francia di reimporre la sua tutela coloniale al Libano per un periodo di dieci anni, come hanno suggerito alcuni libanesi, avendo raccolto decine di migliaia di firme su una petizione con questo scopo (ignorano che la Francia è la “tenera madre” dello stesso regime che il popolo vuole rovesciare?). E solo il sentimento di disperazione e di impotenza mortale che li ha travolti da tutto ciò a cui è esposto il paese, ma oltre a questo, come si può celebrare il presidente francese come se fosse un eroe, e persino lodare la sua audacia di entrare nell’arena e il contatto con la folla quando nessuno dei governanti libanesi osa farlo, e il celebrante lo ignora. La buona notizia è Macron che è venuto con l’intenzione di creare un’occasione per farsi scattare qualche foto per poterla utilizzare per migliorare la sua immagine in Francia, dove non ha il coraggio di confrontarsi con la popolazione senza essere circondato da uno stretto muro di sicurezza, come quello che ha circondato Michel Aoun quando ha visitato il porto? In effetti, Macron è noto per la sua ambizione di svolgere il ruolo di mediatore tra America e Iran. Il suo appello per la formazione di un “governo di unità nazionale” in Libano non è altro che una traduzione di tale obiettivo. Chiede un nuovo governo iraniano/saudita simile al governo Hariri che ha preceduto la rivolta del “17 ottobre”. Tutore nel ruolo di arbitro. 

No, non ci sarà uscita dalla tragedia libanese sostituendo una tutela straniera con un’altra, o riconciliando due o più custodi. Durante il secolo trascorso dalla sua fondazione, all’interno dei suoi attuali confini si sono svolti diversi incarichi di custodia su questo povero Paese: francese, britannica, americana, egiziana, siriana, israeliana, saudita e iraniana, individualmente o in concorrenza. Lo slogan “tutti significa tutti” deve valere anche per la tutela straniera: non c’è modo per il Libano di uscire dal ciclo di tragedie che si sono susseguite sulle sue terre sin dalla sua nascita un secolo fa, se non sbarazzandosi dei questo sistema di potere con tutti i suoi componenti e tutti i suoi guardiani, e raggiungendo la piena sovranità nei due significati di sovranità: sovranità nazionale contro ogni tutela straniera e sovranità popolare contro tutti i tutori interni, per il bene del governo perché sia veramente “il governo del popolo, dal popolo e per il popolo” (come affermato nel famoso discorso di Abraham Lincoln nel bel mezzo della guerra contro la schiavitù negli Stati Uniti).

Per quanto riguarda la “neutralità positiva” che il Libano dovrebbe rispettare, non quella di chi sogna una “Svizzera del Medio Oriente”, ma quella rivendicata dai Paesi “non allineati” (4) al tempo di Abdel Nasser, Sukarno e Nehru, cioè l’indipendenza dalle sfere di influenza internazionali e l’impegno a difendere il diritto dei popoli all’autodeterminazione. Soprattutto i due popoli, quello palestinese e quello siriano che si sono cercati l’un l’altro in Libano, oasi di libertà e il rifugio degli oppressi che dovrebbe rimanere.

11.08.2020

Note

1) Trattato inter-libanese destinato a mettere fine alla guerra civile in Libano che si è sviluppata tra il 1975 e il 1990 che prende il nome dalla località in Arabia Saudita in cui è stato firmato l’accordo.

2) Alleanza “8 marzo”: coalizione il cui nome allude all’8 marzo del 2005, quando, in risposta alle proteste contro l’esercito e il governo siriano si svolse una manifestazione di massa a Beirut per ringraziare la Siria per aver contribuito a fermare la guerra civile e aver sostenuto la resistenza libanese all’occupazione israeliana. Comprende il Movimento Amal, il Movimento patriottico libero, Hezbollah e il partito democratico libanese.

3) Alleanza “14 marzo”: coalizione anti-siriana. Il nome della coalizione prende il nome dalla data delle manifestazioni avvenute il 14 marzo del 2005 contro la presenza militare siriana. Infatti i partiti che formano questa coalizione, pur avendo ideologie diverse tra di loro, sono accomunati dall’opposizione all’occupazione siriana del Paese.

4) Movimento dei “Paesi non allineati” nasce nel 1955 con la Conferenza di Bandung in Indonesia  su iniziativa di Tito, Nehru, Nasser e Sukarno. Il Movimento rappresentava gli Stati che non volevano schierarsi con una delle due superpotenze (USA e URSS) durante la “guerra fredda”. 

Traduzione e note a cura della redazione.

Tratto da: www.alquds.co.uk

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