LE MIGLIORI TRADIZIONI

di Miguel Urbán Crespo

Se c’è un qualche paese associato alle “tradizioni degli oppressi,” come sono state descritte dal filosofo socialista ebreo-tedesco Walter Benjamin, questo è la Francia.

Dalla Rivoluzione Francese del 1789, allo sciopero generale del maggio 1968, senza dimenticare la Comune del 1871 e la Resistenza antifascista durante la II Guerra Mondiale, la Francia è stata il luogo del conflitto politico per eccellenza. Non è quindi un caso che quando Karl Marx elencò le tre fonti delle sue idee, abbia citato la filosofia tedesca, l’economia inglese e la politica francese. La storia francese è piena di insurrezioni di popolo e di lavoratori impazienti, di conflitti che si scaldano con la loro propria energia interna e che compaiono dal nulla.

Se non è stato possibile prevedere Nuit Debout né l’ondata di scioperi condotti dalla CGT [Confederazione Generale del lavoro, la più grande confederazione sindacale della Francia], possiamo analizzare i motivi di questa esplosione e cercare di recuperare una discussione strategica, condotta in chiave internazionalista, prendendo come punto di partenza la situazione della Francia.

Yanias Varufakis [ex ministro delle finanze della Grecia nel governo di Syriza] di recente ha osservato che l’unico paese in Europa in cui la ristrutturazione neoliberale e le controriforme non sono state imposte con successo.

E’ necessario sviluppare questa osservazione in vari modi. E’ chiaro che l’opposizione alle controriforme è, stata, di fatto, più efficace in Francia che in altri paesi europei. La prima grande battaglia avvenne nel 1995 e comprendeva giganteschi  scioperi nel settore pubblico contro i   alla Sicurezza sociale proposti dal Primo Ministro conservatore, Alain Juppé.

Pierre Badiou, un importante intellettuale contemporaneo, impegnato nella causa della classe operaia, come lo era stato Jean Paul Sartre nella sua epoca, ha detto, a proposito degli scioperi, che erano i primi (insieme allo sciopero generale spagnolo nel 1988) a ottenere una vittoria che, anche se non capovolgeva la svolta neoliberale  segnata dalla sconfitta imposta da Margaret Thatcher ai minatori  britannici nel 1984-85, apriva un campo in cui era possibile pensare a delle alternative.

Il movimento antiglobalizzazione che sorse negli anni successivi, doveva molto agli scioperi del 1995, che servirono anche come punto di partenza per il rifiuto della Francia della Costituzione europea, avvenuto 10 anni dopo.

Senza dubbio, la lotta contro il neoliberalismo non è stata mai limitata ai sindacati. E’ stata anche organizzata nell’ambito delle politica e delle elezioni, La vittoria del 1995 conteneva, però, un paradosso: era la sinistra che organizzò l’ondata di scioperi e le proteste di massa, che si basavano su centinaia di comitati di lotta unitari nei luoghi di lavoro. La sinistra, tuttavia, non  riuscì a tradurre questo in un movimento organizzato con una prospettiva politica, e così, alla fine il Fronte Nazionale neofascista capitalizzò al  meglio lo scontento di massa per  l’Europa gestita nell’interesse delle élite.

Questa eredità, che è continuata attraverso altre insurrezioni in Francia, fino al 2010, non fu in grado di rovesciare l’egemonia neoliberale. Come hanno spiegato gli autori radicali Pierre Dardot e Christian Laval, in neoliberalismo non può essere ridotto a un insieme di regole normative, ma comprende anche dinamiche sociali sistematiche che si impongono come un modello di relazioni sociali. L’esclusione strutturale di milioni di persone di colore o arabe dalla società “ufficiale” è una conseguenza diretta dell’avanzata del neoliberalismo nel mercato e nella società civile.

L’avanzata neoliberale ha infranto le difese in precedenza costruite dalla classe operaia per difendersi dal capitale. La situazione è ancora  questa anche se alcuni settori altamente preparati e organizzati della classe operaia sono riusciti a difendere il loro tenore di vita , specialmente i dipendenti pubblici che occupano ancora ampi settori dell’economia che sono stati privatizzati in  altri paesi.

Due conseguenze servono a illustrare il contrasto tra la resistenza esplosiva della società francese e il progresso del modello liberale che ne sta alla base.

Prima cosa, il sindacato che sostiene l’attuale ondata di scioperi, CGT, è un sindacato radicale il cui leader principale personifica ora l’opposizione a Hollande.  Philippe Martinez, presidente della CGT, sembra un personaggio  strappato direttamente  da un film di Robert Guédiguian, la risposta francese al regista britannico Ken Loach. Allo stesso tempo, però, la CGT è un sindacato molto debole che in mesi recenti si è ridotto da 3 milioni di iscritti a  600.000.

D’altra parte, il Fronte Nazionale ha sfruttato al meglio lo scontento provocato  dalla deindustrializzazione e dalla distruzione di comunità costruite intorno all’industria manifatturiera in cui milioni di lavoratori avevano costruito le loro esperienze collettive. Anche se ha una certa base nella classe operaia, il Fronte Nazionale ha chiesto di adottare la linea dura contro gli scioperi attuali, rivelando così il suo carattere reazionario, ma anche i limiti di una sinistra politica che ha perso il suo contatto con la classe operaia.

Se non c’è nessuna chiara linea retta tra la posizione di una persona in una certa classe e la sua ideologia,   è anche vero  che la Francia dimostra che le idee sono  formate    o condizionate dai rapporti di classe, e questa realtà è fondamentale per dirigere la rabbia in una direzione o in un’altra.

In base a tutto questo, dobbiamo chiarire il modo in cui leggere gli eventi che stanno accadendo in Francia.

E’ strano come la sinistra e la destra stiano entrambe impostando la loro analisi in chiave “conservatrice”. La destra, insieme alla sinistra social-liberale, guidata dal Primo Ministro Manuel Valls, insiste a etichettare il movimento come “contrario al cambiamento.”  Descrivono un movimento nostalgico che tende  ad andare contro una modernizzazione necessaria che, naturalmente, richiede la liberalizzazione delle relazioni lavorative  e  l’annullamento delle conquiste storiche ottenute dai lavoratori nello sciopero generale del 1968.

Il progresso dovrebbe, invece, prendere la forma di saldare  i conti con la storia per recuperare una versione della passata utilità della Francia per l’élite. Valls e il ministro dell’Economia, dell’Industria e del Digitale, Emmanuel Macron, appaiono in questa storia  perversa  come yuppie contro culturali che cercano di liberare la società distruggendo un soggetto corporativo e reazionario, cioè il sindacato e i diritti del posto di lavoro che sono definiti come “privilegi” accessibili soltanto a pochi.

Perciò la crisi della social democrazia sta assumendo una forma particolarmente perversa. Il Partito Socialista è diviso tra coloro che si rendono conto che queste misure li alieneranno dalla loro base sociale  e coloro che, come il primo ministro, sono convinti che la loro missione storia è distruggere lo stato sociale.

Nel frattempo, quando  Pierre Laurent, segretario generale del Partito Comunista Francese, dichiara ai giovani de Nuit Debout: “Vi invito a entrare nel Partito Comunista,” rivela soltanto la stessa incomprensione conservatrice  che non è in grado di leggere la lotta attuale come se fosse una finestra che si apre su qualcosa di nuovo.

Possiamo, comunque, puntare su una lettura diversa. Potremmo considerare ciò che accade, come una specie di salto che segue il filo sovversivo che ricorre in  tutta la storia francese.

Il balzo è pieno di possibilità che devono essere esplorati. Prima di tutto, gli scioperi di oggi rimettono sul tavolo,  malgrado tutte le teorie feticiste che abbiamo sentito in anni recenti, l’idea che la classe operaia organizzata  conserva  un certo potere strategico in grado di paralizzare l’intero paese, attaccando la catena  del  valore  nei trasporti e nella produzione di energia.

Questo sciopero non è semplicemente un problema di un settore industriale specifico. Solleva invece la questione di chi gestisce il paese: le persone che producono ricchezza tramite il loro lavoro o coloro che vivono del lavoro degli altri.

Non è un problema  minore e mette nel programma strumenti e forme diverse di lotta che corrispondono a diverse realtà materiali e a correlazioni di forza. Nelle loro varie combinazioni (scioperi, dimostrazioni, assemblee di massa nelle piazze, ecc.) si esprimono  non soltanto le necessità, ma anche le possibilità.

D’altra parte, il movimento ha dimostrato che esplosioni parallele sono possibili in settori diversi che condividono interessi comuni. Questo fenomeno di interessi condivisi è basato sulla creazione  della precarietà e dell’impoverimento delle classi medie sulle quali si basa Nuit Debout, e di sezioni della tradizionale classe operaia.

Questo è vero anche se dobbiamo mettere in risalto il fallimento la mancanza   di collegamento con queste lotte di giovani di origini  africane ed arabe che sono concentrati nei quartieri più poveri.

Dato che lo scontento sociale viene trasformato in lotta attiva, in vera esperienza, deve emergere un substrato politico combattivo che sia in grado di impedire che il Fronte Nazionale si ponga come principale alternativa all’establishment politico.

Tutto quello che sta  accadendo ora in Francia, può avere profonde ripercussioni in tutta Europa.

Naturalmente, non cercherò di dire ai miei compagni francesi che cosa devono fare, ma terminerò con una riflessione che ha una certa validità universale, e penso che sia una lezione che è stata imparata dall’esperienza in altri paesi: è importante discutere in che modo   bloccare   lo scontento, dandogli un’espressione politica che va oltre le richieste di difesa, anche se è basata su queste, allo scopo di  costruire un blocco sociale in grado di articolare un nuovo progetto sociale.

La sinistra francese che sfortunatamente è molto atomizzata ed auto-referenziale, si trova davanti a un’occasione storica di riprendersi il ruolo sociale che Marx le aveva assegnato. Per fare questo, come è stato dimostrato in altri paesi, è fondamentale costruire uno strumento politico-sociale che appare nuovo, partecipativo e aperto.

Perché non fare questo nel fervore della lotta? Perché non discutere  in parallelo il modo in cui trarre un guadagno da questo sciopero,   come stabilizzare le strutture di lotta e trasformarle in spazi per l’organizzazione, in modo che tutta la formidabile energia visibile oggi possa formare uno strumento da poter usare per competere per il potere?

Naturalmente abbiamo bisogno di questo. Dobbiamo andare avanti in Francia per poter avanzare nel resto d’Europa.

Le migliori tradizioni internazionaliste sono state sempre ben consapevoli che quello che accade in un paese ha ripercussioni in altri. Per cambiare il mondo è necessario avere amici in molte nazioni. Perciò, creare contatti con la Francia e con le lotte dei lavoratori, ci porta al significato più preciso di solidarietà: non soltanto loro hanno bisogno di noi, ma noi abbiamo bisogno di loro.

16 giugno 2016

Pubblicato per la prima volta su: CTXT: Contexto y Acción. Tradotto dallo spagnolo da Todd Chretien.

Traduzione di Maria Chiara Starace

Tratto da: www.znetitaly.altervista.org

 

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