SVILUPPI NEL MEDIORIENTE

L’assalto a Gaza e gli sviluppi nella regione
di Gilbert Achcar e Brian Ashley della rivista sudafricana Amandla! nell’agosto 2014.

Amandla!: Quali sono, secondo lei, i fattori che hanno dato origine al più recente assalto a Gaza e perché è successo in questo periodo? Perché ha assunto questa forma eccezionalmente brutale?

Gilbert Achcar: L’intensificarsi della brutalità non è una cosa nuova: si accompagna alla lunga deriva della società e della linea di condotta israeliana verso l’estrema destra. Il partito Likud, la forza principale nell’estrema destra sionista, è andato al potere nel1977e ha portato, pochi anni dopo, nel 1982, alla criminale invasione del Libano, culminata nel massacro di Sabra e Shatila – la più sanguinaria delle guerre israeliane fino a quel momento. E stata superata allora una soglia di orrore e brutalità contro le popolazioni civili. Questa però è stata soppiantata per intensità di distruzione e di violenza dall’attacco del 2006 contro il Libano. E poi abbiamo avuto l’attacco a Gaza durato dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009, che è stato ugualmente brutale e ancora più sanguinario, contro i civili, data la densità di popolazione a Gaza e la loro impossibilità di scappare dalla Striscia.L’assalto più recente a Gaza si inserisce bene in questo modello in evoluzione di sempre crescente brutalità e violenza e anche di crescente disprezzo di Israele per l’opinione pubblica globale. Precedenti tentativi di conservare un’immagine di Israele “che cerca la pace” sono una vecchia storia; i governi israeliani adesso si sentono autorizzati a usare il linguaggio della forza brutale nell’età della cosiddetta Guerra al Terrore (WOT – War on Terror). Questa prospettiva del dopo 11 settembre, appoggiata dagli Stati Uniti, ha dato il via libera per un puro terrorismo di stato israeliano e per la brutalità di stato in nome della lotta al terrore.In quanto alla vera ragione dell’attuale assalto a Gaza, è stata l’esasperazione del governo di Netanyahu per la riconciliazione tra Hamas e Fatah e anche il fatto che tale riconciliazione è stata in realtà bene accolta, anche se non molto esplicitamente, dai governi occidentali, compresa Washington. Questa esasperazione del governo israeliano non è causata dal fatto che Hamas si stia “radicalizzando” in qualche modo, ma, al contrario, perché – a causa della svolta degli eventi in Egitto fin dal 2013 – ha dovuto “annacquare” la sua linea politica e fare un sacco di concessioni sulla strada della riconciliazione con l’Autorità Palestinese (AP) della Cisgiordania. La verità è che il governo di Israele si sente molto più a proprio agio con un panorama palestinese diviso e con un Hamas moderato. Fin dall’accordo di Oslo del 1993, ilvero gioco dell’estrema destra nel governo israeliano è stato sempre quello di indebolire i palestinesi “moderati”, da Arafat ad Abbas, e di spingere verso una radicalizzazione che beneficia Hamas – quest’ultimo è il “nemico preferito” fino a quando può essere facilmente demonizzato, dato che rende la loro relazione con gli Stati Uniti e l’Europa molto più consensuale e riduce la pressione occidentale su di loro. Ricordate che l’assalto più brutale a Gaza/Hamas è arrivato dopo che il movimento islamico è passato dagli attacchi suicidi all’azione politica, compresa la sua partecipazione alle elezioni del 2006, dopo averle rifiutate per molti anni in quanto illegittime rispetto alla lotta armata.

Amandla!: Quali sarebbero stati gli obiettivi che avrebbero fatto in modo che la brutalità dell’assalto avrebbe spinto sicuramente tutti i palestinesi a stare più vicini?
GA: Il suo scopo è stato di provocare una rinnovata radicalizzazione di Hamas creando ancora un divario tra il movimento islamico e l’Autorità Palestinese. In effetti la distanza tra i due all’inizio è aumentata con l’assalto – e al riguardo questo sembrava che per un po’ stesse raggiungendo il suo scopo. Però il risentimento che ha creato tra tutti i palestinesi, è tale che l’Autorità Palestinese ha dovuto esprimere solidarietà a Gaza guidat da Hamas. Il governo israeliano se ne infischia dei sentimenti dei palestinesi. Essenzialmente voleva silurare la campagna per le iniziative di pace da parte palestinese: calcolava che, di fronte alla brutalità israeliana, Hamas avrebbe considerato che non poteva più andare avanti con moderazione e compromessi, come avevano fatto proprio prima del recente assalto. Per ironia, il governo israeliano teme le iniziative di pace palestinesi più di quanto tema i razzi lanciati da Gaza: quello che più di tutto non sopportano sono tutte le mosse palestinesi che possono essere ben accette ai governi occidentali e appoggiate da Washington, anche se tiepidamente.
Per i loro scopi, possono cogliere qualsiasi pretesto, come hanno fatto nel caso attuale dei tre adolescenti israeliani sequestrati e assassinati in Cisgiordania. Hanno immediatamente accusato Hamas senza nessuna prova, esattamente come nel 2001 l’amministrazione Bush aveva accusato l’Iraq di essere dietro all’11 settembre: un pretesto per obiettivi premeditati. Hanno colto il triplo assassinio come un’occasione di arrestare di nuovo un gran numero di quei prigionieri politici palestinesi che erano stati rilasciati in cambio del soldato israeliano Gilad Shalit tenuto come prigioniero di guerra a Gaza. Questa è stata ovviamente una campagna premeditata di arresto: il governo israeliano aveva rilasciato questi uomini con grande riluttanza e stava aspettando il primo pretesto per arrestarli di nuovo per dire ai palestinesi che, qualsiasi cosa facciano in questo senso, è inutile perché Israele finirà per ritirare qualsiasi concessione che possa avere fatto in seguito a delle pressioni.
E’ quindi così che è cominciata. E poi il governo di Netanyahu è passato al pretesto del lancio dei razzi, dopo aver di proposito esacerbato le tensioni con il suo brutale comportamento in Cisgiordania con il pretesto di cercare i tre adolescenti. Questa brutalità ha naturalmente portato a reazioni di rabbia dei palestinesi. Israele ha preso tale rabbia come pretesto per lanciare il suo brutale attacco del tutto “sproporzionato” senza alcun tipo di inibizione morale – a parte gli avvisi del tutto ipocriti fatti 6 minuti prima di distruggere e far crollare gli edifici civili su chi vi abitava, nel cuore della notte!

Amandla!:Israele ha raggiunto qualcuno dei suoi obiettivi con questo assalto? Ne viene fuori più debole o più forte? E che dire delle vittime dell’esercito israeliano?
GA: Gli israeliani hanno sofferto perdite perché hanno voluto dimostrare che erano disposti a entrare a Gaza per ripristinare la loro ”credibilità” in quanto potenza militare. Limitarsi a colpire da lontano sarebbe stato considerato un segno di debolezza: ognuno sa che non c’è paragone tra i razzi fatti a mano che escono da Gaza e la formidabile potenza di fuoco di Israele. Il governo israeliano aveva bisogno di ripristinare la perduta “credibilità” coinvolgendo le truppe sul terreno, ma questo ha un prezzo alto perché non si possono impegnare truppe in un contesto urbano ostile senza rischiare di avere delle vittime.
In realtà la cosa peggiore per la parte israeliana, di gran lunga peggiore che soffrire delle perdite, è avere soldati presi come prigionieri di guerra (quelli che chiamano “ostaggi”). Hanno quindi escogitato una nuova strategia per minimizzare quel rischio: ogni volta che un soldato israeliano è sotto la minaccia di essere fatto prigioniero, attaccano in forze con l’alto rischio di uccidere il prigioniero. Preferiscono quindi uccidere i loro soldati che vederli presi prigionieri per un successivo scambio con prigionieri politici palestinesi. Quella di Israele è la politica della pura forza. Non hanno alcun desiderio di pace. Vogliono soltanto schiacciare i palestinesi con la loro superiorità militare, vogliono terrorizzarli: si comportano come uno stato terrorista nell’intero e pieno significato della parola. Credono soltanto nel dominio militare, nella completa supremazia militare.

Amandla!:Con questo assalto, gli israeliani sono riusciti abbastanza a terrorizzare la gente, ma non hanno sottomesso nessuno, e hanno provocato un enorme reazione di protesta a livello internazionale. Possiamo quindi dire che questa missione ha provocato l’effetto contrario?
GA: Non nelle menti del blocco di potere di estrema destra che attualmente governa Israele. Questo potrebbe essere considerato come un problema importante dalla vecchia generazione di sionisti. Però quello che si va svolgendo sotto forma di guerra al terrore è l’idea che combattere un nemico orribile giustifica il ricorso a tutti i generi di orribili mezzi. E l’attuale governo israeliano di estrema destra è l’incarnazione estrema di questa logica.
Gli israeliani semplicemente non si preoccupano dell’opinione pubblica in generale. Naturalmente quello di cui si preoccuperebbero è l’opinione pubblica degli Stati Uniti dato che influenza il comportamento del governo statunitense, ma, in quel senso, Netanyahu si è comportato apertamente come un giocatore scaltro nella politica statunitense, cercando in modo molto diretto di sfruttare le divisioni politiche all’interno degli Stati Uniti, “arruffianandosi” la destra repubblicana, ecc. Ed è stato molto efficace in questo gioco, ancora più facilmente in quanto Obama è davvero il maggior “smidollato” specialmente in rapporto a Israele. E Hillary Clinton che è estremamente probabile sarà candidata nel 2016 con un’alta possibilità di diventare il prossimo presidente, ha di recente pienamente avallato la politica di Netanyahu. Per lui questo è ciò che conta. Non gli importa dell’opinione pubblica, delle petizioni degli intellettuali e simili.

Amandla!: Sembra che più il governo si comporta in modo brutale, da irriducibile, e più di destra, più forte è l’appoggio degli israeliani. Sembra che praticamente non ci sia alcuna voce di opposizione.
GA: Sì, in effetti anche questo è un lato spaventoso della storia. E’ di nuovo la nevrosi della Guerra al Terrore, in questo caso la demonizzazione di Hamas e lo stupido argomento dei razzi da Gaza. Molti di quegli israeliani che partecipavano alle dimostrazioni nel 1982, ora appoggiano la guerra fatta dal loro governo in nome dell’opposizione al “terrore”. Il fattore Hamas è molto importante in questo senso. Sharon aveva fatto ogni cosa che poteva per indebolire, screditare e distruggere Yasser Arafat, mettendo in grado Hamas di costruire di consolidare il sostegno tra i palestinesi. Ha provocato i palestinesi deliberatamente e ripetutamente, sapendo che questo avrebbe portato a restrizioni specialmente da parte di gruppi come Hamas. Poi ogni volta lo avrebbe preso come pretesto per aumentare l’oppressione nei confronti dei palestinesi e alimentare il ciclo di violenza che avvantaggia sia Hamas, dalla parte palestinese che lui stesso, cioè Ariel Sharon, dalla parte israeliana. Queste dialettiche di estremi promosse dall’estrema destra palestinese sono state continue. Abbas è si è spinto molto lontano nell’arrendersi alle condizioni di Stati Uniti/Israele, tuttavia gli israeliani continuano a screditarlo perché, come già detto, il governo di Israele non vuole nessun “partner per la pace”, semplicemente non vuole la pace. Punto.

Amandla!:Quale impatto ha avuto in generale il conflitto Israele/Palestina sulla situazione politica in Medio Oriente?
GA: Fondamentalmente è un fattore tra altri fattori di radicalizzazione nel mondo arabo. Il risentimento popolare si sta accumulando rapidamente davanti allo svolgersi di molteplici tragedie, specialmente la tragedia in Siria che fa sembrare piccole tutte le altre. La verità è che perfino durante l’assalto a Gaza ci sono state più persone uccise ogni giorno in Siria che a Gaza. E il fatto che si permetta che questo continui ha creato un risentimento così profondo tra i siriani, che ha molto facilitato l’ascesa dell’ISIS, un’organizzazione fanatica ultra fondamentalista, paragonata alla quale il ramo locale di Al-Qaida ora sembra moderato.

Amandla!:Questo risentimento e questa radicalizzazione porteranno sempre all’aumento dei fondamentalisti piuttosto che di forze laiche democratiche che vengono alla ribalta?
GA: La radicalizzazione e il risentimento non portano di per sé allo sviluppo di questa o di quella forza; dipende tutto dai fattori soggettivi esistenti che possono interagire con i fattori obiettivi di radicalizzazione. Nel 2011 questa regione si è imbarcata in quello che si chiama un processo rivoluzionario a lungo termine che andrà avanti per decenni. Un processo rivoluzionario non è mai lineare: non è una serie di vittorie successive fino a quando non si vede la bandiera rossa sventolare su qualche palazzo. Può diventare molto difficile e attraversare terribili momenti controrivoluzionari. La tendenza dominante nella regione araba attualmente è controrivoluzionaria, specialmente con gli sviluppi in Siria (la capacità di resistenza del regime di Assad) e in Egitto (Sisi) e con la diffusione dell’ISIS. Questa, però, è soltanto una fase in un processo a lungo termine.
Questa fase è stata resa possibile dal fallimento delle potenziali forze di destra presenti nella regione di agire in modo indipendente nel costruire un’alternativa a entrambi i vecchi regimi e alle forze islamiche. I vecchi regimi e l’opposizione islamica fondamentalista sono entrambe forze contro-rivoluzionarie. Se non ci sarà la comparsa di un terzo polo, una forza popolare progressista in grado di costituire un’alternativa, rimarremo bloccati in questa duplicità e nella dialettica di spostarci all’estremità su entrambe le parti. Il vecchi regime diventa più cattivo (Sisi in realtà è peggiore di Mubarak) e l’opposizione fondamentalista islamica diventa più cattiva (sicuramente l’ISIS è molto peggiore di qualsiasi cosa rappresentava la Fratellanza Musulmana). Quindi quello che fondamentalmente abbiamo è una dialettica di estremi di radicalizzazione da entrambe le parti di una duplicità controrivoluzionaria in assenza di un’alternativa popolare progressista.

Amandla!:Non c’era un’alternativa quando le masse di gente in Tunisia e in Egitto sono scese nelle strade come movimento democratico, laico?
GA: La potenzialità c’è ancora – non soltanto teorica, ma reale. Sicuramente varia da paese a paese. In Tunisia è impersonata dal centro sindacale, l’UGTT Unione Generale Tunisina del Lavoro) che è di gran lunga la forza politica e sociale organizzata del paese più importante del paese. Il problema qui è un problema di strategia.
La stessa cosa vale per l’Egitto: c’è un grosso e importante potenziale che abbiamo intravisto nel 2012 quando il candidato nasseriano nazionalista di sinistra è arrivato terzo alle elezioni presidenziali con quasi 5 milioni di voti. Questo ha dimostrato un enorme potenziale, paragonabile per dimensioni a entrambi i campi della controrivoluzione rappresentati dal vecchio regime, da una parte, e dalla Fratellanza Musulmana dall’altra. E tuttavia questa occasione è stata sprecata dai nasseriani di sinistra egiziani quando sono passati dalla loro alleanza del 2011 con la Fratellanza Musulmana a un’alleanza con Sisi nel 2013. Però il potenziale esiste ancora e i giovani sono ancora radicalizzati; non hanno votato per Sisi, e questo è di importanza cruciale. La partecipazione alle recenti elezioni presidenziali è stata così scarsa che le hanno dovute prolungare di un giorno per mobilitare probabili elettori, nello sforzo di dare credibilità al grottesco 95% di Sisi.
In Siria, i locali Comitati di coordinamento che hanno guidato l’insurrezione nella sua prima fase, hanno rappresentato un potenziale progressista molto importante che però si è dissolto quando questi stessi comitati hanno riconosciuto il cosiddetto Consiglio Nazionale, istituito a Istanbul e dominato dall’interno dalla Fratellanza Musulmana Siriana e dall’esterno da Qatar e Turchia. Da allora la situazione siriana si trova presa tra un’opposizione ufficiale inefficiente e corrotta e un regime molto brutale; questo ha provocato la comparsa di un’opposizione islamica più radicale rappresentata da una miriade di gruppi, il più importante dei quali è ora l’ISIS.
Così, le aspirazioni della rivoluzione siriana sono state schiacciate tra questi due poli controrivoluzionari – da una parte il regime e dall’altra i fondamentalisti islamici fanatici. Ma il potenziale è ancora lì, con diecine di migliaia di persone, specialmente giovani, che si oppongono al regime da una prospettiva progressista. Il regime ha arrestato migliaia di quei giovani progressisti che stavano organizzando l’insurrezione nella sua fase iniziale mentre allo stesso tempo rilasciava i jihadisti detenuti in carcere. Lo stesso regime siriano ha incoraggiato con ogni mezzo possibile la comparsa e la predominanza della tendenza della linea dura islamica nell’opposizione. Questo sta bene al regime, esattamente come una radicalizzazione Islamica tra i palestinesi sta bene all’estrema destra di Israele. Stanno entrambi facendo lo stesso gioco di potenziare i loro “nemici preferiti”.

Amandla!: E una parte sta avendo ora la meglio nel conflitto?
GA: Due anni fa Assad era sul punto di essere sconfitto, e questo avveniva quando l’Iran ha deciso di andare oltre il sostegno materiale e di intervenire massicciamente sul terreno inviano delle truppe per appoggiare il regime. A causa del fattore linguistico, hanno mandato truppe arabe dai satelliti settari nella regione: Hezbollah dal Libano e Asa’ib Ahl al-Haq dall’Iraq. Queste forze hanno aiutato il regime a lanciare una controffensiva che ha avuto successo e a riguadagnare il terreno che aveva perduto fino ad allora. Tuttavia il fenomeno ISIS sta creando dei limiti all’Iran e ai suoi alleati che ora devono combattere su due fronti, sia in Siria che in Iraq. Oltre a combattere l’opposizione tradizionale siriana, devono ora contrastare la diffusione dell’ISIS in Iraq che è un’ importante roccaforte di influenza iraniana nella regione. La dispersione delle forze appoggiate dall’Iran ha provocato l’insorgere di segni di sfinimento all’interno del regime siriano la cui affidabile base militare settaria è relativamente ridotta.
Quindi, malgrado tutte le apparenze, il regime siriano sta attualmente incontrando di nuovo delle difficoltà, ma sta invocando più che mai l’argomento della Guerra al Terrore per allontanare la prospettiva di un accresciuto appoggio dell’Occidente all’opposizione tradizionale. Fondamentalmente, il regime siriano gareggia con l’opposizione tradizionale nel cercare di convincere le potenze occidentali che sono i loro migliori alleati nella Guerra al Terrore! Si possono vedere qui delle analogie con il regime siriano, il regime egiziano e il governo di Israele. Parlano tutti la stessa lingua, quella della Guerra al Terrore, ed è in nome di questa guerra che chiedono di avere carta bianca per tutti i tipi di violenza. Dicono a Washington: “Siamo i vostri migliori amici, appoggiarci sarà nel vostro miglior interesse.”

Amandla!: L’atteggiamento degli Stati Uniti verso la comparsa dell’ISIS è di contenimento piuttosto che di sradicamento?
GA: La sua scelta dei termini è corretta. Finora quello che ha prevalso è stato il contenimento: gli Stati Uniti sono intervenuti per fermare l’avanzata dell’ISIS, ma non vogliono andare oltre il contenimento prima di raggiungere un obiettivo politico. Washington ha considerato questa esplosione dell’ISIS come una leva per liberarsi di Maliki e di ridurre l’influenza dell’Iran in Iraq. Maliqi era in effetti diventato sempre più dipendente dall’Iran, e le tensioni tra lui e Washington erano aumentate costantemente fino dalla fine della presenza militare diretta in Iraq nel 2011. I rapporti di Maliki con gli Stati Uniti si sono deteriorate a tal punto che è andato a Mosca per discutere di un accordo riguardante le armi. Tra parentesi, Sisi sta facendola stessa cosa, come gesto di protesta contro la riluttanza degli Stati Uniti ad appoggiarlo pienamente. Si può quindi vedere quanto terreno Washington stia perdendo nella regione. Tuttavia, dato che l’ISIS è in Iraq, lo stato iracheno ha bisogno degli Stati Uniti. Dipende dal sostegno militare degli Stati Uniti, perché il suo esercito era stato ricostruito con gli armamenti degli Stati Uniti dopo l’invasione del 2003, e un sacco di questi sono caduti nelle mani dell’ISIS. Gli Stati Uniti hanno posto condizioni per accrescere il loro appoggio allo stato iracheno, a iniziare dalla partenza di Maliki. Hanno avuto quello che volevano: Malki si è dimesso ed è stato sostituito.
Washington sta ora tentando di ripetere quello che ha fatto nel 2006 dopo aver perduto terreno in confronto di al-Qaeda. A quel punto gli Stati Uniti hanno “comprato” le tribù sunnite, proprio i gruppi tra i quali Al-Qaida si stava sviluppando. Washington è perfino riuscita a trasformare le tribù sunnite in alleati degli Stati Uniti, riuscendo così praticamente a sradicare Al-Qaida in Iraq. Quello che vediamo oggi è una replica della stessa strategia: le tribù sunnite sono state completamente alienate dall’atteggiamento settario di Maliki, appoggiato dall’Iran. Si è quindi accumulato molto risentimento tra di loro perché si erano allineati con l’ISIS quando ha fatto irruzione. Il problema è che non è l’ISIS da sola che ha preso il controllo di vaste aree dell’Iraq, ma l’ISIS alleata con le forze arabo-sunnite: tribù, avanzi del partito Baath di Saddam Hussein, e altri. Questo è quanto è avvenuto in Iraq in precedenza, dopo il massacro di Falluja nel 2004, quando i Sunniti sono diventati così emarginati che hanno fatto entrare Al-Qaida, e li hanno appoggiati fino a quando Washington ha cambiato la sua strategia. Vediamo ora una replica dello stesso scenario, con le tribù sunnite che questa volta hanno fatto entrare l’ISIS e con Washington che vuole rinnovare la strategia dell’alleanza con loro. Per questo hanno avuto bisogno di liberarsi di Maliki. Questo scopo ora è stato raggiunto e vediamo come si svolgerà la prossima fase.
8 settembre 2014
Da: www.znetitaly.org
Traduzione di Maria Chiara Starace

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