GLI INVESTIMENTI DEI PRINCIPI ROSSI

Gli investimenti nascosti dei “principi rossi” cinesi
Pierre Rousset

Una fuga massiccia di documenti confidenziali ha mostrato la massa di beni piazzati nei paradisi fiscali da individui legati agli ambienti del potere in Cina.

Nell’aprile del 2013 il Consorzio Internazionale del Giornalismo Investigativo (ICIJ) ha beneficiato di una “fuga monumentale” : 2 milioni e mezzo di documenti concernenti operazioni gestite da due dei maggiori fornitori di “servizi offshore”: Portcullis TrustNet, basato a Singapore, e Commonwealth Trust Limited, basato nelle isole Vergini britanniche (Caraibi).Su questo si è innestata una grande inchiesta giornalistica denominata « Offshore-Leaks » imperniata sull’importanza del ruolo giocato dai paradisi fiscali nell’economia mondiale. In seguito a queste rivelazioni sono scoppiati numerosi scandali che hanno coinvolto uomini e partiti politici, grandi patrimoni (Rothschild), banche come il Crédit agricole e la BNP-Paribas in Francia, ambienti vicini al Cremlino in Russia…

Ma sorpresa fra le sorprese questi documenti riguardavano anche circa 22000 residenti nella Cina continentale e a HongKong. Ci sono voluti svariati mesi ad una equipe di giornalisti che comprendeva anche dei cinesi per identificare questi ultimi soggetti. Trenta giornali sono associati a livello internazionale nell’ ICIJ. Nel gennaio 2014 i risultati delle investigazioni sono stati resi pubblici. Le Monde, dal numero di gioved’ 23 a quello di sabato 25 ha pubblicato in Francia un dossier di 12 pagine. La redazione definisce i contenuti dell’inchiesta “mozzafiato” tanto sono vaste le fortune ammassate, e nota che le implicazioni per l’economia sono al di là di qualsiasi previsione. ” non esiste un settore economico cinese, dal petrolio alle energie rinnovabili, dall’estrazione mineraria al commercio delle armi, che non compaia nei documenti in possesso deill’ ICIJ e dei suoi associati”.

Attraverso Trustnet, una società denominata PricewaterhouseCoopers ha contribuito alla creazione di più di 400 società off-shore per clienti della Cina continentale, di HongKong e di Taiwan. La banca svizzera UBS da parte sua ha messo mano alla creazione di più un migliaio di “entità offshore”. Non ci sono solo capitali privati, legali o meno, che utilizzano paradisi fiscali come le Isole Vergini, le Kaiman o le Bermude: neppure le azienda statali, in particolare i giganti nazionali del settore petrolifero, se ne astengono. Sorde guerre si combattono su questo terreno, all’interno del quale il PCC può intervenire brutalmente incarcerando avvocati d’affari o dirigenti di società caduti in disgrazia. L’universo molto capitalista dell’offshore fa ora parte della vita economica e politica del regime post-maoista.

Nel cuore dell’inchiesta dell’ICIJ si collocano i cosiddetti “principi rossi” – “legati per sangue o per matrimonio” ad alti dirigenti del partito o dello stato – i quali hanno approfittato del segreto bancario per creare società offshore dove piazzare i loro guadagni illeciti: parenti dell’attuale presidente Xi Jinping, del suo predecessore Hu Jintao, degli ex primi ministri Wen Jiabao e Li Peng, ma anche almeno quindici dei più grandi patrimoni del paese, membri dell’assemblea nazionale, generali… I paradisi fiscali permettono di creare impreseche sfuggono ai controlli delle autorità, di nascondere i veri proprietari di una societrà, di operare nella massima opacità, di riciclare denaro, di essere quotati su una piazza estera scavalcando gli ostacoli giuridici per l’ingresso in borsa, di falsificare i prezzi delle merci importate o esportate, di sciogliere quasi istantaneamente una “entità” per evitare procedimenti giudiziari…I suddetti paradisi finanziari accolgono anche il frutto della corruzione, delle tangenti, dell’elusione massicciadi denaro mettendo favolose ricchezze al riparo ( almeno per ora ) della giustizia, ma anche dal regolamento dei conti all’interno del partito.

Le somme implicate sono gigantesche. L’inchiesta dell’ICIJ acclara il ruolo delle istituzioni finanziarie occidentali nel funzionamento del sistema con in prima fila l’UBS – la più grande banca europea di gestione – e il Credite Suisse. Le banche favoriscono i movimenti occulti o illeciti dei capitali, in cambio i “principi rossi” aprono loro le porte del potere politico. Per dirla in breve l’attuale elite cinese si comporta come qualsiasi elite borghese sulla faccia della terra!

Tutti riconoscono che il capitalismo fiorisce in Cina, ma alcuni credono ancora ( a destra come a sinistra) che lo stato resti “comunista”(?) dal momento che il partito mantiene il controllo della politica economica. L’indagine ICIJ è un’ulteriore conferma del livello dei rapporti incestuosi intrattenuti oggi da potere e capitalismo.

Prima delle riforme economiche avviate nel 1980 da Deng Xiaoping, rinforzate nel 1997 dal passaggio di Hong Kong (colonia britannica) alla Cina continentale, gli accessi “del figlio di” o “della figlia di” (come nel casodi Li Xiaolin, figlia di Li Peng) al mondo internazionale degli affari non sarebbero stati possibili. I privilegi dell’alta burocrazia erano legati alla sua funzione. La fortuna di un capitalista è invece privatizzabile, trasmissibile alla sua famiglia. La differenza è fondamentale.

Fra un burocrate ed un borghese non c’è più quindi la muraglia cinese.
Traduzione di Lillo Cannarozzo

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