CI DICONO DAL CILE

di Paolo Gilardi

Ci dicono dal Cile*

Undici manifestanti uccisi, più di 1500 arresti e lo stato d’assedio promulgato nella capitale ed in altre province: tale è il bilancio provvisorio in questo martedì 22 ottobre della rivolta in atto da giorni in Cile.

Per la generazione che è la mia, le immagini dei carri armati per le strade di Santiago evocano ricordi drammatici, quelli del golpe perpetrato da Pinochet contro il presidente Salvador Allende.

Però, al di la della ferocia della repressione, delle cariche particolarmente violente contro i giovanissimi manifestanti, quanto è in atto in questi giorni in Cile non ha niente a che vedere con quel lontano giorno del settembre del 1973. Anzi…

Un giaguaro col fiatone

Presentato dalle officine di propaganda come un modello di trasparenza macroeconomica, come il “giaguaro dell’America latina”, il Cile, la cui la crescita è costante -in media il PIL è aumentato del 5,2% all’anno durante gli ultimi 24 anni- è il paese più inegualitario di tutta l’OCSE, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.

Il costo della vita vi è altissimo. Per esempio, il biglietto della metropolitana di Santiago -il cui aumento annunciato dal governo ha dato fuoco alle polveri- costa quattro volte quello della metro di Buenos Aires ed è più caro che a Nuova York! Quanto allo sforzo finanziario delle persone normali per l’accesso alla pubblica sanità, esso è il triplo di quello della Germania!

In tal modo, una volta corretto l’alto PIL per abitante con criteri di parità del potere d’acquisto, il cittadino cileno si ritrova -in media, e media, si sa, non vuol dire realtà- ad avere un reddito equivalente al 31% di quello di un cittadino degli Stati Uniti!

Le privatizzazioni massicce operate dalla dittatura sotto la direzione dei Chicago boys tra il 1973 ed il 1990 si sono tradotte in un accesso più che limitato degli strati poveri della popolazione alle infrastrutture sanitarie, scolastiche e universitarie, mentre, malgrado un tasso ufficiale di disoccupazione inferiore al 7%, meno della metà delle donne ha un lavoro salariato ed solo un terzo di loro dispone di un lavoro stabile.

Ovvio che in questo contesto, l’annuncio da parte del governo di un ulteriore rincaro dei prezzi della metropolitana abbia scatenato la rivolta, in particolar modo quella degli studenti medi, i liceali, i quali, abitando nelle lontanissime periferie sviluppatesi durante la dittatura e dopo, della metro hanno un bisogno vitale.

La loro mobilitazione, largamente sostenuta dagli strati popolari, ha avuto un primo effetto: il 19 ottobre, il presidente Sebastian Piñera è stato costretto a sospendere l’annunciato aumento del prezzo del ticket. E la promulgazione dello stato d’assedio, come dimostrano le immagini che ci giungono da laggiù, non sembra avere effetto sulla mobilitazione, tanto più che il successo degli studenti rappresenta un esempio per strati più ampi della popolazione e potrebbe, a corto termine, sfociare in uno sciopero generale.

Non fosse che per questo, le immagini dei carri armati per le strade di Santiago non hanno la stessa portata di quelle del 1973: quelli di allora mettevano drammaticamente fine ad un’esperienza storica, quelli di oggi son lì a proteggere un governo il cui progetto economico e sociale mostra tutti i suoi limiti…

Non solo la benzina…

L’immenso movimento che si sta sviluppando in Cile fa eco ad un altro movimento che, solo poche settimane fa, ha obbligato un altro presidente, quello ecuadoriano Lenin Moreno (non sempre è Nomen omen, a ritirare una serie di misure dettate dal Fondo monetario internazionale in cambio di un prestito di un miliardo di dollari.

Anche in questo caso è stato l’aumento – del 123% – del prezzo dei carburanti a dar fuoco alle polveri. Contrariamente a quanto preteso da un pensiero ambientalista un po’ sempliciotto, se il rincaro dei carburanti – il cui prezzo era amministrato da un quarantina d’anni grazie a delle sovvenzioni pubbliche – può avere effetti benefici sul clima, si traduce in un rincaro generalizzato dei prodotti di prima necessità e colpisce gli strati più poveri della popolazione ecuadoriana.

Questi rappresentano il 37% degli abitanti dell’Ecuador ma il 75% delle popolazioni autoctone il cui ruolo è stato preponderante durante le mobilitazioni sfociate, il 13 ottobre, nel ritiro del decreto 883, il cosiddetto paquetazo che oltre la soppressione della sovvenzione pubblica al prezzo dei carburanti prevedeva altre drastiche misure.

Figuravano tra queste nientemeno che la riduzione fino al 20% dei salari dei dipendenti pubblici, il dimezzamento dei loro 30 giorni di vacanze pagate e la riduzione dell’equivalente di un giorno di salario al mese quale contributo al risanamento del debito pubblico.

Il ruolo della Confederacion nacional indigena de Ecuador, la CONAIE è stato in quei giorni decisivo. Alla testa della marcia delle popolazioni indigene su Quito, la capitale, è stata la CONAIE ad organizzare nei centri abitati attraversati le assemblee popolari che hanno preso in mano la conduzione della lotta.

È su sua iniziativa che, dopo l’uccisione di due manifestanti da parte della polizia intervenuta al momento dell’occupazione dei locali del Parlamento da parte di centinaia di persone l’8 ottobre, un’immensa assemblea popolare ha deciso lo sciopero generale ed il blocco delle istallazioni petrolifere dell’est del paese.

Ha in questo senso contribuito a incominciare a superare la frammentazione dei movimenti popolari e l’assenza di convergenza tra movimenti indigeni e movimento operaio.

Altri echi continentali

Dopo la cocente sconfitta subita da Mauricio Macri in Argentina alle primarie presidenziali dell’agosto scorso, la concomitanza di due movimenti di base per il momento vittoriosi in Cile ed Ecuador e le massicce proteste popolari ad Haïti, in America latina sembra venuto il momento per un rilancio di forti movimenti di lotta.

A tali echi si aggiunge la rielezione di Evo Morales ieri in Bolivia.

Malgrado una politica sempre più favorevole alle multinazionali dell’estrazione ed un divorzio oramai quasi consumato con le popolazioni autoctone, Morales ha comunque raggranellato più del 46% dei voti ed è rieletto. La sua campagna centrata sul bilancio di Mauricio Macri in Argentina, cioè delle politiche neoliberiste, ha quindi portato i suoi frutti.

Meno di un anno dopo la demoralizzante vittoria di Jaïr Bolsonaro in Brasile, con le due altre principali pedine di Trump, Macri e Piñera, in difficoltà, qualcosa potrebbe cambiare in America latina.

Sarebbe certo per il momento abusivo ipotizzare l’apertura di un nuovo ciclo di lotte, si può però affermare che il dominio assoluto neoliberista sta facendo acqua da molte parti.

Sarà capace la sinistra, quella dell’America latina ed al di là, di affrontare le immense sfide, programmatiche, metodologiche, culturali che si profilano?

Anche se a migliaia di km, sono sfide che non possono né lasciare indifferenti, né invitare a restare arroccati a presunte vèrità…

* Il titolo si riferisce ad uno slogan dell’estrema sinistra italiana consecutivo al 1973 e che diceva, nel momento in cui il PCI di Enrico Berlinguer cercava il cosiddetto “compromesso storico” con la Democrazia Cristiana “Compagno Berlinguer, ci dicono dal Cile che il compromesso storico lo fanno col fucile”

Potrebbe piacerti anche Altri di autore