SUL FONDAMENTALISMO ISLAMICO

di Gilbert Achcar intervistato da Ashley Smith

Fondamentalismo islamico, la primavera araba e la sinistra

Uno degli sviluppi chiave nel Medio Oriente negli ultimi trent’anni è l’ascesa di quello che i commentatori chiamano l’Islam politico, Islamismo o fondamentalismo islamico. Perchè afferma che è meglio riferirsi a questa corrente politica come fondamentalismo islamico, e quali sono le sue caratteristiche?

Il termine che si sceglie di usare per riferirsi al fenomeno è naturalmente collegato ad un giudizio politico, ed ogni termine ha diverse implicazioni. Prenda un termine che ha appena menzionato – Islam politico. Perchè nessuno usa questo tipo di designazione per istituzioni politicamente impegnate e per correnti interne al Cristianesimo, Giudaismo o Induismo, riferendosi al ‘Cristianesimo politico’, per esempio? Parlando di Islam politico bisogna anche porsi la questione di definire che cosa sia l’Islam “non politico”; in altre parole, quand’è che l’Islam comincia ad essere politico e quando smette di essere tale? Perché i Fratelli Musulmani egiziani dovrebbero essere considerati come Islam politico e non, per dire, il Grande Imam di al-Azhar, che ricopre una posizione estremamente politica? Se ci si pensa seriamente, si scopre che questa etichetta non ha molto senso.

L’altro termine che si usa spesso, che può sembrare più delineato, è “Islamismo”. Viene usato per riferirsi a movimenti politici che considerano l’Islam la loro ideologia e il loro programma fondamentale, da qui l’“ismo”. Il termine era originariamente inteso da chi iniziò ad usarlo – in Francia negli anni ottanta – come un modo per evitare il termine “fondamentalismo islamico”, il quale, si affermava, era troppo connotato politicamente. Ma nel fare ciò, qualsiasi fossero state le loro intenzioni, sebbene qualcuno li avesse avvisati, come lo studioso marxista di studi islamici Maxime Rodinson, trascurarono il fatto che quello era un termine che era stato usato per definire l’Islam stesso. Se si guarda nei dizionari, si vedrà che “islamismo” era usato come sinonimo di Islam fino a qualche decennio fa almeno.

Effettivamente l’“islamismo” viene confuso con l’Islam come religione nella mente della gran parte delle persone che sentono dire il termine. E poichè l’“islamismo” è diventato quasi sinonimo di terrorismo – a prescindere dalle intenzioni di chi usa il termine – ha portato a confondere il terrorismo con l’Islam stesso. Ciò è ovviamente piuttosto pericoloso, perché alimenta un pregiudizio islamofobo già diffuso, tanto più che l’“islamismo” riduce il fenomeno al solo Islam.

È per questi motivi che non uso questi due termini. Preferisco il termine “fondamentalismo islamico”, che ha due vantaggi. Il più importante è che la nozione di fondamentalismo riguarda tutte le religioni, ed è possibile formulare una generica definizione di questo termine che includa tutti i fondamentalismi religiosi. Hanno tutti delle caratteristiche in comune – prima di tutto il fatto di aderire ad interpretazioni dogmatiche e letterali delle scritture religiose ed un progetto politico teso ad imporre tale visione sulla società attraverso lo stato. Perciò, la nozione di fondamentalismo è utile per enfatizzare la distinzione tra fondamentalismo islamico e Islam come religione, poiché la gente è abituata a fare la stessa distinzione tra altre religioni e i loro tipi di fondamentalismo. Nessuno confonde il fondamentalismo protestante e il Protestantesimo, per esempio. Coloro che usano l’“Islamismo” spesso affermano che il termine “fondamentalismo” appartiene alla storia del protestantesimo; questo, in realtà, è un ragionamento in favore all’uso del termine, a mio parere.

Il secondo vantaggio del termine “fondamentalismo islamico” è che la nozione di fondamentalismo aiuta a raffinare la distinzione tra le diverse correnti e gruppi che danno all’Islam un posto centrale nella loro identità ideologica. È più restrittivo di termini come “Islam politico” o “Islamismo” i quali tendono ad ammucchiare nella stessa categoria movimenti molto diversi tra loro. Si prenda ad esempio l’AKP,  il partito al governo della Turchia. È solitamente incluso nelle categorie di “Islam politico” e “Islamismo” insieme al regime iraniano. Questo è un errore alquanto fuorviante che il termine “fondamentalismo islamico” evita. L’AKP non è un partito fondamentalista; non sostiene l’applicazione in Turchia della legge religiosa islamica, la Sharia. È piuttosto un partito conservatore, di destra, musulmano, simile ai partiti di destra conservatori cristiani in Europa, e rimane fondamentalmente tale nonostante il suo recente orientamento autoritario.

Sicuramente la categoria “fondamentalismo islamico” rimane piuttosto larga, come tutte le categorie ideologiche che includono una vasta gamma di movimenti (si pensi al marxismo o al comunismo, per esempio). Mentre l’essenza programmatica di uno “Stato Islamico” basato sulla Sharia è, a diversi livelli, comune a tutti i gruppi compresi sotto la categoria di “fondamentalismo islamico”, questi gruppi usano strategie e tattiche diverse. Perciò, ci sono fondamentalisti “moderati” che hanno una strategia gradualista per realizzare il loro programma prima nella società, e poi nello stato, mentre altri ricorrono al terrorismo o all’implementazione statale attraverso la forza come nel caso del cosiddetto Stato Islamico conosciuto come ISIS. Ma hanno tutti in comune un progetto fondamentalista dogmatico e reazionario.

Quali sono le radici del fondamentalismo islamico nel Medio Oriente? Come e perché è emerso come forza politica?

Il fondamentalismo islamico nella forma di un movimento politico organizzato appartenente all’epoca moderna nasce alla fine degli anni 1920 con la creazione dei Fratelli Musulmani in Egitto. Questa era effettivamente la prima organizzazione politica moderna ad essere basata su un programma fondamentalista islamico. Ed è anche il periodo in cui la teorizzazione della Stato islamico, il fulcro della dottrina islamica fondamentalista, prese la sua forma moderna – sempre in Egitto. C’erano naturalmente generi di fondamentalismo precedenti e vari tipi di sette puritane nella storia dell’Islam come in altre religioni monoteistiche, ma i Fratelli sono stati i pionieri di un genere di fondamentalismo adattato alla società contemporanea nella forma di un movimento politico.

Questo genere emerse in concomitanza con alcuni eventi. Il primo fu la proclamazione della repubblica e l’abolizione del califfato in Turchia alcuni anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. La dichiarazione di Mustafa Kemal di una repubblica laica in Turchia giunse come uno shock a chi aveva rifiutato la separazione tra l’Islam e il governo. Questo avvenne contemporaneamente alla fondazione del regno saudita nella Penisola Araba, uno stato basato su una premessa islamica fondamentalista, anche se a carattere arcaico-tribale.

Secondo, l’Egitto era un Paese che stava maturando per la rivoluzione con l’accumulo di problemi esplosivi – problemi sociali, terribile povertà nelle campagne, una monarchia corrotta, leader disprezzati o odiati dal popolo, e la dominazione britanica. La sinistra egiziana era debole, però, e il movimento dei lavoratori era stato represso negli anni 1920. Dunque c’era una concomitanza di fattori che permise la comparsa del fondamentalismo islamico come movimento politico capitalizzando il malcontento popolare.

Da una prospettiva storica materialista, il fondamentalismo islamico è un esempio straordinario di ciò che Marx e Engels identificarono nel loro Manifesto Comunista come uno degli orientamenti ideologici tra le classi medie tradizionali. Una frazione della piccola borghesia tradizionale, gli artigiani, e la piccola e media classe contadina soffre per gli effetti devastanti del capitalismo, il quale si sviluppa a loro spese, trasformando una grossa parte di loro in proletariato, obbligandoli a spostarsi da una condizione di piccoli produttori o mercanti in salariati, obbligati a vendere la propria forza lavoro per potersi guadagnare da vivere.

Una piccola frazione di queste classi possidenti si oppone allo sviluppo capitalista volendo “riportare indietro la ruota della storia” come Marx e Engels usando la famosa formula – una espressione davvero eccellente, che punta al carattere reazionario di queste frazioni di classe. E si applica al fondamentalismo islamico per intero nel senso che questa corrente deriva da una rivolta contro le conseguenze dello sviluppo del capitalismo, promosso dalla dominazione straniera, ma lo fa da una prospettiva reazionaria di ritorno a una mitica età d’oro islamica di tredici secoli prima. E questo è quello che tutti i gruppi fondamentalisti islamici hanno in comune, dai Fratelli Musulmani come movimento di massa, almeno nella sua corrente principale egiziana, ai gruppi terroristici fra cui il più estremista è l’orribile ISIS. Tutti condividono una dedizione a reintrodurre in qualche modo la forma di governo e regole sociali che esistevano nell’Islam antico. Nel caso dell’ISIS, essi credono di starlo già facendo con il loro cosiddetto Stato Islamico.

Qual’è la relazione del fondamentalismo islamico con l’imperialismo? È in opposizione o in collusione con esso?

Direi entrambe le cose, è non c’è nessuna contraddizione in questo. Le truppe del fondamentalismo islamico sono persone che reagiscono alle conseguenze del capitalismo oltre che alla dominazione imperialista e alle guerre imperialiste. Ma stanno rispondendo in modo reazionario. Davanti al capitalismo e l’imperialismo, potrebbero o scegliere una lotta progressista, mirata a sostituire il capitalismo selvaggio con una società egualitaria e socialmente giusta, o credere che la soluzione sia reintrodurre una forma di governo che è completamente inadeguata al nostro tempo, e perciò aderire ad una prospettiva molto reazionaria.

E poiché è una risposta reazionaria ai problemi che ho citato, ha finito per essere storicamente usata da ogni tipo di forza reazionaria, incluso l’imperialismo stesso. Dal momento in cui sono stati fondati, i Fratelli Musulmani hanno costruito una stretta relazione con quello che era e ancora è di gran lunga lo Stato più reazionario, anti-democratico e misogino del pianeta, il Regno Saudita. Stabilirono questa connessione a causa dell’affinità tra la loro prospettiva e quello che è di solito chiamato Wahhabismo, l’ideologia della forza tribale su cui fu fondato il Regno Saudita.

I Fratelli Musulmani lavorarono in stretta coalizione con il Regno Saudita dalla sua fondazione fino al 1990, quando l’Iraq invase il Kuwait, portando alla prima guerra americana in Iraq. Fino a quel momento, i Fratelli Musulmani erano principali alleati del Regno Saudita e degli Stati Uniti stessi, padroni supremi del Regno. Entrambi li usarono nella battaglia contro il nazionalismo di sinistra, in particolare contro Nasser in Egitto (1952-70) ma anche contro il movimento comunista e l’influenza dell’Unione Sovietica nei paesi a maggioranza musulmana. Questa anomala alleanza tra Stati Uniti, Arabia Saudita e movimenti islamici fondamentalisti era profondamente reazionaria.

I sauditi ruppero l’alleanza con i Fratelli perché quest’ultimi non seguirono il regno nel suo supporto all’attacco statunitense in Iraq del 1991. Ciò avvenne perché, da un lato, I Fratelli trovarono piuttosto difficile accettare ideologicamente un intervento occidentale contro un paese musulmano dal territorio in cui si trovano i luoghi sacri dell’Islam. E, dall’altro lato, dovevano prendere in considerazione il fatto che il loro elettorato era decisamente opposto a quell’aggressione, come lo era la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica nei paesi arabi.

Quindi la maggior parte delle filiazioni regionali dei Fratelli Musulmani condannarono lo schieramento e l’attacco statunitense, portando il regno saudita a rompere l’alleanza.

I Fratelli allora cercarono e trovarono un altro sponsor – l’emirato del Qatar, il quale da allora è diventato il loro principale sponsor. Dopo essere stati finanziati per decenni dai sauditi, sono ora finanziati dall’emirato del Qatar. E il Qatar, naturalmente, è un altro alleato stretto degli Stati Uniti nella regione – un paese che ospita il quartier generale del Comando Centrale militare americano (CENTCOM) e la piattaforma più importante per le guerre aeree americane, dall’Afghanistan alla Siria.

Quando i Fratelli Musulmani erano al potere in Egitto durante la presidenza del loro esponente Mohamed Morsi, si guadagnarono le lodi di Washington. La loro storia è più che ovvia. Anche altri tipi di fondamentalismo più “radicali” hanno collaborato in passato con gli Stati Uniti. La storia di Al-Qaida è ben conosciuta: come sono nati unendosi alla guerriglia appoggiata dagli Stati Uniti, L’Arabia Saudita e il Pakistan contro l’occupazione sovietica in Afghanistan prima di trasformarsi in veementi nemici degli Stati Uniti e della famiglia reale saudita dopo il 1990, per ragioni simili a quelle che hanno portato alla frattura tra i Fratelli e il regno.

È cambiato il carattere della classe del fondamentalismo islamico con lo sviluppo di questi finanziamenti di Stato? È ancora l’espressione della piccola borghesia o è si è “borghesizzato”?

Prima di tutto, il fondamentalismo islamico non è ristretto ad un unico movimento. È uno spettro ampio di forze e gruppi, come ho sottolineato, dai Fratelli Musulmani ai jihadisti a fanatici totalitari come l’ISIS. Anche se restringiamo il discorso ai Fratelli Musulmani, si dovrebbe tenere in mente che è un’organizzazione regionale e globale le cui strategie e tattiche variano da luogo a luogo. Tuttavia, se ci concentriamo unicamente sull’Egitto, c’è stata sicuramente una chiara  “imborghesizzazione” dei Fratelli egiziani.

Dopo che Nassar li represse, molti dei loro membri e capi finirono in esilio nel regno Saudita. Alcuni di loro diventarono uomini d’affari lì e trassero profitto dal boom del petrolio del 1970. La connessione con lo stato Saudita e la capitale del Golfo giocò un ruolo importante nello sviluppo di uno strato di ciò che i turchi chiamano una “borghesia devota” in Egitto – una sezione che ebbe un ruolo sempre più importante all’interno dei Fratelli.

Mentre questa frazione capitalista crebbe notevolmente in importanza tra i Fratelli, la maggior parte dei suoi membri ordinari, le sue truppe, rimanevano reclutate tra la piccola borghesia e gli strati più poveri della società. Questo non dovrebbe stupire nessuno. Si guardi a Donald Trump negli Stati Uniti. È una calamita per le politiche reazionarie, ma i suoi seguaci non sono esattamente azionisti di Microsoft. La destra capitalistica, specialmente i suoi generi più reazionari, cercano sempre di acquisire un seguito di massa tra altre classi, specialmente tra porzioni amareggiate della classe media e del proletariato.

Detto questo, il cambiamento nella composizione di classe nella dirigenza dei Fratelli non ha alterato fondamentalmente i suoi programmi. Non sono mai stati anti-capitalisti – al di là di frasi molto generali sulla disuguaglianza sociale che si sente anche tra i partiti più conservatori. Ad eccezione di gruppi che aderiscono apertamente ad un primitivo darwinismo sociale, perfino i partiti politici più conservatori usano retoriche compassionevoli. Si ricordi il “conservatorismo compassionevole” di George W. Bush. Lo stesso vale per i Fratelli. Parlano di prendersi cura dei poveri, così da poter dire che l’Islam fornisce una soluzione e che la carità islamica allevia la povertà. Tutto questo rientra perfettamente in una prospettiva neoliberistica che sostiene la privatizzazione dell’assistenza sociale e la sua delega a organizzazioni di beneficenza private.

Come ci si poteva immaginare, quando i Fratelli Musulmani hanno preso il potere recentemente in Tunisia e Egitto, hanno continuato le politiche economiche del regime precedente. Hanno aderito alle indicazioni del FMI e hanno fatto tutto ciò che potevano per compiacere la classe capitalista, inclusi i compari capitalisti del vecchio regime in entrambi i Paesi. I fondamentalisti islamici non hanno opposto l’ordine neoliberista che ha devastato il Medio Oriente.

Perché il fondamentalismo islamico è diventato una corrente politica così dominante nel Medio Oriente? Ciò stupisce vista la ricca storia di nazionalismo laico e delle organizzazioni comuniste nella regione.

Questa è una questione molto importante. Oggi prevale una visione impressionistica, come conseguenza dei continui servizi dei media sulle varie forme di fondamentalismo islamico nel Medio Oriente. Ciò ha creato l’impressione che la religione, in generale, e il fondamentalismo islamico, in particolare, abbiano sempre dominato la politica nella regione. Ma questo è sicuramente falso.

Un paese come l’Egitto, il luogo di nascita dei Fratelli Musulmani, fornisce un buon esempio. I Fratelli sono riusciti a crescere lì ed ad ottenere un’avanzata spettacolare negli anni 1940 costruendo una forza di centinaia di migliaia di seguaci. Una delle ragioni chiave della sua avanzata fu il fatto cha la sinistra era alquanto debole e frammentata nel Paese.

Ciò era in contrasto con altri Paesi nella regione a quel tempo, dove i nazionalisti laici di sinistra e i comunisti era piuttosto forti e di conseguenza i Fratelli erano molto più deboli. In Siria e Iraq, il partito nazionalista laico Baat si stava sviluppando in competizione con un movimento comunista di massa.

Le cose cominciarono a cambiare in Egitto con il colpo di stato del 1952. Nasser e il suo gruppo di ufficiali militari di medio grado rovesciarono gli alti ufficiali dell’esercito così come la monarchia, e proclamarono la repubblica. Politicamente erano un miscuglio eterogeneo. Col tempo, si spostarono verso sinistra, intensificando riforme nazionaliste e sociali. Passarono la riforma fondiaria, ridistribuendo le proprietà di grandi proprietari terrieri. Nazionalizzarono anche le proprietà estere. Uno dei lori atti più spettacolari fu la nazionalizzazione della Compagnia del canale di Suez nel 1956, il quale portò all’aggressione congiunta di Gran Bretagna, Francia e Israele contro l’Egitto. La nazionalizzazzione di beni esteri fu seguita presto da una nazionalizzazione estesa dei beni privati egiziani e dalla proclamazione di “socialismo” nel 1961.

La radicalizzazione di sinistra di questi nazionalisti – con la figura eminente di Nasser centrale in questo processo – li rese straordinariamente popolari, non solo in Egitto ma in tutta la regione e in tutto il Terzo Mondo. Ciò fu grazie alle loro riforme sociali e la loro opposizione all’imperialismo e al sionismo, che rifletteva le aspirazioni delle masse. Nei primi tempi, dopo un breve periodo di cooperazione, si scontrarono con i Fratelli Musulmani e li repressero, prima intraprendere un percorso di radicalizzazione. Da lì in poi, i Fratelli divennero i nemici giurati dei nazionalisti. E i sauditi, in tandem con Washington, li usarono come arma contro Nasser.

Come risultato della radicalizzazione e dell’influenza in ascesa del Nasserismo, i Fratelli furono completamente marginalizzati in Egitto. Erano stati seriamente repressi, è vero, ma la repressione da sola non può mai completamente marginalizzare un movimento che mantiene una forte attrattiva di massa. Il fatto è che i Fratelli avevano perso la loro attrattiva. Non avevano nessuna soluzione da offrire ai veri problemi sociali delle masse, mentre i nazionalisti avevano affrontato in parte questi problemi. In quel periodo, la maggior parte del popolo in Egitto e in tutta la regione giunse a considerare i Fratelli Musulmani come agenti dei sauditi e della CIA.

La situazione cominciò a cambiare alla fine degli anni 1960 con la crisi del nazionalismo laico. Il momento determinante fu la vittoria di Israele nel 1967 sull’Egitto nasserista e sulla Siria ba’htista. Come in Egitto quest’ultima aveva subito una radicalizzazione nazionalista di sinistra guidata da un gruppo che Assad – il padre dell’attuale massacratore in Siria –  avrebbe rovesciato poco dopo. Con la sconfitta del 1967, seguita nel 1970 dalla disfatta della guerriglia palestinese in Giordania, la morte di Nasser e la sconfitta della fazione di sinistra del Baat, il nazionalismo arabo radicale subì un’enorme battuta d’arresto, che lasciò spazio al ritorno dei Fratelli Musulmani.

Il successore di Nasser, Sadat, inaugurò un percorso di de-nasserizzazione in Egitto, stravolgendo tutte le politiche progressiste dell’era Nasser, in campo agrario, industriale, anti-imperialista o anti-sionista. Mentre intraprendeva questo percoso retrogrado, Sadat scarcerò i Fratelli Musulmani e aprì le porte per il ritorno dei suoi membri dall’esilio. Questo perché aveva bisogno di loro come alleati nella sua impresa reazionaria in Egitto. Essi assunsero con piacere quel ruolo, diventando le truppe d’assalto per la risposta ideologica di Sadat contro la sinistra. Sadat gli consentì di ricostruire la loro organizzazione come movimento di massa, a patto che non sfidassero il suo governo. I Fratelli mantennero questa relazione con il successore di Sadat, Mubarak.

Tuttavia, in un contesto di debolezza della sinistra organizzata, la cui parte più visibile era coinvolta in una relazione ugualmente ambigua con il regime, i Fratelli riempirono un vuoto, attraendo fasce scontente della popolazione. Con fondi portati nelle loro fila dai nuovi capitalisti e procurate dai loro sponsor sauditi, riuscirono a crescere di nuovo in modo esponenziale. Ma con questo nuovo potere, crebbe anche l’ambizione di avere un ruolo politico più significativo di quanto il regime gli permettesse. Ciò creò tensioni che li portarono, a volte, ad essere repressi dal regime. Ma ogni volta venivano scarcerati dopo periodi relativamente brevi di detenzione. Non subirono mai una repressione dura come quella sotto Nasser. Mubarak non cercò mai di distruggerli o di proibire completamente il loro movimento. Furono tollerati per essere usati dal regime, andando incontro a delle repressioni temporanee solo quando il regime riteneva che avessero oltrepassato i limiti.

Quindi non sono emersi dal nulla nel 2011. Erano una forza molto importante in Egitto, anche in campo elettorale. Nel 2005 riuscirono persino a raggiungere il 20% dei seggi in parlamento. Mubarak usò questa impennata controllata come avvertimento per l’amministrazione di George W. Bush, che stava facendo pressione su di lui per un minimo di liberalizzazione politica. Con nessuna forza significativa a sinistra o tra i liberali capaci di sfidare il regime e di rappresentare il malcontento popolare, il fondamentalismo islamico era praticamente nella posizione migliore per catturare questo potenziale.

Ma la storia insegna che quando c’è una corrente progressista con una certa credibilità, si può efficacemente contrapporre al fondamentalismo. La debolezza della sinistra è inversamente collegata alla forza del fondamentalismo. Tra queste due correnti è un gioco a somma zero, diversamente dalla relazione della sinistra con la teologia della liberazione in America Latina. Là, la teologia della liberazione, che è una interpretazione progressista del Cristianesimo, è una componente principale della sinistra, con cui è coinvolta in molti posti nelle stesse organizzazioni, come era il caso del Partito dei Lavoratori brasiliano, al tempo del suo apice radicale. Nel Medio Oriente, la sinistra deve far fronte al fondamentalismo islamico come uno dei principali poli della politica reazionaria, dove i regimi costituiscono l’altro polo.

Perciò, fin dal 2011 l’insurrezione araba è stata fronteggiata da due forze della controrivoluzione – non un’opposizione binaria tradizionale di rivoluzione e controrivoluzione, ma una configurazione triangolare, con un processo rivoluzionario che si trova di fronte due poli controrivoluzionari. Le forze progressiste, che esprimono le aspirazioni dell’insurrezione, furono strumentali nel darle il via e organizzarla nelle prime fasi. Ma presto sono crollate contro i regimi da una parte e le opposizioni fondamentaliste islamiche ai regimi dall’altra, entrambi ugualmente opposti alle aspirazioni dell’onda rivoluzionaria, e in alcuni Paesi della regione, coinvolti direttamente nel fermare la sua radicalizzazione.

L’Egitto fornisce di nuovo un buon esempio della collaborazione dei Fratelli con l’esercito nel 2011, il primo anno della rivolta. Questo in realtà lasciò lo spazio al campo progressista. Le elezioni presidenziali del 2012 videro l’emergere del polo progressista con il candidato nasserista Hamdeen Sabahi, che, sorprendendo chiunque, riuscì a prendere la maggioranza dei voti al Cairo e Alessandria e un quinto dei voti a livello nazionale. Arrivò molto vicino ai due candidati principali al primo turno, il candidato dell’esercito e quello dei Fratelli Musulmani, Mohamed Morsi.

Sfortunatamente però, Sabahi cadde nella trappola di appoggiare il colpo di Stato contro Morsi nel 2013. Invece di continuare ad opporsi con costanza ad entrambi i campi controrivoluzionari, si mise a sostenere uno di loro: dopo essersi alleato con i Fratelli Musulmani nel 2011, si alleò con l’esercito nel 2013. Fu soltanto quando si allontanò da entrambi che ottenne una svolta. Da questa esperienza, la sinistra deve trarre una lezione chiave se vuole diventare una forza credibile e guidare una nuova insurrezione vincente. Deve costruire un’alternativa sia al regime che al fondamentalismo islamico. Se non lo farà, e dato che la politica così come la natura detesta i vuoti, i Fratelli Musulmani potrebbero ritornare sulla scena e ricostruirsi come forza principale di opposizione al regime, o peggio, potremmo vedere il nuovo sviluppo di generi più violenti di fondamentalismo islamico.

Credo che vada  la pena approfondire ulteriormente questo punto. Come si dovrebbe posizionare la Sinistra in relazione alle forze del fondamentalismo islamico che combattono l’imperialismo o il Sionismo? Ad esempio, come dovrebbe affrontare Hamas ed Hezbollah?

La Sinistra ha una ricca tradizione da cui dovremmo attingere nell’affrontare questa domanda. Questa tradizione consiste nel sostenere lotte giuste contro il colonialismo e l’imperialismo, a prescindere da chi le sta combattendo, senza trasformarlo in sostegno acritico verso chi combatte queste lotte. Ad esempio, quando l’Italia fascista invase l’Etiopia nel 1935, aveva assolutamente senso per gli anti-imperialisti essere contro l’invasione, nonostante l’Etiopia fosse governata da un regime estremamente reazionario, secondo qualsiasi prospettiva di sinistra. Opporsi all’invasione non significava un supporto acritico all’imperatore etiope.

Oggi dovremmo adottare lo stesso approccio. Sicuramente Hamas ed Hezbollah sono state coinvolte in lotte contro l’occupazione e l’aggressione israeliana. Noi sosteniamo questa lotta, a prescindere da chi la combatte. Ma Hamas non è il solo gruppo che combatte Israele; ci sono altri gruppi nello scenario politico palestinese. Quindi bisogna determinare all’interno di questo gruppi anti-sionisti chi è più vicino alla nostra prospettiva politica. E lo stesso vale per il Libano.

Sia in Palestina che in Libano il gioco a somma zero tra la sinistra e queste forze è un dato di fatto. Hamas è riuscita a crescere a spese della sinistra palestinese. Al tempo della prima Intifada palestinese nel 1988, la sinistra era la forza principale nei territori occupati del 1967. Ma i suoi gruppi finirono purtroppo per accettare direttamente o indirettamente la resa di Yasser Arafat agli Stati Uniti e Israele. E ciò fu disastroso per la loro influenza politica, aprendo le porte ad Hamas. Si ricordi che Hamas fu fondata dalla branca dei Fratelli Musulmani in Palestina, la quale fino ad allora era stata favoreggiata dall’occupazione israeliana come un antidoto all’OLP.

Lo stesso vale per Hezbollah in Libano. Emerse dopo l’invasione israeliana del Libano del 1982, ma non dette inizio alla resistenza all’invasione. Furono in realtà il Partito Comunista e le forze nazionaliste di sinistra, attingendo da una tradizione di lotte contro ripetute invasioni israeliane del Libano meridionale. Hezbollah si sviluppò a spese di queste forze – specialmente del Partito Comunista. Quest’ultimo aveva una forte influenza nelle regioni a maggioranza sciita in Libano ed era perciò visto come un principale concorrente da Hezbollah – un’organizzazione settaria sciita.

Hezbollah arrivò persino ad assassinare illustri figure sciite del Partito Comunista. Sebbene sia diventata la forza dominante in una battaglia giusta – la lotta contro l’occupazione Israeliana – non è sicuramente una forza progressista. Ha raggiunto il suo stato reprimendo e cacciando le forze progressiste che stavano combattendo la stessa battaglia. È  comunque giusto sostenere la resistenza libanese, anche se profondamente dominata da Hezbollah. Ciò però non equivale a sostenere Hezbollah in generale, incondizionatamente e acriticamente.

Le politiche di Hezbollah in Libano, siano esse economiche, sociali o culturali, non sono assolutamente progressiste. Il Partito di Dio (Hezbollah in arabo) si adatta benissimo alla ricostruzione neoliberista del Libano. E non ci si può dimenticare che è strettamente dipendente dal regime, che è tutt’altro che progressista. Se gli Stati Uniti o Israele attaccasserro l’Iran, non esiteremmo  a sostenere quel paese. Ma ciò non vuol dire che non consideriamo l’Iran un regime reazionario, oppressivo e capitalista, e perciò un nemico della causa sociale per cui lottiamo.

Questo è molto importante da comprendere, perché in anni recenti, l’Iran e Hezbollah sono venuti in soccorso del regime controrivoluzionario in Siria. Li hanno riforniti di truppe d’assalto che si sono unite all’attacco al movimento popolare democratico. Ciò mostra il loro carattere profondamente reazionario. Per il regime iraniano, ciò è coerente con la sua aspra repressione del movimento democratico in Iran del 2009.

Che posizione deve prendere la sinistra di fronte ai Fratelli in Egitto oggi? Alcuni li caratterizzano come una forza riformista con cui la sinistra può formare un fronte unitario. Che cosa ne pensa? E qual’è la sua alternativa a questo approccio?

Beh, mi lasci mostrare gli atteggiamenti di alcune componenti della sinistra in Egitto invece di delineare una linea dall’esterno. Ci sono delle parti della sinistra che aderiscono ad una posizione che io trovo corretta, di opposizione alla svolta militare e di condanna della repressione brutale contro i Fratelli Musulmani, senza dare nessun supporto politico a quest’ultimi.

Caratterizzare i Fratelli come riformisti è a dir poco fuorviante. Una simile etichetta, infondata, può suggerire che i Fratelli siano considerati analoghi ad aree riformiste del movimento dei lavoratori, che sarebbe un assurdo equivoco. Si potrebbe dire, naturalmente, che i Fratelli sono “riformisti” (o “moderati”) paragonati ai jihadisti “radicali” e a terroristi come al-Qaeda e ISIS, ma ciò rientrerebbe nello spettro dell’ideologia fondamentalista islamica reazionaria.

Sarebbe totalmente sbagliato e fuorviante, però, dire che i Fratelli sono “riformisti”, senza definire questa affermazione, intendendo che sono riformisti allo stesso modo di alcune correnti non-rivoluzionarie progressiste, che siano stalinisti, social democratici o nazionailsti di sinistra – correnti che credono che sia possibile realizzare il socialismo senza smantellare lo stato borghese. I Fratelli Musulmani ultra-neoliberisti sono “riformisti” solo nell’applicare il loro programma fondamentalista islamico, assolutamente non in senso socialdemocratico. Sono una forza assolutamente reazionaria nella politica sociale. Ma ciò non giustifica per niente sostenere la loro repressione per mano di regimi reazionari tanto quanto loro. La sinistra dovrebbe sempre sostenere chi combatte più costantemente per le libertà democratiche.

Quali sono le lezioni da trarre per la sinistra dal ruolo delle forze del fondamentalismo islamico nella Primavera Araba nel suo insieme?

Ciò che ho detto sull’Egitto può essere esteso a tutta la rivolta araba. La sinistra deve adottare un corretto approccio di opposizione sia ai poli della controrivoluzione rappresentati dal regime da una parte, e le forze islamiche fondamentaliste dall’altra, quindi lottare per costruire un terzo polo, equamente opposto ad entrambi in prospettive strategiche.

Naturalmente su un terreno tattico, la sinistra può “colpire insieme” l’uno contro l’altro – il momento più pericoloso di tutti – a patto che continui a “camminare separatamente” con il proprio programma, contestando entrambi i poli reazionari. Strategicamente, la sinistra dovrebbe condurre la battaglia su entrambi i fronti. Invece di questo approccio, tragicamente, abbiamo visto forze progressiste allinearsi con i fondamentalisti islamici contro i regimi – come è successo nelle prime fasi della rivolta in molti paesi, o come sta ancora succedendo nel caso della Siria, mentre altre sezioni della sinistra si sono allineati con i regimi esistenti contro i fondamentalisti islamici.

E mentre è possibile trovare nella prima categoria alcuni individui che definiscono erroneamente i Fratelli come “riformisti” (la verità è che tale caratterizzazione è talmente bizzarra che pochissimi possono sostenerla), la maggioranza dei gruppi nella seconda categoria definisce erroneamente i Fratelli come fascisti, che è altrettanto sbagliato. L’analogia con il fascismo trascura delle differenze fondamentali tra le due correnti, mette a fuoco solo su alcune caratteristiche organizzative che sono comuni a partiti molto diversi tra loro basate sull’organizzazione di massa e l’indottrinamento, inclusa la tradizione stalinista. Diversamente dal fascismo storico, i Fratelli Musulmani non sono emersi in Paesi imperialisti in reazione ad un movimento di lavoratori che contestava il capitalismo e per incarnare una versione più dura di imperialismo.

Quindi abbiamo questi due tipi di approcci simmetricamente opposti. E poi troviamo forze di sinistra che si sono spostati da uno all’altro. Ad esempio, il partito nasserista egiziano guidato da Sabahi è passato da un allineamento con i Fratelli Musulmani nel 2011, fino al punto di partecipare alla loro coalizione elettorale come partner minori, ad allinearsi con l’esercito nel 2013, unendosi ai cori che lodavano Fied-Marshal Sisi. Questo modello politico è disastroso per la costruzione di un’alternativa progressista nella regione. È fondamentale per i progressisti affermare un terzo polo rivoluzionario, opposto equamente ad entrambi i poli controrivoluzionari che ora dominano la scena, se dovranno a un certo punto rappresentare di nuovo le aspirazioni che sono alla base della Primavera Araba nel 2011.

Se ciò non succede, vedremo altri disastri come quelli in corso, con una scena regionale sopraffatta dallo scontro tra i due poli controrivoluzionari. Il miglior scenario a breve termine è una coalizione tra i due poli reazionari, come successe in Tunisia, dove l’equivalente locale dei Fratelli Musulmani entrò in una coalizione di governo con le vecchie forze del regime, o in Marocco dove il re cooptò l’equivalente locale nel governo. Washington e i suoi alleati europei stanno spingendo molto per questo scenario quasi ovunque nella regione: una riconciliazione tra i due poli controrivoluzionari è molto sensato, dal loro punto di vista, naturalmente.

Ma tale riconciliazione sarebbe vantaggiosa anche per una prospettiva progressista, perché obbligherebbe le forze progressiste ad opporre entrambi i poli controrivoluzionari e faciliterebbe la loro affermazione come alternativa ad entrambi. In ogni caso, il futuro della sinistra nel Medio Oriente dipende dal riuscire a realizzare correttamente questo orientamento.

http://isreview.org/issue/103/islamic-fundamentalism-arab-spring-and-left

Traduzione di Valentina Benivegna

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