LA PANDEMIA DELLE INEGUAGLIANZE

Domenico Quirico

Nello scenario torvo di una pandemia che si propaga nell’invisibile e attacca dall’interno circola una narrazione consolatoria, e ipocrita, a cui soprattutto nel momento del ritorno a una approssimativa normalità occorrerà prestare maggiore attenzione. Per annusarne i pericoli e evitarne i sedimenti impuri. E’ la tesi secondo cui la tragedia del virus ci ha resi in fondo tutti eguali. La ‘’influencer’’ con conto milionario di via della Spiga e l’irrimediabile Lazzaro delle periferie che vive nel cerchio della sopravvivenza: tutti confinati in casa, a guardar giù dal balcone le strade vuote sperando che tutto finisca. Una sorta di paradossale comunismo epidemiologico per cui si scomoda, inevitabile, la citazione della peste manzoniana: ‘’la scopa’’ della malattia collettiva che spazza senza distinguo principeschi palazzi e tuguri plebei, ammazzando l’arrogante don Rodrigo e l’umile plebeo, che allarga i suoi tentacoli a destra e a sinistra, setaccia tutto, implacabile e imparziale.

Non è un immaginario popolaresco e ‘’naive’’. Serve ai soliti politici carrieristi e parolai senza grammatica per irrogare la fiaba un po’ grossolana e utile in ogni occasione del popolo compatto virilmente di fronte alla catastrofe; unificato dalla solidarietà che nasce, appunto, dallo scoprire che nella disgrazia, nel divieto assoluto, nella proibizione collettiva saremmo uguali. A questa così involontaria e dolorosa solidarietà vengono ancorate, nientemeno, le ipotesi di una palingenesi prossima ventura delle ignave società occidentali. 

Ebbene, forse è vero proprio il contrario. Nulla è più ineguale di questa pandemia che ha ritmato e allargato brutalmente le distanze tra classi, gruppi categorie, li ha squarciati in mille pezzi. Sii è fratelli in qualche cosa. Non si è fratelli e basta. Partiamo dal punto più ineludibile e doloroso, il cuore di questa tragedia, la sua raccapricciante aritmetica: la morte. Chi è morto soprattutto? Gli anziani e gli ospiti delle case di riposo per i meno abbienti, i moderni lazzaretti in cui si caricano i contagiati sulle motorizzate carrette dei monatti. E’ quasi una classe sociale in un paese che dedica loro il fastidio per chi non ‘’produce’’ più e costa troppo. L’ineguaglianza di luoghi nati perché la morte non disturbi la vita a cui non si riservano neppure le briciole.

E ancora: l’obbligo di restar confinati in casa. Dietro i concerti di balcone e le presunte riscoperte solidarietà di cortile è forse eguale la pazienza di passare un mese e più in un alloggio di pochi metri quadri in qualche periferia o nell’attico dei quartieri residenziali?

E ancora. La scuola. Ci ha stordito il chiasso dei lodatori dell’insegnamento informatico a distanza che sarebbe una insperata benedizione. Complice la pandemia sarebbe trascinato nella modernità e nel futuro un paese di goffi retrogradi fermi alla scuola di De amicis e alla maestrina della penna rossa. Ma i bambini e i ragazzi che per ragioni economiche non dispongono di questi strumenti informatici e che sono centinaia di migliaia?  Dove hanno trovato la loro eguaglianza che la vecchia scuola con l’insegnante e i compagni tentava almeno di avvicinare?

E quelli che avevano occupazioni saltuarie, mal tutelate, i disoccupati, i fragili? Dove cala lo spegnitoio per loro della eguaglianza? Nel sussidio? Assistiamo al dilatarsi del concetto di povero ma nessuno sa o vuole definirne i contorni concettuali e pratici. Di fronte a cui sta, sempre senza astruserie sociologiche, ben definibile e visibile il mondo dei ricchi: che alla pandemia e ai suoi tempi dilatati resiste benissimo.

Circolano ipotesi allarmanti: ovvero di procedere, nelle fasi dell’attenuarsi del contagio (con tempi che hanno indefinite e pericolose cadenze bibliche) a diseguaglianze imposte, volute dall’alto. Ad esempio il confinamento protratto di classi di età, i soliti vecchi ad esempio, ovviamente per ragioni di ‘’necessità medica’’. O l’assegnazione di braccialetti elettronici e altri arnesi per seguire soggetti definiti sanitariamente ‘’pericolosi’’. Una prosa purtroppo già impiegata quella delle ‘’classi pericolose’’. Ma qui passiamo dalla teogonia manzoniana del rapporto tra la collettività e la morte a una violazione del diritto. La più inaccettabile delle ineguaglianze.

Tratto da: www.lastampa.it

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