L’ETEROSESSUALITA’ OBBLIGATORIA

Intorno al “soggetto eccentrico”. Pubblichiamo una intervista del 1996 a Teresa De Lauretis che, nonostante gli anni passati, riteniamo tuttavia ancora attuale ed utile rispetto al dibattito sulle unioni civili che si sta svolgendo in questi giorni in molte città italiane.

(DWpress) Torino. “Nel complesso dibattito delle donne che ha animato, vivacissimo, questo Salone del Libro, le posizioni del femminismo internazionale hanno suscitato un fortissimo interesse e attenzione. Dal soggetto nomade transnazionale, ludico, creativo e onniposizionato di Rosi Braidotti, alle native, irridenti e ibride figure passing di Anna Camaiti Hoster, alle soggettività eccentriche e plurisessuali di Teresa De Lauretis. Proprio a Teresa De Lauretis abbiamo chiesto se nominare femminismo semiotica cinema e psicoanalisi potesse essere un modo per parlare di lei.
“Queste parole rappresentano un modo importante di parlare del mio lavoro critico. Arrivata negli Stati Uniti ho insegnato lingua e letteratura italiana e cinema. In quel periodo – i primi anni ’70 – all’interno del mondo accademico c’era il movimento delle donne, a cui ho partecipato contribuendo alla costituzione di quelli che oggi si chiamano Women’s Studies. Quindi il femminismo, il mio interesse per il cinema letto in termini psicanalitici, la semiotica rappresentano i miei interessi e la mia vita”.
Nei tuoi scritti la visione del mondo è determinata da una soggettività desiderante, da un desiderio omo-eterosessuale che ha insita una contraddizione negativa che resiste all’utopia. Puoi parlarne?
“Nella politica esistono delle contraddizioni. Il pensiero teorico-critico femminista è “negativo” nel senso di critica al patriarcato, di critica alla narrazione culturale dominante. D’altro canto, però, c’è una positività della politica che è necessaria all’azione politica. Negatività e positività quindi che nella loro contraddizione non vanno risolte ma mantenute e negoziate. Questa stessa contraddizione esiste per quanto riguarda desiderio e sessualità. Da un lato il desiderio positivo di autoaffermarsi, di autodefinirsi nel mondo, di costruire un sapere del rapporto sessuale a partire da sé. Dall’altro il desiderio è un concetto profondo che ha a che fare con le pulsioni, con la soggettività psichica. Contiene una “negatività” in quanto dimensione del desiderio che non porta alla identità, al lavoro insieme ma è disgregante e conflittuale fra volontà politica e bisogno individuale. La sessualità è il punto dove questa conflittualità è più chiara. Esiste dunque una negatività del desiderio refrattaria alle buone intenzioni e all’utopia, che è stata sottovalutata, rimossa, messa da parte. Quando si parla di desiderio se ne parla in maniera affermativa e positiva e non si considera quella parte che crea frattura tra il desiderio di fare una cosa e l’impossibilità a farla. Spesso tutto questo rimane inconscio”.

Il tuo “soggetto eccentrico” è fuori dalle istituzioni? E’ minorità?
“Il soggetto eccentrico di cui parlo non è fuori dalle istituzioni, e non so se è minorità in senso sociologico. Quello che io sto cercando di immaginare non è tanto un’entità sociologica quanto la costruzione di una figura di pensiero, una figura concettuale che è eccentrica in questo senso. Il soggetto si definisce in due modi che sono contrapposti: uno è soggetto nel senso delle costrizioni sociali, delle regole dei sistemi di parentela, di classe, di razza ecc. Un soggetto assoggettato, in soggezione. L’altro è un soggetto grammaticale, affermativo, cioè che agisce, che esiste, che ha volontà. Quindi quando dico soggetto eccentrico voglio dire un soggetto sociale e psichico allo stesso tempo, che è eccentrico rispetto all’ideologia del genere come una delle macro-istituzioni dell’eterosessualità obbligatoria che determina non solo il genere, ma la vita e il pensiero. Il soggetto eccentrico sta dentro e fuori, è critico e autocritico. Non è fuori completamente, ma dentro il sociale con una certa distanza. In questo senso il soggetto eccentrico va al di là delle regole”.

Anche con una mobilità nomadica, con uno spostamento?
“La mobilità non è nomade nel senso di andare di paese in paese, ma lo è di posizionamento politico, di autotraduzione, di autocomprensione e, a seconda delle situazioni, è – come dice Donna Haraway – una questione di “saperi situati”, di analisi delle proprie posizioni. Analisi di attraversamento dell’esistente che smaschera la presupposizione che il mondo, l’esistente, è fatto di due sessi che si incontrano per creare la natura, eliminando ogni altra possibilità”.

Mi pare che tu navighi abbastanza, che ti muovi in vari ambiti. In che senso il tuo soggetto eccentrico è diverso dal soggetto nomade?
“In fondo non è così diverso, ma il soggetto nomade si muove liberamente, da paese a paese, da discorso a discorso, da cultura a cultura. A me sembra troppo facile. Non credo che un soggetto che si riferisce ad una singolarità possa spostarsi così facilmente anche in senso psicanalitico, cioè spostarsi internamente. Questo soggetto nomade che salta di qua e di là, che fa tutto, è un’idea troppo ottimistica che non tiene conto delle realtà delle donne e delle difficoltà che la complessa singolarità esprime. Il soggetto eccentrico è più realistico, si sposta tenendo conto delle mille difficoltà che ogni singola donna ha di fronte al mondo anche nel momento del suo massimo desiderio, anche nello splendore del suo massimo agire”.

A differenza di una parte del femminismo italiano hai detto che il patriarcato non è finito. Perché?
“Ribadisco che per me il patriarcato non è finito. I casi palesissimi degli avvenimenti in Bosnia e le decisioni del governo italiano di assegnare a tre donne ministeri quali la Sanità, le Pari Opportunità, e la Famiglia e Solidarietà Sociale – cose queste tutte squisitamente femminili nel senso più vecchio e vetero del termine e nel senso che sono le donne a prendersi cura degli altri – smentiscono che il patriarcato sia morto. E’ vero che molte donne rifiutano il patriarcato, ma solo in precisi contesti, in precise situazioni: non per questo il patriarcato è finito. Io credo invece che continui ad “esercitare” nonostante quello che noi pensiamo, vogliamo, vediamo”.

Diciamo che gli è stato dato un grosso scossone… In questo senso si può parlare di secolo delle donne?
“Cosa vuol dire secolo delle donne?! Che sono state loro a fare questo secolo? Che l’idea di fare una fiera del libro sulle donne dà a queste la possibilità di essere l’oggetto della conoscenza neutra dell’uomo? Mi pare che anche in altri secoli le donne abbiano fatto delle cose. Tovo questo titolo ambiguo, e francamente non mi sembra un concetto di cui valga la pena occuparsi molto”.

Cosa pensi dell’elezione di tre donne ai ministeri della politica italiana? Ti sembra così negativa?
“Ovviamente della politica italiana so quello che leggo o che sento quando vengo qui. Mi sembra comunque una cosa molto triste che la capacità intellettuale, dirigente, e politica delle donne non venga riconosciuta. Diventare ministra significa entrare in un governo già dato. Questo rappresenta un problema rispetto al desiderio che noi femministe abbiamo di cambiare il sistema”.

19 maggio 1996

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