LA SENTENZA

N. 3169/19 R.G.N.R. N. 2592/19 R.G.GIP

TRIBUNALE DI AGRIGENTO

Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari

ORDINANZA SULLA RICHIESTA DI CONVALIDA DI ARRESTO E DI APPLICAZIONE DELLA MISURA CAUTELARE – art. 391, in relazione agli artt. 272 e ss. c.p.p. –

Il Giudice per le Indagini Preliminari, dott.ssa Alessandra Vella.

Letta la richiesta del pubblico ministero, depositata il 30 giugno 2019 h. 21.33, di convalida del provvedimento di arresto eseguito dalla Guardia Di Finanza di Lampedusa, e di contestuale applicazione della misura cautelare del divieto di dimora in provincia di Agrigento (…)

INDAGATA

1) in relazione al delitto di cui all’art. 1100 cod. nav. perché, quale Comandante della motonave Sea Watch 3 nr. IMO 7302225, MMSI 244140096, Callsign PE7098 (con lunghezza fuori tutto di m. 50,33 e larghezza di m. 11,58 con dislocamento di 1.371 tonnellate), compiva atti di resistenza e di violenza nei confronti della nave da guerra “Vedetta V.808” della Guardia di Finanza (con dislocamento di 17,5 tonnellate).

In particolare,

• dopo aver reiteratamente ricevuto via radio dalla Guardia di Finanza l’ordine di fermare il moto – non essendo autorizzata all’ingresso nel porto di Lampedusa – ed essendo poi stata avvicinata dalla vedetta V.808 della Guardia di Finanza, con attivazione dei segnali previsti dal Codice Internazionale per farla desistere dall’ingresso in porto, intraprendeva manovre evasive ai reiterati ordini di alt imposti dalla vedetta, azionando i motori di bordo ed indirizzando la rotta verso il porto;

• quindi, dopo aver fatto accesso al porto, si dirigeva verso la banchina del molo commerciale, già occupata dalla vedetta V.808 ivi ormeggiata con lampeggianti e luci di navigazione accese, fino ad urtare con la propria fiancata di sinistra il fianco sinistro della motovedetta, che veniva compressa tra la motonave Sea Watch 3 e la banchina.

Fatto commesso in Lampedusa il 29 giugno 2019.

2) in relazione al delitto di cui all’art. 337 c.p., perché, quale Comandante della motonave Sea Watch 3 nr. IMO 7302225, MMSI 244140096, Callsign PE7098, usava violenza per opporsi ai pubblici ufficiali presenti a bordo della vedetta V.808 della Guardia di Finanza mentre compivano atti di polizia marittima. In particolare:

• quindi, dopo aver fatto accesso al porto, si dirigeva verso la banchina del a di Finanza l’ordine di fermare il dopo aver reiteratamente ricevuto via radio dalla Guardi Lampedusa – ed essendo poi stata avvicinata moto – non essendo autorizzata all’ingresso nel porto di avvicinata dalla vedetta V.808 della Guardia di Finanza, con attivazione dei segnali previsti dal Codice Internazionale (sequenza di lampi luminosi effettuata col faro di bordo) per farla desistere dall’ingresso in porto, intraprendeva manovre evasive ai reiterati ordini di alt imposti dalla vedetta, azionando i motori di bordo ed indirizzando la rotta verso il porto;

• quindi, dopo aver fatto accesso al porto, si dirigeva verso la banchina del molo commerciale, già occupata dalla vedetta V.808 ivi ormeggiata con lampeggianti e luci di navigazione accese, fino ad urtare con la propria fiancata di sinistra il fianco sinistro della motovedetta, che veniva compressa tra la motonave Sea Watch 3 e la banchina

così opponendo resistenza all‘equipaggio della vedetta V.808 della Guardia di Finanza.

Fatto commesso in Lampedusa il 29 giugno 2019.

OSSERVA

PREMESSA

Il fatto contestato all’indagata non può essere atomisticamente esaminato, ma deve essere vagliato unitamente ed alla luce di ciò che lo precede, ossia il soccorso in mare e gli obblighi che ne scaturiscono. In particolare, la Carta Costituzionale, le convenzioni internazionali, il diritto consuetudinario e dei Principi Generali del Diritto riconosciuti dalle Nazioni Unite, pongono obblighi specifici sia in capo ai comandanti delle navi che in capo agli Stati contraenti, in ordine alle operazioni di soccorso in mare.

IN DIRITTO

In particolare deve essere, sinteticamente, ripercorso il quadro giuridico sotteso all’art. 10 della Costituzione, l’ordinamento giuridico italiano si conforma alla fattispecie.

Va premesso che, in base alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Tra queste rientrano quelle poste dagli accordi internazionali in vigore in Italia, le quali assumono, in base al principio fondamentale pacta sunt servanda, un carattere di sovraordinazione rispetto alla disciplina interna ai sensi dell’art. 117 Cost., secondo cui la potestà legislativa è esercitata nel rispetto, tra l’altro, dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali.

In primo luogo, va fatto riferimento alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare di Montego Bay del 10 dicembre 1982 (c.d. UNCLOS – United Nations Convention of the law of the sea), ratificata e resa esecutiva in Italia con Legge 2 dicembre 1994, n. 689, che costituisce testo normativo fondamentale in materia di diritto della navigazione. L’art. 98 della Convenzione UNCLOS impone al comandante di una nave di prestare assistenza a chiunque si trovi in pericolo in mare nonché di recarsi il più presto possibile in soccorso delle persone in difficoltà qualora venga informato che tali persone abbiano bisogno di assistenza, nei limiti della ragionevolezza dell’intervento.

Anche la Convenzione cd. SOLAS firmata a Londra nel 1974 e resa esecutiva in Italia con Legge 23 maggio 1980, nr. 313 (e successivi emendamenti) impone al comandante della nave di prestare assistenza alle persone che si trovino in pericolo.

Considerata, infine, la Convenzione SAR (Search and Rescue) – Convenzione sulla ricerca e il soccorso in mare, adottata ad Amburgo il 27 aprile 1979 e resa esecutiva in Italia con Legge 3 aprile 89 n. 47.

Tale Convenzione, riguardante la ricerca e il salvataggio marittimo, si fonda sul principio della cooperazione internazionale e stabilisce che il riparto delle zone di ricerca e salvataggio avvenga d’intesa con gli altri Stati interessati.

Ebbene, va precisato che, in base alla normativa sopra richiamata, i poteri-doveri di intervento e coordinamento da parte degli apparati di un singolo Stato nell’area di competenza non escludono (anzi, in un certo senso impongono in base all’obbligo sopra delineato) che unità navali di diversa bandiera possano iniziare il soccorso allorquando lo richieda l’imminenza del pericolo per le vite umane.

L’obbligo di diritto internazionale, incombente sul comandante di una nave di procedere al salvataggio (del natante e, quando ciò non sia possibile, delle persone che vi si trovino a bordo) trova, in particolare nel diritto interno, un rafforzamento di tipo penalistico nell’art. 1158 Codice della Navigazione che sanziona penalmente l’omissione da parte del comandante di nave, nazionale o straniera, di prestare assistenza ovvero di tentare il salvataggio nei casi in cui ne sussiste l’obbligo a norma dell’art. 490 del codice medesimo ossia allorquando la nave in difficoltà sia del tutto incapace di effettuare le manovre.

Vanno, in particolare, segnalati per la specifica rilevanza che assumono rispetto alla valutazione di liceità della condotta dell’indagata, la previsione dell’art. 18 della Convenzione sul diritto del mare (Montego Bay) e l’art. 10 ter del dlgs 286/98. 3

La prima norma definisce cosa debba intendersi per passaggio inoffensivo di una nave nel mare territoriale:

Per “passaggio” si intende la navigazione nel mare territoriale allo scopo di:

a) attraversarlo senza entrare nelle acque interne né fare scalo in una rada o installazione portuale situata al di fuori delle acque interne;

b) dirigersi verso le acque interne o uscirne, oppure fare scalo in una rada 0 installazione portuale.

2) Il passaggio deve essere continuo e rapido. Il passaggio consente tuttavia la fermata e l’ancoraggio, ma soltanto se questi costituiscono eventi ordinari di navigazione o sono resi necessari da forza maggiore o da condizioni di difficoltà, oppure sono finalizzati a prestare soccorso a persone, navi o aeromobili in pericolo.

Il successivo articolo 19 prevede (riportandosi il passaggio utile nel contesto in esame): il passaggio è inoffensivo fintanto che non arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero. Tale passaggio deve essere eseguito conformemente alla presente Convenzione e alle altre norme del diritto internazionale.

3) Il passaggio di una nave straniera è considerato pregiudizievole per la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato costiero se, nel mare territoriale, la nave è impegnata in una qualsiasi delle seguenti attività:

g) il carico o lo scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato costiero.

Dalla lettura congiunta delle suddette previsioni, si desume il principio della libertà degli stati di regolare i flussi di ingresso nel suo territorio nazionale (espressione di sovranità) con i limiti- tuttavia – derivanti dal diritto consuetudinario e dai limiti che lo Stato stesso si impone mediante adesione ai trattati internazionali, idonei a conformare la stesa sovranità nazionale, e tra detti limiti figurano (art.18 sopra richiamato), il dovere di pronto soccorso alle navi in difficoltà e di soccorso ai naufraghi.

Inoltre, l’art. 10 ter del dlgs 286/98 prevede che “lo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi allestiti nell’ambito delle strutture di cui al decreto- legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563, e delle strutture di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142. Presso i medesimi punti di crisi sono altresì effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico, anche ai fini di cui agli articoli 9 e 14 del regolamento UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 ed è assicurata l’informazione sulla procedura di ti

protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell’Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito. Dalla suddetta previsione deriva l’obbligo, in capo alle autorità statali, di soccorrere e fornire prima assistenza, allo straniero che abbia fatto ingresso, anche non regolare, nel territorio dello Stato.

IN FATTO

Emerge, in primo luogo dalla CNR (Guardia di Finanza prot. n. 0369315/2019 del 29/06/2019), che di seguito si riporta testualmente, la cronologia degli eventi che interessano la Sea Watch 3 fin dal 12 giugno 2019 e che costituiscono antefatto della vicenda processuale, oggi all’attenzione di questo Giudice.

1) nel corso della mattina del 12.06.2019, la nave Sea Watch 3, battente bandiera olandese, effettuava il soccorso di 53 persone nella c.d. Zona SAR libica, alla distanza di 47 miglia nautiche dalle coste di tale paese: la Sea Watch 3 era venuta a conoscenza della presenza di una potenziale situazione di stress da parte dell’aereo “Colibri” che effettua monitoraggio in mare a distanza;

2) segnalata la presenza della imbarcazione in stato di stress ai centri di coordinamento dei soccorsi in mare dell’Italia, Malta, Olanda e Libia, alle ore 11:53, la Guardia Costiera libica inviava alla “Sea Watch 3” una comunicazione via mail con cui dichiarava di assumere il coordinamento dell’evento SAR;

3) La Sea Watch 3, contestualmente, trovandosi molto vicina al luogo dell’evento SAR, procedeva a soccorrere le persone in pericolo, informando di ciò le autorità precedentemente allertate;

4) al termine delle operazioni di soccorso giungeva una motovedetta libica, che preso atto di quanto accaduto si allontanava senza dare indicazioni al comandante della “Sea Watch 3” che ‘precedeva immediatamente a richiedere alle autorità Italiane, Maltesi, Olandesi e Libiche, l’indicazione di un POS;

5) Alle ore 23:00 circa, il competente MRCC libico comunicava l’assegnazione del POS nel porto di Tripoli;

6) Alle ore 14:00 circa del 13 giugno 2019, la “Sea Watch 3” riferiva che la Libia non poteva qualificarsi come porto sicuro e che, pertanto, richiedeva un alternativo POS o il trasbordo su un’altra unità; alle 19:01, Imrcc Roma comunicava a “Sea Watch 3″di non essere l’autorità competente in base al luogo dove era stato effettuato il soccorso, non indicando alcun POS dove potere sbarcare i naufraghi.

7) La “Sea Watch 3″ si dirigeva, allora, verso nord in direzione del porto sicuro più vicino rispetto alla posizione del salvataggio;

8) alle ore 23:11 del 13 giugno, il Ministero dell’Interno inviava, a valore di notifica, una e-mail ersi alla Autorità SAR alla motonave “Sea Watch 3” con la quale ribadiva l’obbligo di rivolgersi alle autorità SAR competente per territorio e con la quale la intimava a non entrare in acque di competenza italiana, in quanto l’eventuale ingresso sarebbe stato pregiudizievole per l’ordine pubblico ed il passaggio in di competenza italiane, in quanto l’eventuale ingresso in  acque nazionali sarebbe stato considerato non inoffensivo;

9) Occorre evidenziare che i luoghi qualificabili come POS – e geograficamente più vicini a quello dell’evento SAR- erano costituiti dalle coste italiane e da quelle maltesi; “Sea Watch 3″ si portava alla distanza di 17 miglia

10) Nella notte tra il 13 e 14 giugno, la Ila propria rotta — mantenendosi al di i nautiche dall’isola di Lampedusa- primo porto incontrato su fuori delle acque territoriali italiane;

11) nella giornata del 14 giugno, la “Sea Watch 3″ reiterava la richiesta di POS alle autorità italiane e maltesi, indicando le condizioni di vulnerabilità in cui versavano le persone soccorse,

12) Nella giornata del 14 giugno 2019 veniva pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto Legge urgenti in materia di contrasto 14 giugno 2019 n. 53, recante al capo 1 “disposizioni che modificava il Testo Unico in all’immigrazione illegale e di ordine e sicurezza pubblica”, Materia di Immigrazione, D.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, inasprendo le sanzioni per alcune fattispecie delittuose legate all’immigrazione clandestina;

13) Nella sera del 15 giugno 2019, in attuazione dell’art, 1 della nuova disposizione normativa, veniva formalizzato il Provvedimento Interministeriale a firma del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della Difesa e con il Ministro delle Infrastrutture e Trasporti, con il quale veniva disposto il divieto di ingresso, transito e sosta della nave “Sea Watch 3” nel mare territoriale nazionale;

14) Nel frattempo, veniva autorizzato un sopralluogo della nave da parte dei medici del CISOM di stanza a Lampedusa, al fine di accertare le condizioni sanitarie dei migranti, a seguito del quale veniva effettuata l’evacuazione di n. 10 migranti, di cui n. 8 necessitanti cure mediche e n. 2 in qualità di accompagnatori, trasferiti sull’isola con una motovedetta della Capitaneria di Porto;

15) Nei giorni successivi, la motonave Sea Watch 3 inoltrava diverse e-mail al Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo delle Capitanerie di Porto rinnovando le richieste di assegnazione di un POS in Italia, allegando dettagliati report medici sulla situazione medico- sanitaria dei migranti.

16) A seguito di parecchi giorni trascorsi dalla M/N “Sea Watch 3” al limite delle acque territoriali, costantemente monitorata da unità navali del Corpo e della Guardia Costiera, nonché di frequenti contatti via e-mail con l’Autorità Marittima, tesi ad ottenere lo sbarco dei migranti, che producevano, in data 22 giugno 2019, una ulteriore evacuazione medica per un soggetto di sesso maschile bisognoso di urgenti cure, alle ore 14.25 del 26 giugno 2019, la M/N “Sea Watch 3” si dirigeva verso le acque territoriali italiane;

17) Immediatamente veniva inviata sul posto la Vedetta della GDF V.808, congiuntamente alla motovedetta CP312, che le intimavano l’alt e la invitavano ad uscire dalle acque italiane nel rispetto del divieto emanato dal Ministro dell’Interno, di concerto con quello della Difesa e delle Infrastrutture e dei Trasporti;

18) Tali intimazioni venivano disattese dal comando della motonave che continuava nella navigazione verso l’isola di Lampedusa, invocando lo stato di necessità;

19) Giunta a poche miglia dalle ostruzioni portuali, la nave rallentava il-moto in attesa di ricevere “disposizioni su dove ormeggiare all’interno del porto di Lampedusa. Quindi, alle ore 16.35, militari della V.808 e della CP312 salivano a bordo della M/N “Sea Watch 3” per effettuare un controllo documentale ed acquisire la crew list;

20) Terminato il controllo, si invitava la motonave ad attendere disposizioni e, contestualmente, si dava inizio ad un monitoraggio visivo dell’imbarcazione per prevenire possibili azioni di forza;

21) Durante la notte, a seguito di richiesta del Ministero dell’Interno attraverso la Centrale Operativa del Corpo, militari della V.808 si recavano nuovamente a bordo per acquisire informazioni circa i migranti trasportati;

22) In data 27 giugno 2019, alle ore 23:20 circa veniva richiesta ed eseguita da parte di una vedetta della Capitaneria di Porto un’ulteriore evacuazione medica riguardante n. 1 migrante bisognevole di cure e n.1 minore;

23) Nella mattina del 28 giugno, il Procuratore Aggiunto della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento, Dott. Salvatore Vella, all’esito della ricezione dell’annotazione di polizia giudiziaria redatta in data 27 giugno dalla Stazione Navale di Palermo da cui dipendeva l’O.T.C., apriva un fascicolo a carico del comandante della M/N in relazione alle ipotesi di reato di cui all’art.12, comma 1 e 3 lett. a) del T.U.I ed all’art. 1099 del Codice della Navigazione ed emanava per la stessa un invito a presentarsi in qualità di persona sottoposta ad indagini ex art. 375 c.p.p oltre ad un decreto di perquisizione locale e personale della nave e dei soggetti a bordo, ai sensi dell’artt. 247 e segg. c.p.p., delegando, con facoltà di sub-delega, la menzionata Stazione Navale;

24) Pertanto, alle ore 14.45, il P.V.4 Avallone, affiancava la M/N “Sea Watch 3” per consentire ai militari di salire a bordo per l’esecuzione delle attività di Polizia Giudiziaria, finalizzata ad acquisire tutta la documentazione in formato cartaceo, audio/video e supporti di archiviazione informatici relativi ai giorni dal 09 al 27 giugno 2019;

25) Alla presenza del legale di fiducia, alle ore 15,30 circa si procedeva, quindi, alla formale notificazione del decreto di perquisizione e sequestro sopra descritto mediante consegna di copia alla comandante della nave Sea Watch 3 e all’Avv. L. M., previa sottoscrizione della relata di notificazione al Comandante della nave;

26) Il Comandante della nave, avuta contezza del contenuto del decreto di perquisizione locale e sequestro in precedenza notificato, esibiva la documentazione richiesta dai PP.MM ed alle ore 20.00 del 28 giugno 2019, terminate tutte le attività di polizia giudiziaria delegate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento, i militari impiegati sbarcavano dalla M/N “Sea Watch 3”, la quale continuava ad essere sorvegliata da unità navali del Corpo.

27) Alle ore 01.15 del 29 giugno 2019 la nave “Sea Watch 3” ha avviato i motori e ha iniziato a muoversi, dirigendosi verso il Porto di Lampedusa;

28) Alle 01:40 circa, l’unità della GDF V808 si dirigeva verso la banchina commerciale, così frapponendosi fra la detta banchina e la motonave, nel tentativo di impedire l’attracco della Sec Watch 3, che alle ore 01:45, durante le manovre di ormeggio presso la suddetta banchina, urtav l’unita della GDF V808 che, però riusciva a sfilarsi ed ad ormeggiare poco distante dalla nave.

LE DICHIARAZIONI  E IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO

Il Comandante della “Sea Watch 3” riferiva, puntualmente, dei 17 giorni a bordo della Sea Watch, prendendo le mosse dalla narrazione delle operazioni di salvataggio effettuate il 12 giugno 2019: “era un gommone in condizioni precarie e nessuno aveva giubbotto di salvataggio, non avevano benzina per raggiungere alcun posto, non avevano esperienza nautica, né avevano un equipaggio.”

La suddetta situazione concreta faceva sorgere l’obbligo per il Comandante della nave, di prestare soccorso alle persone trovate in mare in condizioni di pericolo (art. 98.1 UNCLOS).

Quindi, accolte le persone a bordo, veniva richiesto via mail il coordinamento delle operazioni e la indicazione di un porto sicuro (v. scambio mail, in atti), ai centri di coordinamento dei soccorsi in mare di “Libia, Olanda perché la nave batte bandiera olandese e Italia e Malta, perché erano le più vicine.  Il centro di coordinamento è responsabile di indicare il luogo col porto più sicuro. Nel mio caso verso mezzanotte la guardia costiera libica ci ha detto di indirizzarci verso Tripoli. A questo punto io ho capito che non potevamo indirizzarci verso Tripoli, perché non sicuro perché lì vi erano stati, per altri casi diverse violazioni dei diritti umani. La Commissione europea ci dice che il porto di Tripoli non è sicuro” (così testualmente il verbale di interrogatorio in udienza di convalida).

Invero, la decisione in tal senso assunta dal capitano della nave Sea Watch 3 risultava conforme alle , raccomandazioni del Commissario per i Diritti umani del Consiglio di Europa e a recenti pronunce giurisprudenziali (v. sentenza del GUP di Trapani, n. del 23 maggio 2019). Venivano, altresì, esclusi i porti di Malta, perché più distanti, e quelli tunisini, perché secondo la stessa valutazione del Comandante della nave, “in Tunisia non ci sono porti sicuri”. Circostanza si che riferiva risultarle” da informazioni di Amnesty International”; sapeva, inoltre “di un mercantile a con a bordo rifugiati che stavano da 14 giorni davanti al Porto della Tunisia senza potere entrare”. Tra l’altro, Malta non ha accettato le previsioni che derivano dalle modifiche alla convenzione SAR introdotti nel 2004.

Infine, la convenzione di Amburgo del 1979 prevede che gli sbarchi dei naufraghi soccorsi in mare debbano avvenire nel “porto sicuro” più vicino al luogo di soccorso. Questo significa che le sì persone tratte in salvo devono essere portate dove:

1) Ia sicurezza della vita dei naufraghi non è più in pericolo;

2) le necessità primarie (cibo, alloggio e cure mediche) sono assicurate;

3) può essere organizzato il trasferimento dei naufraghi verso una destinazione finale.

Secondo le valutazioni del Comandante della nave, quindi, la Tunisia non poteva considerarsi un luogo che fornisse le garanzie fondamentali ai naufraghi, conformemente alle previsioni della Convenzione di Amburgo (convenzione SAR) ed alle linee guida sul trattamento delle persone in mare, adottate dal Comitato per la sicurezza dell’IMO, in base alle quali sia per gli stati contraenti che per il comandante della nave sussiste l’obbligo di soccorso ed assistenza delle persone ed il dovere di sbarcare i naufraghi in un posto sicuro. Inoltre, la Tunisia non prevede una normativa a tutela dei rifugiati, quanto al diritto di asilo politico.

Alla luce del suddetto quadro normativo, delle sue conoscenze personali in ordine alla sicurezza dei il luoghi, ed avvalendosi della consulenza dei suoi legali, il Comandante Carola Rackete si approssimava alla acque di Lampedusa, ritenendolo “porto sicuro” e più vicino, per lo sbarco e la chiedeva, invano, alle autorità di poter entrare. in Nei pressi delle acque territoriali italiane, il Comandante scriveva continue email alle Autorità competenti, reiterando le richieste di sbarco ed evidenziando “casi medici urgenti” a bordo. io Esperiva ricorsi giurisdizionali, prima al Tar poi alla Corte Europea dei Diritti Umani, con esiti sfavorevoli.

Intanto, evidenziava lo scoramento, la frustrazione le sempre più precarie condizioni di salute dei naufraghi a bordo: “/a situazione psicologica stava peggiorando ogni giorno, molte persone soffrivano lo stress post traumatica, quindi quando abbiamo detto alle persone che l’esito era negativo la pressione psicologica era diventata intensa perché non avevamo nessuna soluzione e le condizioni mediche peggioravano. Abbiamo deciso di dichiarare lo stato di necessità e di entrare nelle acque territoriali. Questo il 26 giugno, quindi noi abbiamo cercato per 14 giorni di non infrangere la legge”.

Erano, anche, intervenute diverse evacuazioni mediche per emergenze sanitarie dal giorno del salvataggio.

La Sea Watch 3 restava nelle acque territoriali italiane per oltre due giorni, prima di entrare al porto di Lampedusa; sul punto precisava l’indagata: “ho aspettato per una soluzione politica che mi era stata promessa dalla Guardia di Finanza”.

Specificava che si attendeva un accordo tra i paesi UE in ordine all’accoglimento dei migranti. Nel frattempo, rappresentava l’indagata che la situazione a bordo stava precipitando: “ diverse persone del mio team hanno espresso serie preoccupazioni, uno dei medici ha detto che non avrebbe potuto prevedere più le reazioni delle persone a bordo…. diceva che ogni piccola cosa avrebbe potuto far esplodere la situazione ed il coordinatore-ospite ha detto che le persone stavano perdendo la fiducia nell’equipaggio”.

Quindi, il 28 giugno 2019, intorno alle 23.00 circa, dopo aver sentito l’equipaggio e rilevato il superamento delle linee rosse che un comitato ristretto dello stesso equipaggio si era dato, Carola Rackete decideva di sollevare l’ancora ed iniziare la manovra di ingresso nel porto di Lampedusa, “dandone immediata comunicazione alle autorità portuali ed alla Guardia di Finanza, e portando avanti le manovre di attracco, nonostante l’espresso diniego verbale proveniente dalle Autorità italiane.

Invero, la decisione di Carola Rackete risulta supportata dalla previsione dell’art. 18 della Convenzione del mare che, a proposito della navigazione nel mare territoriale, da parte della nave battente bandiera straniera, autorizza il “passaggio” ed anche la fermata e l’ancoraggio, ma soltanto se questi costituiscono eventi ordinari di navigazione o sono resi necessari .a prestare soccorso a persone, navi o aeromobili in pericolo.

Ed ancora, l’attracco da parte della Sea Watch 3 alla banchina del Porto di Lampedusa – che, si ribadisce, era già da due giorni in acque territoriali — appare conforme alla previsione dell’art. 10 ter dlgs 286/98, nella parte in cui fa obbligo — al Capitano ed alle Autorità nazionali indistintamente- di prestare soccorso e prima assistenza allo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare.

Ritiene, peraltro, questo Giudice che, in forza della natura sovraordinata delle fonti convenzionali e normative sopra richiamate, nessuna idoneità a comprimere gli obblighi gravanti sul capitano della Sea watch 3, oltre che delle autorità nazionali, potevano rivestire le direttive ministeriali in materia di “porti chiusi” o il provvedimento (del 15 giugno 2019) del Ministro degli Interni di concerto con il Ministro della Difesa e delle Infrastrutture (ex. art 11, co. 1-ter T.U. Imm.) che faceva divieto di ingresso, transito e sosta alla nave Sea Watch 3, nel mare territoriale nazionale (tra l’altro, trattandosi di divieto sanzionato da sola sanzione amministrativa ai sensi dell’art. 11 ter T.U. Immigrazione, come modificato dal c.d. decreto sicurezza bis).

VALUTAZIONE DEL GIP

In via assolutamente preliminare va esclusa la ricorrenza, nella specie, dell’ipotesi delittuosa in cui all’art. 1100 del Codice della Navigazione.

Invero, per condivisibile opzione ermeneutica del Giudice delle Leggi (v. corte cost., sentenza n. 35/2000), le unità navali della Guardia di Finanza sono considerate navi da guerra solo “quando operano fuori dalle acque territoriali ovvero in porti esteri ove non vi sia una autorità consolare”. Nella fattispecie, al contrario, la nave della Guardia di Finanza indicata nell’atto di incolpazione operava in acque territoriali, all’interno del Porto di Lampedusa.

Residua, dunque, la sola ipotesi di reato di cui all’art. 337 c.p., in ordine alla quale deve osservarsi, sulla scorta delle dichiarazioni rese dall’indagata (a tenore delle quali ella avrebbe operato un cauto avvicinamento alla banchina portuale) e da quanto emergente dalla visione del video in atti, che il fatto deve essere di molto ridimensionato, nella sua portata offensiva, rispetto alla prospettazione accusatoria fondata sulle rilevazioni della P.g.; nondimeno, l’avere posto in essere una manovra pericolosa nei confronti dei pubblici ufficiali a bordo della motovedetta della Guardia di Finanza, senz’altro costituente il portato di una scelta volontaria seppure calcolata, permette di ritenere sussistente il coefficiente soggettivo necessario ai fini della configurabilità concettuale del reato in discorso.

Detto reato, ad ogni modo, deve ritenersi scriminato, ai sensi dell’art. 51 c. P., per avere l’indagata agito in adempimento di un dovere.

L’attività del capitano della nave Sea Watch 3, di salvataggio in mare di soggetti naufraghi, deve, infatti, considerarsi adempimento degli obblighi derivanti dal complesso quadro normativo che si è sopra richiamato.

Su tale quadro normativo non si ritiene possa incidere l’art. 11 comma ter del Dlgs 286-98

(introdotto dal D.L. n. 53/2019): difatti, ai sensi di detta disposizione, il divieto interministeriale da essa previsto (di ingresso, transito e sosta) può avvenire, sempre nel rispetto degli obblighi internazionali dello Stato, solo in presenza di attività di carico o scarico di persone in violazione delle leggi vigenti nello Stato Costiero, fattispecie qui non ricorrente vertendosi in una ipotesi di salvataggio in mare in caso di rischio di naufragio.

Peraltro, l’eventuale violazione del citato art. 11 comma I ter – si ribadisce sanzionata in sola via amministrativa – non fa venir meno l’inderogabile disposto di cui all’art. 10 ter del Digs 286/98, avente ad oggetto l’obbligo di assicurare il soccorso, prima, e la conduzione presso gli appositi centri di assistenza, poi.

Giova, a questo punto, precisare che il descritto segmento finale della condotta dell’indagata, come detto integrativo del reato di resistenza a pubblico ufficiale, costituisce il prescritto esito dell’adempimento del dovere di soccorso, il quale – si badi bene – non si esaurisce nella mera presa

a bordo dei naufraghi, ma nella loro conduzione fino al più volte citato porto sicuro.

Conclusivamente, la Rackete ha agito conformemente alla previsione di cui all’art. 51 c.p. che esime da pena colui che abbia commesso il fatto per adempiere a un dovere impostogli da una” norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità. Quindi. il parametro normativo al quale riferirsi, sia per individuare il contenuto del dovere, sia per verificare la legittimità dell’ordine impartito, deve essere ricercato nell’ordinamento giuridico italiano (v. Cassazione Penale , sez. V , 11/03/2014, n. 39788) e quindi anche nelle norme internazionali che l’ordinamento giuridico incorpora.

CONCLUSIONI

L’insussistenza del reato di cui all’art. 1100 cod. della Nav. e, quanto al reato di cui all’art. 337 c.p.. l’operatività della scriminante di cui all’art. 51 c.p. giustificano la mancata convalida dell’arresto

ed il rigetto della richiesta di applicazione di misura cautelare personale.

P.T.M. Visti gli artt. 380 e ss. c.p.p.

NON CONVALIDA

L’arresto in atti generalizzata

Visti gli artt. 273 e ss., 391, VI comma

RIGETTA

La richiesta di applicazione di misura cautelare, nei confronti dell’indagata e ne ordina la immediata liberazione, se non ristretta per altro titolo.

Manda alla Cancelleria per i conseguenti adempimenti, disponendo che sia data immediata traduzione all’indagata della presente ordinanza, nella lingua da lei conosciuta, a mezzo dell’interprete già nominata all’udienza di convalida, ovvero di altro interprete che la P.G. provvederà a reperire.

Agrigento, 2 luglio 2019

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