QUELLE ACCUSE INDEGNE

di Gilbert Achcar

«Io, insegnante di Giulio e quelle accuse indegne» 

Vari articoli pubblicati da giornalisti e da altri senza esperienza né conoscenza di ricerca in Medio Oriente hanno suggerito che i referenti di Giulio Regeni sono responsabili per averlo mandato a fare ricerca in un contesto pericoloso, asserendo che costoro sapevano bene che questa ricerca avrebbe messo a repentaglio la vita di Giulio. Queste affermazioni sono assurde, e coloro che le fanno sono irresponsabili e indegni.

Sono irresponsabili perché accuse serie come queste – l’accusa d’aver deliberatamente mandato a morire una persona – non si fanno senza la conoscenza completa dei fatti e senza avere prove inconfutabili. Ed anche qualora si pensasse di possedere tali prove – a meno che non si prenda parte a un linciaggio e non essere una persona che rispetta il più elementare fondamento della giustizia in uno stato di diritto, e cioè che si rimane innocenti fino a prova contraria – bisognerebbe sollevare domande da porsi anziché accusare apertamente.

Sono anche indegni perché mancano del più elementare, minimo senso di empatia umana. Non tengono conto dei sentimenti dei docenti di fronte all’immane tragedia che è la perdita di un loro studente, una persona che conoscevano bene e con la quale per anni hanno avuto lunghe ore di scambi intellettuali. Invece, costoro accusano i referenti di responsabilità per l’assassinio di Giulio. Nel far questo, agiscono come quei giornalisti che accusano pubblicamente i genitori di essere responsabili per la morte di un figlio mentre non conoscono le circostanze della tragedia e non si è arrivati in alcun modo a stabilire colpe precise agli occhi della legge.

Nel caso particolare di Giulio Regeni, questo comportamento accusatorio è tanto più irresponsabile e riprovevole perché si fonda su una totale ignoranza delle condizioni in cui si fa ricerca sul campo in Egitto, nonché in particolare della ricerca di Giulio. Il caso vuole che io abbia conosciuto personalmente Giulio: dopo aver finito il Master a Cambridge, mi contattò nel 2012 per preparare il suo dottorato sotto la mia supervisione. Ci scambiammo email e conversammo di persona della sua proposta di ricerca. Giulio intendeva studiare il nuovo movimento di sindacati indipendenti in Egitto. Io trovai perfettamente ragionevole questo progetto, sul quale Giulio già possedeva buone conoscenze. Lui presentò domanda alla mia università richiedendo me come referente, e io accettai.

Questo accadde nei primi mesi del 2013. In giugno dello stesso anno, Giulio mi scrisse per dire che non era stato in grado di trovare fondi per i suoi studi di dottorato, e che si trovava quindi costretto a rinunciarvi temporaneamente. Mi scrisse dal Cairo, dove aveva lavorato per il ministero dell’Industria a fianco dell’Unido, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale. Quindi Giulio non era stato “mandato” in Egitto, in un Paese sconosciuto a fare una ricerca assegnatagli da un docente, come invece asseriscono tanti mediocri commenti giornalistici. Al contrario, era determinato nel ricercare un argomento sul quale aveva già accumulato dei risultati, in un Paese che conosceva abbastanza bene e nel quale aveva vissuto già prima di aver cominciato il dottorato nel 2014 a Cambridge, la sua alma mater.

Conosco di persona vari studenti che hanno fatto ricerca sui movimenti sindacali egiziani, o che la stanno facendo in questo momento. Vale a dire che non v’era assolutamente nulla di straordinario nella ricerca fatta da Giulio Regeni. Non è, per fare un esempio, come fare ricerca sull’Isis all’interno di territori controllati dall’Isis! Bisogna inoltre aggiungere che il rapporto fra referenti e dottorandi è un rapporto fra ricercatori adulti, non è un rapporto fra insegnanti di scuola e adolescenti che hanno bisogno dell’autorizzazione dei genitori per partecipare alla gita scolastica. I referenti, inoltre, non controllano ogni mossa dei loro studenti verificando la loro ubicazione tramite smartphone! Qualunque siano quindi le circostanze nelle quali è stato assassinato Giulio, è assolutamente oltraggioso dare la colpa ai suoi docenti per questo omicidio, a meno di non avere elementi molto solidi per lanciare un’accusa del genere.

Inoltre, dato che Giulio era un giovane e intelligente uomo ventisettenne, tali accuse finiscono per incolpare Giulio stesso per il suo assassinio! Se Giulio avesse scientemente e di sua spontanea volontà deciso di mettere a repentaglio la propria vita, anche se gli fosse stato chiesto da terzi, questo significherebbe che, in quanto adulto, egli stesso è responsabile della propria morte. Questo è un classico esempio di come si finisca per incolpare la vittima. Ho letto le affermazioni più stupide e infondate riportate nella stampa italiana da persone che ignorano tutto dell’argomento di ricerca di Giulio, illazioni che sarebbero potute venire direttamente dai servizi di sicurezza egiziani, se questi avessero riconosciuto di aver commesso questo crimine.

Tutto ciò è vergognoso. Lo spettacolo di rappresentanti dei governi europei che agiscono come venditori senza scrupoli fare la fila per incontrare dei dittatori è già di per sé disgustoso. Anziché contribuire a discolpare queste stesse dittature, i giornalisti europei farebbero meglio a mantenere alti gli ideali di libertà, democrazia, e giustizia sui quali l’Europa dice di essere fondata.

*Professore di Studi sullo Sviluppo e Relazioni internazionali alla School of Oriental and African Studies (SOAS), Università di Londra
Traduzione di Andrea Teti

Tratto da: www.ilsole24ore.com/

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