KOBANE: OLTRE I MITI

Pubblichiamo una lettera ad un militante dell’opposizione siriana a Bashar al-Assad da parte di una compagna italiana. Un testo che, all’interno di una logica di pieno sostegno alla resistenza curda a Kabane, vuole però cercare di capire le reali dinamiche in atto, le forze in campo e gli interessi esistenti più o meno nascosti: al di là di facili miti. Miti che invece ci sembra si stiano diffondendo nella sinistra europea e che riteniamo  non siano giustificabili dalla sola novità positiva oggi riscontrabile, cioè da una parziale ricomposizione di una opposizione laica e progressista alla barbarie del Califfato. Processo importante, da valorizzare, ma limitato tanto da non poter essere considerato come espressione di un salto di qualità della resistenza al Califfato né del processo rivoluzionario e democratico contro il regime sanguinario di Assad.

Caro *****,

come sai non amo le discussioni via FB (che cerco solo di usare per avere informazioni).

Spero che tu possa leggere la posta elettronica.

Onestamente, questa “sorpresa” della Carta della Rojava non mi  convince assolutamente, per moltissimi motivi. Il principale è: ma se i curdi avevano tutte queste caratteristiche avanzate perché non hanno avuto un ruolo decisivo nel 2012 quando, come sai meglio di me, l’opposizione siriana è diventata ostaggio delle organizzazioni integraliste islamiche? A mio parere perché, come hai osservato, tentavano di tenersi fuori dalla guerra civile puntando ad avere una possibilità di “gestire” la propria zona. Ma la comparsa e il rafforzamento dell’ISIS ha sparigliato le loro carte. Inoltre, secondo me, non è un dettaglio che la città di Kobane sia arrivata agli onori della cronaca ben prima dell’assedio grazie alle minacce di Erdogan di intervenire in Siria se fosse stato toccato il mausoleo che vi è dentro. Poi la situazione è cambiata perché la sedicente coalizione anti-ISIS ha chiesto esplicitamente alla Turchia di intervenire. Questa richiesta era stata fatta anche in agosto, alla presa di Mosul ed alla cacciata dei cristiani e degli yazidi. Allora Kerry aveva annunciato un’alleanza impossibile fra Arabia Saudita, Qatar e Turchia. Ovviamente, nessuno di questi tre Paesi aveva interesse ad intervenire in Iraq. Ma la Turchia tremava perché da un lato molti curdi turchi combattevano al fianco di quelli iracheni, sia perché un intervento delle sue truppe avrebbe significato contrapporsi direttamente contro l’Iran, che non è un mistero è da tempo intervenuto in Iraq.

Dopo l’avvio dei bombardamenti da parte occidentale è venuta fuori, quasi fosse una magia, la Repubblica di Rojava, che mi sembra evidente, è molto legata e condizionata dal PKK che già nel maggio scorso aveva messo in piedi un negoziato con Erdogan. Perdonami, ma ho il dubbio fortissimo che tutta questa risonanza della battaglia di e per Kobane sia per il PKK il modo per raggiungere almeno quatte obiettivi:

1.    accreditarsi come direzione politica “unitaria” a scapito dei curdi iracheni, sgombrando il campo dalla sconfitta in Turchia sia a livello politico che militare. Al momento delle rivolte partite da Gezi Park, non vi è stata alcuna saldatura con le rivendicazioni curde, anche perché il movimento turco è diretto dai kemalisti, non propriamente amici dei curdi;

2.    garantirsi un più ampio margine di trattativa con Erdogan in due modi: a) rientrando nelle grazie dell’Occidente (quindi essere riabilitato ed escluso dalla lista delle organizzazioni terroristiche, made in USA), b) in una prospettiva a medio e lungo termine poter avere una base territoriale più ampia dopo un’eventuale divisione della Siria;

3.    diventare un punto di riferimento per l’Occidente come la sola organizzazione che non è legata all’integralismo islamico nel caos mediorientale e non solo siriano;

4.    se  questo dovesse avvenire ovviamente i piani di Erdogan verrebbero meno. Perché mi sembra evidente che il vero obiettivo del governo turco non è quello di combattere l’ISIS in Siria ma di evitare che i curdi diventino un punto di riferimento grazie alla loro resistenza.

Chiaramente la Carta della Rojava è sicuramente un passo in avanti, ma mi chiedo: che senso ha parlare nel 2014 della Siria come: “La Siria è un paese indipendente, libero e democratico, con un sistema parlamentare fondato sui principi del decentramento e del pluralismo.” (art.3) Di quale Paese parlano? Di quello “pacificato” dalla vittoria di Assad, o di quello diviso dopo la mezza vittoria di Assad che si accorderà con tutti, ISIS compreso?

Mi permetto di pensare che un conto è sostenere la resistenza curda, e non solo, all’avanzata dell’ISIS, un altro conto è una delega in bianco al PKK o a chicchessia sulla base del fatto che hanno scritto una buona costituzione. Come tu hai giustamente detto: anche quella baathista era democratica, come quella staliniana del 1936, ecc…

Un caro saluto,

C.

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